Empire di Milo Rau, andato in scena il 29 e 30 novembre 2018 all’Abbazia di Neumünster, è una pièce di teatro documentario, ovvero una forma artistica che predilige la rappresentazione della realtà per smuovere le coscienze con il fine ultimo di provocare un cambiamento nella società.
L’anticonvenzionale autore svizzero, riesce senza dubbio a toccare gli animi con quest’opera a quattro voci. Una realizzazione articolata in cinque atti che rievocano gli episodi della tragedia antica: Teoria delle origini, Esilio, Ballata dell’uomo comune, Sul lutto, Ritorno a casa, in cui trovano spazio le toccanti storie di quattro attori/migranti: un’ebrea di nazionalità romena, Maia Morgenstern, un greco, Akillas Karazissis e due rifugiati siriani, Ramo Ali e Rami Khalaf [1]. Nel focolare domestico dell’intimità famigliare oramai viva solo nel ricordo, i quattro protagonisti, mostrando le loro fotografie e gli oggetti dell’infanzia, parlano di sé, toccando i temi chiave del nostro tempo. Un intreccio narrativo di luoghi, volti, paesi e lingue diverse e, tuttavia, quattro vite che si fondono in un’unica storia dell’umanità, scandita dal dolore della perdita, dell’accettazione del cambiamento e della rinascita. La dittatura dei colonnelli in Grecia, quella di Ceausescu fino alla più recente di Bashar el Assad, ma anche la rivoluzione bolscevica, sono il pretesto per Rau per denunciare il lato oscuro del potere politico. Un potere che quando si fa tirannia, che conduce inevitabilmente alla tragedia, recando in sé trauma e morte.
In un oscillare continuo tra testimonianza e performance, ci si chiede dove sia il confine tra finzione e realtà. La conferma che si tratti di un racconto-verità giunge però immediatamente: si capisce dai loro occhi che si incrociano con quelli dello spettatore grazie al close-up della telecamera.
Di fronte alle immagini agghiaccianti delle vittime di tortura del regime siriano che scorrono sul video, si distoglie lo sguardo e lo si posa di nuovo sugli attori, in un continuo vagare dal palcoscenico al video, dalla verità del racconto biografico alla finzione connaturata al teatro.
Il regista europeo più seguito e controverso dei nostri tempi, ricorda le origini della nostra civiltà non solo scegliendo due attori del Medio Oriente e due della vecchia Europa, ma anche rievocando le tragedie della Grecia Antica, facendo pronunciare, ad esempio a Maia le parole di Medea e ad Akillas quelle di Agamennone: un pretesto per far riflettere sulle comuni radici europee.
La scena si chiude su un filmato in cui Ramo Ali, finalmente tornato in Siria, sperando di riabbracciare il padre, lo ritrova invece al cimitero, come Oreste sulla tomba di Agamennone e crolla nella disperazione, realizzando che non si può tornare indietro, non si possono recuperare gli anni perduti. «Non mi riprendere» dice preso dalla disperazione «non riesco a piangere, quando sono triste vomito». Si spegne il video e l’attore, prima di spalle e con lo sguardo rivolto allo schermo, si gira all’improvviso, guardando il pubblico affranto, quasi a cercare conforto. È proprio il caso di dire, con la Arendt, che «recitare è veramente un’imitazione dell’agire».
La pièce, di non facile fruizione, presentata a Bruxelles nel 2016, conclude una trilogia dedicata al tema dell’Europa iniziata nel 2014 con “The Civil Wars” e nel 2015 con “The Dark Ages”. In Italia, “Empire” è stato presentato nel 2017 al Contemporanea Festival di Prato e sarà ancora di scena l’estate prossima, al Festival delle Colline Torinesi, il 16 e 17 giugno ’19.
Il 10 e 11 novembre scorsi, Milo Rau è stato rappresentato anche al Teatro Vascello di Roma nell’ambito del “Roma Europa Festival” con il nuovissimo spettacolo The Repetition, che nel maggio ‘19 arriverà anche al Piccolo di Milano. Nell’autunno ‘19 il Teatro di Roma produrrà un suo Vangelo secondo Matteo da Pasolini.
All’Abbazia è possibile visitare fino al 27 gennaio 2019 la video installazione di Milo Rau “Europe Trilogy”, concepita per illustrare “il concetto morale, politico, storico ed emotivo dell’Europa“. I video presentano otto attori che raccontano le proprie storie, esplorando le basi della memoria e dell’identità europea in mezzo a guerre e genocidi, fondamentalismo religioso, esilio e dislocamento. Come la pièce “Empire”, anche queste testimonianze affrontano i temi chiave del nostro tempo e riaffermano tutte le potenzialità del teatro, ed in generale dell’arte, come strumento di critica politica e sociale. Milo Rau è definito dalla stampa internazionale il regista «più controverso della sua generazione» e «il più richiesto d’Europa».
Emanuela Schiavoni
[1]Ramo Ali è nato nel 1985, è curdo e viene da Qamishili, una città della Siria settentrionale. Dopo essere stato nella prigione di tortura a Palmyra, fugge in Europa. Ne afferra immediatamente i confini, il senso di fortezza e chiusura: approda prima in Italia e poi con un falso documento rumeno giunge in Germania, dove vive tuttora e lavora come attore alla Theatre Academy di Ulm e al Theater Theatre di Augusta.
Akillas Karazissis, attore e regista, nasce nel 1957 ad Atene e nei primi anni ottanta si trasferisce a Heidelberg per studiare politica. Nella sua autobiografia narra le storie di viaggio, migrazione e esilio di suo padre, agiato commerciante greco trasferitosi in Russia a inizio secolo e che aveva ritenuto la rivoluzione un valido motivo per rientrare in patria.
Rami Khalaf, ha recitato in numerosi show televisivi e produzioni teatrali siriane, nasce nel 1983 a Katana, un sobborgo di Damasco. Ha lasciato il suo paese nel 2012 e dopo essersi fermato in vari paesi europei, ora vive a Parigi dove lavora a progetti di protesta contro il regime.
Maia Morgenstern è nata nel 1962 a Bucarest. Attrice di fama internazionale, è stata scelta per il ruolo di Maria nel film di Mel Gibson “Passione” del 2004, come racconta lei stessa nella performance. Nel 2012, è diventata direttore artistico del Teatro ebraico di Bucarest.