In occasione dell’aperitivo storico organizzato dalla Società Dante Alighieri, Comitato Lussemburgo sabato 25 gennaio alle ore 20 presso i locali di St. Ulrich 25 nel quartiere del Grund, incontriamo Nicola Mastronardi, giornalista appassionato di storia, specialmente quella della sua bellissima terra, autore di un avvincente romanzo storico dal titolo Viteliù (Itaca Edizioni).

È con stupore che scopriamo che questa parola, un termine osco, che ci suona vagamente familiare, è l’antenata del vocabolo Italia, nome che  originariamente indicava una confederazione di popoli indipendenti.

Nel 91 a.C. 12 popoli dell’Appennino (tra cui sanniti, marsi, peligni, piceni ) si unirono nella lotta contro Roma per vedere riconosciuti i loro diritti di cittadinanza e indipendenza. Le loro rivendicazioni furono  respinte da Silla in un bagno di sangue, i loro villaggi distrutti e gli abitanti massacrati. Furono condannati alla damnatio memoriae, cosa che evidentemente  continua tuttora , visto che si tratta di una delle pagine meno studiate della nostra storia.

Ne parliamo con l’autore.

 Viteliu-Nicola-Mastronardi

Come le è venuta l’idea di scrivere un romanzo sui Sanniti?

Viteliù è frutto di un processo graduale, durato anni. Non so se c’è stato un momento in cui ho avuto “l’idea”. I personaggi, almeno i principali come Marzio e Gavio Papio Mutilo, sono semplicemente arrivati, uno dopo l’altro e così le scene. Arrivavano, inattese e io dovevo scriverle così come le vedevo per non perderle. Ho scritto ovunque e sui supporti più impensati, persino su scontrini dell’Autostrada o quando ero a cavallo sui fazzolettini di carta che avevo in tasca. E’ la storia che è venuta a me, spesso sorprendendomi; dico sempre di non esserne io  l’autore, ma solo l’estensore. Faccio l’esempio del finale: solo quando ero giunto a scrivere pagina 400 la struttura del romanzo ha avuto un senso compiuto con un finale che non era stato concepito durante la scrittura sino a quel momento. Fu una osservazione di mio figlio a suggerirmelo. Tutto questo ormai, non lo ritengo un caso; oggi sento di dire che tutta la mia vita, le esperienze professionali, le passioni, gli incontri, i luoghi dove sono nato, persino la famiglia da cui provengo: tutto sembra avermi condotto a scrivere degli Italici, dei Sanniti, e della loro storia dimenticata.

Il libro è un’appassionante ricostruzione, a 360 gradi, della vita di 2000 anni fa. Sembra quasi di sentire suoni e odori e persino sapori della Roma e dell’Italia antica. Quanto tempo ci è voluto per documentarsi storicamente prima di scrivere il romanzo?

Appunto, anni, almeno dieci. Ma già quando studiavo la civiltà pastorale transumante, nei primi anni novanta, senza saperlo preparavo Viteliù.

Quali sono le fonti per documentarsi sul popolo sannita, impresa che appare ben più ardua che trovare materiale storico sugli antichi Romani?

Oltre le “tracce” riscontrabili tra i classici greci e latini (non sempre attendibili, questi ultimi sui Sanniti) la fonte principale è stato il territorio e le sue aree archeologiche, da quelle note alle più sconosciute come cinte megalitiche, piccoli templi o interi villaggi sepolti nelle foreste. I monti di Abruzzo e Molise nascondono storie straordinarie, talvolta epiche, troppo spesso dimenticate; e le sanno raccontare, ma ci vuole la predisposizione e la pazienza di andarle a scovare in quelle immense terre piene di bellezza e di dolore che ancora non trova neanche il riscatto della memoria. Un’altra fonte è stata senza dubbio la civiltà contadina e pastorale con i suoi usi millenari, i cibi e i valori che per fortuna ho conosciuto direttamente. Spero che Viteliù possa raccontare efficacemente ai lettori un po’ dell’anima della terra italica soprattutto appenninica prima che essa scompaia del tutto. Anche perché è una parte importantissima dell’italianità più profonda e vera.

Ultimamente lei ha girato l’Italia in lungo e in largo per presentare il suo libro anche nelle scuole. Come è stato accolto il romanzo da ragazzi e docenti?

Oltre al mondo archeologico e a quello accademico, anche la scuola sta riservando al libro una accoglienza che va ogni più rosea aspettativa. Aumenta di mese in mese il numero di licei, non solo classici, che decidono di adottare il libro come testo di narrativa. Straordinario e commovente. Cosa potrebbe volere di più un autore? Evidentemente Viteliù è ritenuto un utile mezzo di conoscenza di un pezzo di storia nazionale accantonato dal Novecento.

Nel suo libro c’è una bellissima descrizione, quasi spirituale, del rapporto tra cavallo e cavaliere. Una conoscenza così profonda è frutto di studio o si tratta di passione reale?

Il cavallo, anzi i cavalli che ho avuto la fortuna di incontrare, sono stati uno dei principali, mezzi di conoscenza del territorio montano italico. Una persona a cavallo, oggi, quando deve percorrere le montagne ha gli stessi ritmi e le stesse necessità di un uomo di duemila anni fa. E forse anche le stesse emozioni. Inoltre senza i cavalli di famiglia, e in particolare senza uno di essi, non avrei potuto vedere da quote elevate molti dei paesaggi descritti durante il viaggio dei protagonisti.

Si parla di un film tratto da Viteliù. Ci conferma queste voci?

Sì, è iniziata la fase di pre produzione di un film internazionale. Spero solo che se si arriverà a girarlo questo accada, almeno per gli esterni, nei luoghi che hanno ispirato il romanzo. Lo sognavo fin dalla pima pagina scritta. Uno dei motivi che mi hanno sostenuto in tanti anni di sacrifici per la stesura di queste quasi cinquecento pagine, è l’amore per quelle terre che meritano, per la loro bellezza e la loro storia, di essere più conosciute di quanto non lo siano oggi. Alcune devono uscire da un millenario anonimato, frutto della maledizione di Silla…. Cosa è meglio di un film?

 

Daniela Maniscalco

 

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