marx

A duecento anni dalla nascita del Moro di Treviri il Circolo “E. Curiel” organizza un dibattito pubblico  libero venerdì 5 ottobre (ore 19) sull’attualità del pensiero di Marx con Gianni D’Amo*, docente di filosofia e studioso del pensiero marxista.

Intervista in anteprima.

Perché è importante oggi conoscere Marx? E parafrasando Benedetto Croce, “cosa è morto e cosa è vivo di Marx oggi?”

Se un alieno sbarcasse sulla terra e noi dovessimo indicargli dieci libri che contengono le conoscenze essenziali per orientarsi nel nostro mondo, uno di questi sarebbe senz’altro Il Capitale di Marx, edito per la prima volta centocinquanta anni fa e che nelle primissime righe descrive la situazione com’è oggi: “il mondo è un’immane distesa di merci”.

Come gli riconosce il suo amico Engels nell’orazione funebre al cimitero di Highgate a Londra nel 1883, “Marx sapeva vedere più in profondità e più lontano di ognuno di noi“. Naturalmente non era – e non voleva essere – un indovino.

È stato un intellettuale rivoluzionario che, in decenni di eccezionale impegno nello studio, ha messo a fuoco un metodo di ricerca che vede le cose non in superficie ma nei loro nessi essenziali. Ha scoperto sistemi di relazioni che non si colgono coi cinque sensi, non si vedono a occhio nudo, ma sono determinanti per il nostro modo di vivere, cioè reali: il mercato mondiale, l’incessante e impersonale valorizzazione del capitale, l’affermarsi di relazioni tra donne e uomini come relazioni tra merci e funzioni piuttosto che tra persone ognuna dotata della sua irriducibile individualità. Marx ha scoperto – e lo si è chiamato materialismo storico – che il modo in cui è organizzata, la produzione e riproduzione materiale della nostra vita incide anche sul nostro modo di pensare, di provare sentimenti, di essere ciò che siamo. E viceversa.

La sua proposta comunista: visto che non è mai stata compiutamente realizzata, dobbiamo giudicarla irrealizzabile?

La sua proposta comunista poggia sulla sua analisi del modo di produzione capitalistico. Come Adam Smith, grande economista scozzese di fine Settecento, Marx sa che l’accumulazione e la concentrazione di grandi capitali finalizzati alla perenne valorizzazione genera ricchezza materiale diffusa, sviluppa le forze produttive. Andando oltre Smith, sa che insieme alla ricchezza, un tale modo di produzione genera anche povertà, che in ogni latitudine il Nord produce il suo Sud: non è un problema geografico, ma di divisione internazionale del lavoro nel mercato mondiale, che pretende che si lavori sempre più a salari più bassi possibile: credo basti guardarsi intorno, vicino e lontano, per cogliere tale situazione.

Il modo di produzione capitalistico si basa sulla divisione del lavoro, che da allora ad oggi si è venuta sviluppando sempre più, producendo il fenomeno per cui le macchine sono non più strumenti degli uomini, ma gli uomini diventano prolungamento delle macchine: dettano i modi e i tempi della nostra vita. Si tenga presente che Marx ci ha lasciato migliaia di pagine di analisi critica dei modi di produzione nella storia e in particolare di quello capitalistico, e non più di qualche decine di pagine sul comunismo.

Se dovessi sintetizzare due sue formulazioni, proporrei le seguenti: “il comunismo è l’autogoverno dei produttori” e “il comunismo è il superamento della divisione tra lavoro manuale e intellettuale, tra lavoro ideativo e meramente esecutivo”.

Il tentativo dell’Ottobre sovietico, per molti e complessi motivi, si è del tutto allontanato da questo tipo di orizzonte, adottando sostanzialmente i modelli industriali tayloristi e fordisti, accompagnati da tutta l’inefficienza tipica delle scelte iperstataliste, in un contesto storico di sostanziale assenza di una cultura del dibattito libero e pubblico, già pochi mesi dopo la rivoluzione. Ne sono seguire epopee come la resistenza all’invasione nazista da una parte, e il gulag dall’altra. Quel comunismo è certamente fallito, producendo anche esiti tragici.

