La giornalista freelance Laura Silvia Battaglia e suo marito, lo chef Taha al Jalal, torneranno nuovamente nel Granducato di Lussemburgo, ospiti della Società Dante Alighieri, il prossimo sabato 10 marzo (ore 19) per farci scoprire i sapori della cucina mediorientale, in occasione dell’aperitivo yemenita. La documentarista specializzata in Medio Oriente e zone di conflitto autrice, con la fumettista Paola Cannatella del libro “La Sposa yemenita” (Edizioni Becco Giallo, 2017), ci racconterà lo Yemen, un paese poco conosciuto e attraversato da una guerra dimenticata.
Per scoprire qualche pagina del libro, cliccate su Fumettologica.
Inoltre, domenica 11 marzo dalle 10 alle 12,30, la reporter terrà un workshop sul Giornalismo in areeo di crisi.
(Per iscrizioni: segreteria@ladante.lu)
Intervista.
Come si caratterizza la cucina yemenita? Quali sono i piatti che proporrete ?
La cucina yemenita è un crocevia di sapori sulla via della Seta, tra l’India, il Corno d’Africa, l’Iran e il Mashrek (l’insieme dei paesi arabi che si trovano a est rispetto al Cairo e a nord rispetto alla penisola arabica, ndr). Dentro potete trovare alcuni sapori simili a quelli indiani (il mahdi, riso e carne affumicata; o lo chai halib, il thè al latte con cardamomo e chiodi di garofano, così simile a quello indiano) ma anche a quelli iraniani (la kabsa, riso e pollo con spezie come la cannella; o lo shafoot con pane e yogurt) e materiali, come il semolino, molto presenti nella cucina del Corno d’Africa. Mentre i dolci (come la kunafa, con miele e formaggio filante) sono mutuati dal Mashrek. Noi proporremo tre piatti adatti ad un aperitivo (hummus, balilla, shafoot) e un dolce tipicamente yemenita, la basbusa.
Puoi dirci un paio di curiosità sullo chef?
Taha al Jalal è un po’ un cuoco per caso. Ha iniziato a cucinare yemenita a casa, nel 2015, per colmare la nostalgia di casa con i sapori. Poi a Milano per un’associazione che si occupa di organizzare serate di cucina etnica. Fino ad arrivare a Masterchef Italia 2018: giovedì 22 febbraio ha partecipato alla puntata UNA MISTERYBOX INTERNAZIONALE e andata in onda su Sky. Taha non è alla sua prima trasferta da chef in Lussemburgo: lo scorso anno è già stato ospite del circolo”Eugenio Curiel”.
Quante volte ci sei andata e cosa ti ha attratto di questo Paese?
Ho vissuto in Yemen 6 mesi l’anno per 4 anni, dal 2012 al 2015. Dopo l’inizio della guerra sono rientrata per due mesi (dicembre 2016-gennaio 2017) e ho lavorato come field researcher per una missione di Watchlist for children in armed conflict, una NGO americana che fa attività di advisory per UN. Quando misi piede in Yemen la prima volta, lo feci su suggerimento del collega e amico fotografo Giulio Petrocco. Mi disse: “Devi assolutamente andare, è il posto perfetto per te“. Giulio mi conosce bene e aveva perfettamente ragione. Andai all’inizio per isolarmi un po’, dimenticarmi del giornalismo da desk per qualche mese, godermi la bellezza dell’architettura di Sanaa e per prendere un diploma di lingua araba standard. Ma poi andò diversamente: arrivò il lavoro, e poi anche la famiglia.
(Si chiama Cronache della Mezzaluna, la rubrica di Laura Silvia Battaglia per il sito di Reportage, a cui potete accedere da QUI)
Perché in Yemen c’è la guerra e perché è una guerra dimenticata?
La guerra, scoppiata a fine marzo 2015, c’è perché il processo di transizione dalla rivoluzione del 2011 a nuova Costituzione e nuovo governo, in questo Paese, non c’è mai stato. La Conferenza di dialogo Nazionale si spaccò, tra le componenti tribali, sul tema del federalismo e del disarmo. Quando i ribelli del Nord, che di fatto polverizzarono la Conferenza, occuparono la capitale Sanaa, a fine 2014, già ampi settori dell’esercito erano con loro. Di qui, la reazione del Governo Centrale che, cacciato dalla Capitale, chiese aiuto esterno alla Coalizione dei Paesi del Golfo a guida saudita nel marzo 2015. Il resto è più o meno noto: da questo conflitto non si riesce ancora ad uscire. La guerra, infine, è dimenticata perché non se ne parla e non se ne parla per alcuni motivi: perché sono pochissimi i giornalisti che hanno accesso a questo teatro di guerra; perché viene percepito come un conflitto locale e regionale, al massimo come una guerra tra sunniti e sciiti (che tale esattamente non è) e che dunque può toccare poco l’Occidente; perché ancora l’Europa non ha ricevuto un alto numero di richiedenti asilo yemeniti, come invece è accaduto per i siriani, sulle sue coste e sui suoi confini.
Come ha scritto Giovanna Pandolfelli, presidente della Dante Alighieri Lussemburgo nella recensione su Noi Donne del tuo libro “La sposa yemenita”, scritto con la fumettista Paola Cannatella: Con gli occhi di un’occidentale, riusciamo a vedere attraverso la narrazione delicata di Laura Silvia Battaglia le contraddizioni di un mondo in cui, accanto ad una raffinata architettura, ad una ricchezza culturale ed artistica, convive una realtà di rapimenti di stranieri, tratta di bambini, attacchi suicidi.
Attraverso l’obiettivo e la penna del reporter, la Battaglia documenta tutto questo senza falsi moralismi, né toni scandalistici. Ti chiedo: quanto è stato difficile raccontare questa guerra scoppiata in un Paese con cui hai un legame sentimentale?
Molto. Devi sempre stare in equilibrio. Mettere a tacere la parte emotiva per fare spazio all’analisi, alla considerazione politica degli eventi. Oppure, al contrario, relegare l’analisi geopolitica un passo indietro, per dare spazio alle voci della società civile. L’altra grande difficoltà è come essere fedele al tuo mestiere, denunciando tutte le violazioni delle parti in guerra, e, allo stesso tempo, proteggere la tua famiglia da possibili ritorsioni.
La conferenza che terrai alla Società Dante Alighieri-Lussemburgo è intitolata “Le mura di Sana’a: lo Yemen tra guerra e bellezza”. Quando la guerra finirà, riusciremo a riscoprire la bellezza dello Yemen?
Recentemente, un’analisi dell’International Crisis Group ha calcolato che lo Yemen non uscirà dalla guerra prima del 2023. Ecco, spero che per quella data, semmai i ricercatori di ICG abbiano avuto ragione, qualcosa della bellezza yemenita, sia delle sue ricchezze archeologiche e architettoniche, sia della naturale grazia e gentilezza dei suoi abitanti, sarà ancora rimasto in piedi e ben visibile. Lo spero con tutta me stessa.
Paola Cairo