Il dibattito è cominciato da qualche tempo. Ogni settimana sulla stampa nazionale vengono pubblicati i risultati di sondaggi o approfondimenti politico-economici. Sulla carta c’è il prossimo Referendum consultativo, che si terrà in Lussemburgo il 7 giugno prossimo, per il quale potrà votare solo chi ha la cittadinanza lussemburghese.
Il quesito che ci riguarda più da vicino è quello sul diritto di voto per le elezioni politiche ai cittadini stranieri a condizione che risiedano nel Paese da almeno 10 anni e che abbiano già votato alle comunali.
Innanzitutto qualche dato: il Lussemburgo ha permesso alle donne di votare nel 1919, l’Italia nel 1946. Il 44% della popolazione residente ha passaporto di un altro Paese. Questo significa che 44 persone su 100 che lavorano, vivono e pagano le tasse, mandano i propri figli a scuola nel Granducato, senza essere rappresentate in Parlamento.
Quindi, tra quelli che sostengono il SÌ, i più avanguardisti affermano che, attraverso questa consultazione popolare si può lanciare un messaggio forte all’Europa: il Granducato non è solo il Paese delle banche (o delle frodi) ma anche un modello democratico e di intergrazione. Inoltre, allargare il diritto di voto agli stranieri significa essere uguali di fronte alla legge. Come può un governo eletto solo da meno della metà della popolazione residente essere considerato il rappresentante legittimo dell’intera società lussemburghese?
Quelli che sostengono il NO insistono sul concetto di identità culturale che si esprime, secondo loro, attraverso l’identificazione con i valori lussemburghesi e l’apprendimento della lingua nazionale. Ora l’identità nazionale è complessa, non la si può ridurre solo alla lingua e ai valori. L’identità di ognuno di noi non è univoca ma in divenire ed è il risultato delle nostre convinzioni, delle nostre esperienze di quello che siamo, pensiamo e progettiamo.
Come possiamo solo essere solo italiani ?
O solo lussemburghesi ?
Specialmente come possono esserlo gli espatriati che una volta giunti in un nuovo Paese, apportano tutto il loro vissuto per “arricchire” il loro presente e il loro futuro?
Non possiamo solo essere cittadini europei?
È innegabile che il lussemburghese sia diventato, nel tempo, uno degli elementi essenziali di ciò che molti considerano l’identità del Paese ma il valore aggiunto del Paese che ci accoglie è il multilinguismo, che è la caratteristica principale della società in cui viviamo.
È vero che quando “noi stranieri” abbiamo avuto la possibilità di iscriverci alle liste elettorali per il voto alla comunali e alle europee abbiamo gioito di questa opportunità (che non è la stessa in tutta Europa) ma è anche vero che il tasso di partecipazione è stato abbastanza basso. Come se non ci interessasse votare per eleggere (o essere eletti) per il nostro sindaco e il rappresentante nazionale al Parlamento europeo. Quindi, la responsabilità sarà di tutti.
Se vinceranno i SÌ, il Parlamento dovrà cambiare la Costituzione prima e poi formulare e approvare una legge che conceda il diritto a tutti. Quindi, non si prevedono tempi brevi. Se vinceranno i NO, significa che i lussemburghesi avranno avuto paura.
Xavier Bettel, primo ministro lussemburghese il cui partito sostiene il SÌ, durante il suo discorso di apertura del 35° Festival des Migrations, Cultures et Citoyennetè ha detto, a proposito del Referendum, che dare agli stranieri il diritto di voto non significa togliere diritti ad altri cittadini bensì renderli tutti uguali. E noi aggiungiamo uguali come detentori di diritti umani individuali, prima di essere soggetti di Stato di diritto.
Paola Cairo