Per chi vive in Lussemburgo ma è, come si dice in genovese, “foresto”, può essere utile interrogarsi sulle ragioni che hanno fatto di questo Paese dalla modesta taglia e demografia uno dei centri fondamentali del processo di integrazione europea

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Basta una prima visita alla città di Lussemburgo per essere impressionati dalla importanza e dalla quantità delle istituzioni e organi europei presenti in città; dalla elevata presenza dei funzionari europei nella composizione dei suoi 114 303 abitanti censiti nel 2017. Certo, è importante la posizione geografica del “cuore verde dell’Europa”, situato al centro del continente, unito dagli assi dei traffici e dei commerci a tanti importanti Paesi limitrofi. Certo, è importante la storia gloriosa della sua dinastia, unita alle grandi case di Europa e discendente da quell’Arrigo VII che tanta parte ebbe nella storia d’Italia nella prima metà del XIV secolo dopo la sua elezione a Imperatore del Sacro Romano Impero. Ma, in fondo, a partire dal 1867 il Granducato, privato della sua popolazione francofona, passata dopo il primo trattato di Londra all’appena nato regno del Belgio, si ritrovava ad essere poco più di una città-Stato priva di fortificazioni, destinata a competere con potenti e minacciosi vicini. Ma proprio da allora il Granducato ha espresso quel progetto politico che è alla base della sua attuale importanza. Una disposizione naturale a conciliare lo spirito di nazionalità, che tanto bene si è espresso nel primo canto nazionale, il Feierwon, concluso dal mir wellen bleiwen wat mir sinn con l’intesa con i Paesi vicini che non esclude ma integra lo spirito di nazionalità. Sin dal 1921 il Granducato concludeva così un accordo di unione economica con il Belgio, successivamente esteso come unione doganale nel BENELUX con i Paesi Bassi. Questo patto nazionale si traduceva naturalmente col tempo nell’alta qualità europea dei suoi rappresentanti politici impegnati nell’impulso al processo di integrazione del continente. Nell’immediato secondo Dopoguerra il primo ministro cristiano-sociale Joseph Bech immaginava, nell’ambito dei grandi Padri fondatori, il rilancio dell’Europa con la messa in comune delle risorse del carbone e dell’acciaio (CECA). Nel 1970 Pierre Werner offriva all’Europa, su proposta del Commissario francese Raymond Barre, il Piano per la creazione per tappe di una unione economica e monetaria per l’Europa che porta il suo nome.

All’inizio degli Anni ‘80 Gaston Thorn, quale presidente della Commissione, emetteva una famosa opinione sui settori europei a monopolio statale che avrebbe in seguito consentito la loro progressiva privatizzazione: dall’energia, ai trasporti, alle poste, alle telecomunicazioni. All’inizio degli Anni ‘90, all’epoca della presidenza della Commissione di Jacques Santer, il ministro lussemburghese dei culti Erna Hennicot-Schoepges immaginava, dieci anni prima dei primi attentati terroristici, per la Commissione europea il ruolo di proposizione del dialogo interreligioso. Compito oggi recepito, certo decenni dopo, dalla Commissione Juncker.

Infine, Jean Claude Juncker lancia nel 2014 il Piano che porta il suo nome. Il FEIS, futuro FEIS 2.0, che ha consentito di indirizzare uno sforzo finanziario importante sugli investimenti strategici, generando 371 miliardi di investimenti a tutto il 2018. Sforzo reso problematico nei Paesi dai conti deficitari a causa di vincoli di bilancio, che almeno in origine non distinguono fra le spese pubbliche correnti e le spese per gli investimenti, ma che ha dato però così il segnale di quanto sia importante per l’intera Europa, e non solo per i Paesi periferici, la politica degli investimenti strutturali.

Oggi il Lussemburgo, con la sua popolazione formata al 46% da residenti esteri sui circa 605 000 abitanti complessivi, forma il polo di una macro-regione estesa al Belgio (provincia del Lussemburgo), alla Germania (Land di Rhenania Westfalia), alla Francia (Lorena). Una macro-regione che prova con evidenza come l’integrazione europea esista non come teleologia consapevole, ma come fatto reale. E come tale può essere anche progressivamente migliorabile nel suo funzionamento, ma va innanzi tutto preservata nelle sua essenza dai cittadini europei. A partire dalle elezioni europee di maggio. Cominciando a votare per le elezioni europee da cittadini italiani anche se si vive in Lussemburgo. L’Europa integrata può essere difesa con coerenza a partire da ogni Paese, proprio per quelle libertà di circolazione e di stabilimento che ne sono il fondamentale presupposto.

Carlo degli Abbati

 

 

 

 

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