“Play Verdi” è il progetto ideato dal chitarrista e compositore Nicola Puglielli in occasione del Bicentenario (1813-2013) della nascita del Maestro Verdi.
Serve una gran dose di coraggio per avvicinarsi ad uno dei massimi operisti della storia musicale italiani com’è Verdi. Eppure il suo repertorio non è estraneo da tempo all’interesse dei musicisti del mondo del jazz. Un precedente storico, non trascurabile, fu già nello scorso secolo dei musicisti americani del jazz tradizionale che conoscevano e amavano il melodramma europeo. Costoro si avvicinarono soprattutto al melodramma italiano, del quale non di rado citavano le romanze nelle loro opere. In un titolo di King Oliver del 1923 compare un’ampia sequenza della Vergine degli Angeli dalla Forza del Destino di Verdi.
Play Verdi è stato pensato, secondo le parole dell’ideatore Nicola Puglielli, come un laboratorio aperto dove i musicisti del quartetto divengono co-autori. Per chi era seduto lo scorso martedì 6 ottobre nella Sala Studio dell’Auditorium Parco della Musica di Roma ad ascoltare il live, si è trattato però anche di un godibilissimo percorso sonoro in forma di realizzazione tecnico jazzistica, nelle memoria di alcuni capolavori scelti di Verdi.
Composizioni che si vorrebbe fossero più spesso parte viva del bagaglio di ascolti di un fruitore di musica live.
Forse proprio nel paesaggio naturale e culturale quotidiano degli spazi per ascoltare musica. Proprio come è avvenuto in questa occasione oltre la ricorrenza istituzionale.
Il Verdi da quartetto pensato da Nicola Puglielli (Andrea Pace al sax, con il contrabbasso di Piero Simoncini e la batteria di Massimo D’Agostino) è stato guidato nella sua insolita operazione di trasformazione da organico orchestra operistica a quartetto jazz, da una scelta attenta di interpretazione. Una buona ora di musica in cui ripensare al’immenso tesoro concepito da un uomo con una visione non solo sonora: un venerabile moderno tra preludi, sinfonie e ouverture scelte dal quartetto per affinità e passione.
Al pubblico dell’Auditorium è arrivato l’allaccio senza forzature delle melodie originali verdiane al suono degli strumenti più tipici dell’organico jazzistico. Il tutto è avvenuto senza che sulla sponda del linguaggio “moderno” facesse capolino l’ombra della autoreferenzialità: quel “jazz mode” trito e pieno di costrutti noto ai fruitori del genere, anche perché prolifera anche funzionalmente in operazioni di migrazione di repertorio di questo segno.
Questi suonatori di Verdi fuori tempo storico hanno avuto anche il merito di condurre un impeccabile percorso nel solco più onesto con cui ci si può accostare ad un simbolo risorgimentale: Verdi risveglia, nella accezione comune, il senso di appartenenza nazionale ed il sentimento civico da manuale quasi scolastico.
Eppure il collante culturale che ha funzionato a fasi alterne, ed anche di recente, a favore di nazionalismi deprimenti non dovrebbe far pensare che siamo in un Paese frammentato anche grazie all’esatto annientamento proprio della cultura in senso ampio?
In epoca di crisi della “cosa pubblica”, facendo fallire proprio la retorica pomposa del primato storico musicale italiano, conforta il buonsenso di un musicista che ci parla, come ha fatto Puglulielli sul palco, della nostra vera musica “A km zero” .
L’ammirazione istituita mista al confuso accademismo quando ci si accosta ai numi tutelari tipo Verdi, spesso non è altro che un modo diverso per raccontare la solita dicotomia tra musica classica e musica dal XIX secolo.
Playverdi Quartet fa jazz e fa riflettere per di più sull’ altra accettatissima separazione tra musica improvvisata vs musica scritta e tramandata.
In ultimo: una chiave di lettura “altra” non comporta mai se condotta con talento e competenza, la contrazione della autorevolezza del modello.
Un live come quello dei Play verdi suggerisce che se è colta la bellezza tangibile dell’originale, al di là delle fatiche immani da arrangiamento, non si fa che amplificarne la perfetta adeguatezza al presente.
Per chi non era in sala la scorsa settimana, è indispensabile il disco di esordio del Quartetto Play Verdi per Terre Sommerse edizioni.
Valentina Pettinelli