Sarajevo è accoglienza.
Sarajevo è servizio.
Sarajevo è dolore.
Sarajevo è accoglienza perché, da quando mi hanno proposto di andarci come volontaria l’anno scorso, la mia vita è cambiata: in meglio.
Così, quest’anno, la mia esperienza si è arricchita perchè, nel mese di luglio, ho accolto a casa mia per tre settimane, Selver, un ragazzino dell’orfanotrofio di tredici anni, molto gentile, educato e simpatico. Il suo fratellino, Mirnes, è stato accolto dalla famiglia della mia amica Elisabetta, che mi ha coinvolta in questa splendida avventura! Durante le tre settimane di permanenza, siamo stati al lago, abbiamo passeggiato per Milano e siamo usciti con vari amici, nei fine settimana e alla sera perché, di giorno, andava all’Oratorio estivo. E’ stata un’esperienza molto bella, nonostante la nostra comunicazione fosse in inglese (e, da parte mia, neanche molto brillante!), che mi ha dato la possibilità di coinvolgere Selver in una serie di attività diverse da quelle che svolge abitualmente. Vederlo così sereno e felice mi ha riempita di gioia! Spero sia tornato a Sarajevo ricco delle emozioni che ha vissuto e che ha trasmesso anche a me.
Sarajevo è servizio perché, dopo l’accoglienza, in agosto ci sono tornata come volontaria. Quest’anno, oltre a far la cuoca insieme con un’altra ragazza, sono riuscita ad andare in orfanotrofio due volte, nella struttura di S.O.S. Village, dove c’era il mio bambino. Sono stata veramente felice! Lì ho constatato la massima espressione dell’accoglienza: la loro nei nostri confronti. Grandiosa, festosa, gioiosa, struggente e, soprattutto, vera.
Questo periodo a Sarajevo è stato come essere un bruco in un bozzolo: un momento unico, come se il tempo si fosse fermato, come se null’altro potesse accadere. Poi si torna, bruscamente, alla vita reale e, allora, il bozzolo si schiude ed esce la farfalla, ossia, l’amore generato dalla convivenza con una realtà difficile. La ricchezza di amore che viene elargita dai bambini che vivono una situazione di abbandono è infinita e ti ricarica. E’ l’iniezione di amore che, poi, dobbiamo mettere nella nostra vita di tutti i giorni.
Sarajevo è dolore perché, al ritorno dal nostro viaggio, uno dei ragazzi-adolescenti che era venuto con noi, ha posto fine alla sua esistenza. La voglia di vivere non ha avuto il sopravvento sulla voglia di morire. Una tragedia che si è consumata nonostante lo strascico di gioia che l’aveva pervaso durante la settimana di volontariato.
Ecco: tutto questo è per me Sarajevo. Una nota dolce e rosea in un mondo che può, anche, far male.
Anna Violante