Il 16 novembre scorso durante il Saarbrücken Jazzfestival 2014 abbiamo incontrato Rosario Giuliani il sassofonista di Terracina (LT) che, tra gli altri, ha collaborato con Nicola Piovani, Ennio Morricone e Giorgia. Ad appena 12 anni ha suonato uno spartito di Charlie Parker e da allora il Jazz lo ha scelto e mai più abbandonato.

rosario

Se dico Musica Jazz, cosa ti viene in mente?

Questo è quello che mi piace maggiormente della musica: la sua bellezza sta nel fatto che ogni giorno è diversa. Il Jazz, per un jazzista, rappresenta “la” forma d’espressione e quando tu ti esprimi attraverso questa forma d’arte: un giorno sei di un umore e il giorno dopo diametralmente opposto. Quello che tu riesci a tirare fuori dalla musica è quello che sei quel giorno e la gente percepisce l’immagine che tu dai a loro. Anche suonando lo stesso brano, questo prende totalmente un’altra forma, un’altra direzione, un altro suono, un altro approccio. Puoi suonarlo in maniera soft o più aggressiva: come te lo suggerisce il tuo stato d’animo.

La musica fa parte di me, è la mia fonte d’espressione e mi aiuta a tirar fuori delle emozioni che non potrei tirar fuori in alcun altro modo. Non ho parole per spiegare le emozioni che sento dentro di me quando suono il jazz. Quando scrivo un brano è esattamente la stessa cosa: scrivo un brano perché sento un’emozione da quell’emozione percepisco l’ispirazione, percepisco l’elemento fondamentale dell’emozione e lo trasformo in musica.

Quando ti sei avvicinato al Jazz?

Il jazz mi ha scelto quando avevo circa 28 anni. Mi ero diplomato in sassofono classico a 20 anni e avevo lavorato in diverse orchestre, tra cui anche alcune orchestre televisive; avevo registrato tante colonne sonore con maestri di fama internazionale tra cui Ennio Morricone, Nicola Piovani, Luis Enríquez Bacalov e Gianni Ferrio. A un certo punto il jazz mi ha scelto. Era un po’ rischioso perché avevo un lavoro sicuro con l’orchestra, ma in me è nato il desiderio di fare Jazz. Il percorso non è stato facile, perché ha significato che da un lato ho dovuto rincominciare a studiare e, dall’altro, ho dovuto confrontarmi con musicisti che suonavano Jazz dall’età di 15 anni. Mi sono rimesso in gioco e continuo a rimettermi in gioco ogni giorno della mia vita, perché è l’essenza della vita. Accontentarsi va bene, cullarsi sugli allori no.

Come sei cambiato sul palco in questi anni?

È cambiata la percezione di quale sia l’attrice principale sul palco. Fino a qualche tempo fa, quando ero più giovane, l’attore principale ero io o il sassofono. Il mio “Io” doveva essere di fronte a tutto e a tutti e solo dopo arrivavano gli altri. Oggi l’attrice principale è la musica e quindi la funzione che svolgo sul palco è quella di avere grande rispetto e attenzione verso la musica, in modo da poterla far crescere e darle la dimensione giusta per quel momento.

Questo cambiamento interno è stato graduale, ha necessitato il suo tempo. Ci vuole esperienza, autocritica nel riascoltarsi e comprensione della profondità musicale che si riesce a raggiungere ma, soprattutto, la capacità di percepire il cambiamento. È un processo in fieri, che continua ancora oggi.

Mi riascolto spesso. C’è stato un periodo in cui addirittura registravo tutti i miei concerti per riascoltarmi mentre oggi, è la percezione dell’immediatezza che mi dà il feedback desiderato. Devo ammettere, però che non sono mai contento di come suono io, mi critico molto e, finito il concerto, quando torno a casa, mi metto a lavorare sull’elemento di critica che ho trovato a me stesso.

Il mio non accontentarmi di quello che accade oggi significa che la mia testa va oltre a quello che sta accadendo e che sta sempre pensando a qualcosa di più importante. Quello che mi può far accontentare è che il mio gruppo riesca a suonare la musica a far andare bene una serata, riuscendo, come insieme, ad arrivare al punto che volevo. Trovarsi sul palco significa riuscire a portare il pubblico a viaggiare attraverso la tua musica. Se si riesce allora la missione è compiuta. Quella è la soddisfazione maggiore. Il pubblico compra i tuoi dischi, ti viene ad ascoltare ai concerti, ti applaude e tu, da musicista, hai il dovere di fargli sentire qualcosa, di far provare delle emozioni. Che non si pensi, però che io non riesca a vivere il presente, anzi. Pensare solo ed esclusivamente al futuro ti porterebbe a perdere l’essenza della vita e, di conseguenza l’essenza della musica del presente. Vivendo il presente con molta autocritica percepisco dove voglio arrivare.

La prima nota sul palco dovrebbe essere suonata come se fosse l’ultima della tua vita.

Elisa Cutullè

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