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Il sito della Farnesina www.viaggiaresicuri.it raccomanda quest’estate di esercitare in tutto il Paese la massima prudenza, evitando ove possibile luoghi affollati e assembramenti, e di prestare particolare attenzione nelle vicinanze dei posti di polizia.

I giornali non governativi l’avevano annunciato all’indomani del 7 giugno scorso, data delle ultime elezioni politiche conclusesi con una cocente sconfitta per il partito islamista AKP al potere ininterrottamente da dodici anni.  Già la campagna elettorale era stata delle più singolari. Il presidente della Repubblica turca Recep Tayyep Erdogan, che a norma di costituzione riveste funzioni meramente protocollari, come in molte democrazie occidentali, dopo essersi impegnato per tutta la campagna elettorale a insultare i candidati avversari del suo parito AKP, ha ottenuto il risultato contrario a quello sperato. In gran parte per merito della minoranza curda, che per la prima volta nella sua storia è riuscita ad aggregarsi in un partito, l’HDP, il quale, dando voce a tutte le altre minoranze del Paese ha superato la proibitiva soglia di sbarramento del 10%.

Il partito islamista sul quale l’UE negli anni passati aveva appuntato non poche speranze, non potrà pertanto governare da solo e non potrà cambiare la costituzione per trasformare la Turchia in una repubblica presidenziale. Così queste elezioni si dovranno rifare sapendo che senza l’AKP al governo in Turchia non ci sarà pace. E, dunque, sono cominciati subito gli attentati dell’ISIS.

Da tempo i legami con questa organizzazione terroristica non erano più un segreto.

I giornali dell’opposizione avevano pubblicato le foto dei camion dei servizi segreti carichi di armi destinate all’ISIS, oppure dei cavi delle centrali elettriche che alimentano le loro basi in Siria. E ancora: le fotocopie dei bonifici bancari a favore del califfo Abu Bakr al-Baghdadi.

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Così il 20 luglio a Suruç, nel sud-est del Paese, al raduno di giovani curdi venuti da tutta la Turchia a manifestare la propria solidarietà ai curdi siriani attaccati dall’ISIS e a portare giocattoli ai loro figli rinchiusi nei campi profughi, un kamikaze dell’ISIS si è fatto esplodere uccidendo 33 giovani e ferendone un altro centinaio. I governi europei, sempre attenti al bon ton della diplomazia politically correct ma non privi di cinico umorismo, hanno subito fatto le condoglianze al governo turco che la stampa libera considera  apertamente il mandante di questa strage.

Ecco il significato della vignetta pubblicata il giorno dopo in prima pagina dal quotidiano Evrensel, che fa dire a Erdogan: “Anche io sono innocente, in fondo gioco solo coi miei giocattoli”.

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Strano comportamento di uno stato candidato all’adesione. Ancora non molti anni fa una prestigiosa rivista di geo-politica italiana si rammaricava che l’adesione della Turchia non procedesse abbastanza sveltamente e titolava “Chi ha perso la Turchia?”. Sarebbe interessante sapere che ne è oggi di tutte quelle lambiccate speculazioni sull’importanza strategica di integrare la Turchia nell’UE, degli elucubrati benefici per l’economia europea derivanti dall’apertura di un mercato di 80 milioni di consumatori in crescita demografica esponenziale.

Al momento riesce solo difficile immaginare in che modo l’UE, che già stenta a gestire se stessa, potrebbe convivere con un Paese in piena deriva autoritaria, con un’economia in caduta libera e sull’orlo di un’incombente guerra civile. Non si capisce bene se e in che modo ottemperi ancora ai criteri di Copenhaghen, ma di certo la Turchia porge oggi all’Europa uno specchio impietoso, uno specchio che riflette tutte le sue contraddizioni e tutta la sua miopia. Come quando nel medioevo i papi lanciavano le crociate contro Costantinopoli ortodossa per farla cadere nelle mani delle orde turche o i re di Francia armavano i sultani perché attaccassero gli odiati austro-ungarici. Ora l’Europa ha bandito le guerre sul suo suolo, ma vende le armi a uno Stato candidato all’adesione che bombarda i propri cittadini.

Istanbul è bellissima in questi giorni d’estate. Le rive del Bosforo cementificate all’inverosimile come i laghi e le coste italiane per accogliere sempre nuovi e danarosi esuli arabi straboccano di ristoranti e negozi alla moda. Malgrado tutto è l’unica città del mondo islamico in cui si può ancora vivere liberamente e sicuramente.  La microcriminlità è quasi inesistente se comparata ad una qualsiasi città italiana.

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Ieri un gruppo di fuoco ha preso di mira i poliziotti di guardia al palazzo imperiale di Dolmabahçe. Fortunatamente ha mancato il bersaglio. I due presunti autori sono stati arrestati poco dopo.  Ogni tanto la polizia annuncia di avere scoperto pacchi di esplosivi abbandonati nelle stazioni della metropolitana. Non si sa ancora chi ce li mette. Il PKK occupato a difendersi dall’ISIS in Siria effettua solo operazioni contro obiettivi militari per ritorsione contro i massacri indiscriminati di civili curdi nell’Anatolia orientale sotto l’ombrello dela NATO.

Due giorni fa Erdogan ha rifiutato di dare l’incarico di formare il nuovo governo al CHP, il secondo partito repubblicano e kemalista uscito vincitore dalle elezioni. Se l’avesse fatto avrebbe commesso un suicidio. Il CHP aveva annunciato infatti l’apertura di un’inchiesta sugli scandali finanziari che coinvolgono il partito e la famiglia del Presidente. In uno dei Paesi più corrotti dell’area – che pero’ nelle statistiche di Transparency International, viene dopo l’Italia – la UE finanzia generosi programmi di lotta alla corruzione. Verrebbe da sorridere se non si trattasse di denaro pubblico prelevato dalle tasse dei contribuenti europei. Così come finanzia faraonici progetti di pseudo sviluppo economico e di vera distruzione dell’ambiente e del patrimonio. Il popolo turco, i giovani, gli intellettuali che vorrebbero vivere in uno Stato europeo e non in una satrapia asiatica, stentano a capire da che parte sta l’UE.

Erdogan ha annunciato che le elezioni che ha perso il 17 giugno si rifaranno il 1° novembre. Cumhuriyet, l’autorevole quotidiano liberal, ha titolato: “Elezioni a ripetizione finché non vince l’AKP”. Il problema è che per vincerle Erdogan ha bisogno ancora di alcune decine di morti. E Bruxelles tiene già pronti i telegrammi di condoglianze.

Jean Ruggi d’Aksaray

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