A me pare di poter dire che un’ipotesi di tipo comunista certo non può ripartire da quel tentativo,  dal partito di rivoluzionari di professione e dalla dittatura del proletariato, espressione che pure è presente in qualche secondario passaggio di Marx.

In uno degli ultimi scritti marxiani, che è un commento al programma della nascente socialdemocrazia tedesca a Gotha nel 1875, Marx scrive che il motto del comunismo è: “da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni. Per un secolo e mezzo ci si è concentrati troppo sulla seconda parte della frase, troppo poco sulla prima. Penso sia all’ordine del giorno il problema di un diverso ordine mondiale, assolutamente urgente e che non si possa fare alcun passo in avanti se non pensando e praticando situazioni – dalle più piccole alle più estese – in cui ognuno di noi dà il meglio di sé e di certo ciò non può avvenire se la regola fondamentale è l’impersonale valorizzazione del capitale che intreccia oggi arricchimenti incommensurabili e velocità digitale.

Dante Alighieri paventava sette secoli fa l’avarizia come la “bestia” più pericolosa, “…la lupa, che dopo il pasto ha più fam che pria”: trangugia ricchezze e risorse che sarebbero in grado di sfamare il mondo, e senza avere neppure fame. È come se fossimo dominati da un moderno Leviatano, un mostro biblico che crediamo di controllare mentre è lui che controlla noi. Qualcosa bisogna fare, non saprei se chiamarlo comunismo, che pure è una parola importante, come comunità e altre, che rinviano al fatto che nessun uomo può essere felice in mezzo all’infelicità altrui.

Quale lettura semplice ma significativa consigli per avvicinarsi a Marx e conoscere il suo pensiero?

Partirei dal Manifesto dei comunisti del 1848, soprattutto le prime due parti, tenendo presente quando è stato scritto. Le pagine dell’Ideologia tedesca sulla formazione delle comunità degli uomini – le prime di materialismo storico – sono molto belle.

Il Capitale – mi riferisco al I libro – è un testo lungo e anche difficile: ma se uno lo prendesse in mano e cominciasse con le pagine cosiddette sul “plusvalore relativo”, cioè la descrizione anche storica delle trasformazioni nel modo di lavorare e produrre degli uomini fino alla grande industria meccanizzata, forse gli verrebbe voglia di impegnarsi e provare a leggerlo tutto. Un libro che consiglio con assoluta convinzione e senza riserve è La situazione della classe operaia in Inghilterra di Friedrich Engels, l’amico di Marx di tutta la vita.

Andrea Tirelli

 

*Chi è Gianni D’Amo

tudioso del pensiero marxista e della storia del Movimento operaio, ha approfondito le ricerche sulla Resistenza in collaborazione con Anpi, Istituti Storici della Resistenza e dell’Età Contemporanea (ISREC) e le Fondazioni ISEC di Milano e Luigi Micheletti di Brescia. Redattore e poi direttore alla fine degli anni Ottanta del settimanale politico “Interstampa”, nel 1991 ha contribuito alla nascita di “Kamen’, rivista di poesia e filosofia del cui Comitato di redazione fa tuttora parte. Lettore interessato a quanto dicono i libri, saltuariamente anche ne scrive: nel 2008, per la collana “In Dieci libri. Letteratura e critica dell’anno 07/08” della Libri Scheiwiller, ha pubblicato “Il saggismo morale di Bellocchio” e “L’ombra lunga della guerra. Intervista a Guido Crainz”. Nel 2011 è stata edita la trascrizione della sua conferenza “Fatta l’Italia, fatti gli Italiani? I nodi irrisolti della storia della nazione” e nel 2012 ha scritto “La società dello spettacolo. Il libro e la cosa” pubblicato in “Città in controluce” n. 21-22. Nel 2006 è stato, con Piergiorgio Bellocchio e altri, tra i fondatori dell’associazione politico-culturale Cittàcomune (www.cittacomune.it/primapagina.html), di cui è attualmente presidente.

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