Almeno pensami, il brano che con la sua struggente e delicata malinconica, rappresenta la continuità, il sottile filo invisibile che lega l’oggi a ieri, il presente al remoto, l’attimo all’infinito è l’inedito di Lucio Dalla con cui Ron ha aperto ieri sera (7 maggio, ndr) alla Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma il concerto “Lucio! Il tour” e con il quale si era aggiudicato il premio della critica Mia Martini all’ultimo Festival di Sanremo. Non una scelta casuale la sua, perché da subito, si percepisce che non sarà un concerto come tanti.
Ron sta portando in giro per l’Italia qualcosa di più, molto di più. Lo spettacolo, scritto insieme a Vincenzo Incenzo (che ne firma anche la regia) è un mix di musiche e parole, luci e immagini, emozioni e sentimenti, aneddoti e racconti inediti da parte chi, come lui, Lucio lo conosceva davvero bene.
Sul palco, su un grande schermo, in una perfetta interazione di musiche, immagini, colori e parole, si rincorrono i ricordi di persone famose, come Dan Peterson, che racconta la sua passione per il basket o il regista Pupi Avati, illustre concittadino bolognese. Ma Lucio, che ascoltava le voci dei bambini che giocavano, guardava le rondini che sfrecciavano sotto i portici e sentiva gli odori di cucinato che arrivavano dalle finestre, che amava la sua città in modo viscerale, Lucio raccontava ed è raccontato anche dagli umili, dai piccoli, dai sofferenti. Non è un mondo facile quello che Dalla metteva nelle sue canzoni, ma un mondo malconcio con un’unica via d’uscita: l’amore.
E questo amore si respira, oggi come allora, sentendo le note sussurrate piazza Grande, 4 marzo ‘43, La Casa in riva al mare, L’Ultima Luna, di Futura e di Domani che sono rassicuranti carezze per un futuro migliore.
“Lui che era un musicista geniale – racconta Ron – che poteva passare ore con grandi personalità e subito dopo chiacchierare amabilmente con i clochard per strada, voleva essere tante cose, voleva scambiare il suo vestito con Indiana Jones o Valentino Rossi o Nuvolari, o essere un frigo, un flipper o un jukebox. Ma c’è un elenco più intimo che fa la misura di tutto l’attaccamento che Lucio aveva per la vita ed erano tutti gli oggetti a cui lui teneva per amore: un vestito, un rossetto, una spiaggia, un mare. A lui importava esserci, con un oggetto attaccato a qualcuno da poter amare, come canta in Tu non mi basti mai.
E poi voleva essere alto, biondo, invisibile, zingaro libero come confessava in Se io fossi un angelo. Chissà se lo sai , Lucio, che il paradiso, adesso, è ogni sera quando qualcuno canta una tua canzone, il paradiso è nel cuore di tutta la gente che continua a volerti bene”.
Il pubblico segue in silenzio, sorprendentemente catturato dalla magia di “vederlo” ancora una volta così prepotentemente sul palco, di “sentirlo” ancora una volta improvvisare a modo suo, mentre un grande artista come Ron, si fa piccolo, quasi scompare con ammirata deferenza, mentre intona con la sua chitarra e la sua voce brani che hanno fatto la storia della musica italiana.
E mentre questa “estasi musicale” pervade gli occhi e il cuore di chi ascolta, c’è un momento in cui il miracolo pare compiersi davvero.
La grande sagoma luminosa, di un uomo piccolo nel fisico e immenso nel talento, che, al centro del palco, ha catturato l’attenzione degli spettatori per tutto il concerto, pare prendere nuova vita ed animarsi. E allora è Lucio che canta Come è profondo il Mare. E quando Ron, al pianoforte, canta Anima, tutti pensiamo che la sua deve essere davvero immensa per aver regalato un tributo tanto speciale a un compagno di avventura nella vita e in questa esperienza teatrale assolutamente straordinaria.
Alla fine la magia si è compiuta e quando il pubblico si è risvegliato da questo incantesimo ha decretato il giusto applauso a Rosalino, alla sua strepitosa band e soprattutto a Lucio che, per fortuna, c’è ancora!
Gilda Luzzi