In attesa dell’incontro con Michela Murgia organizzato dall’Istituto italiano di cultura che si terrà il prossimo 27 novembre all’Abbazia di Neumuenster, riproponiamo l’intervista all’autrice sarda, realizzata dalla giornalista Elisa Cutullé e pubblicata su PassaParola Magazine di luglio 2011.

michela

Michela Murgia: la donna, una storia senza fine

Nata in Sardegna, con una laurea in teologia, è stata per diverso tempo animatrice  dell’azione cattolica, grafico, portiere notturno ed ha conosciuto l’incertezza della precarietà. PassaParola Magazine ha incontrato la vincitrice del Premio Campiello 2010.

 

Classe ‘72, donna (e non ragazza) sei un’autrice apprezzata. È quello che avresti voluto fare o da piccola era un altro il tuo sogno nel cassetto?

Non ho mai voluto fare lo scrittore. Questo è sicuro. Vengo da un contesto contadino, artigiano, un contesto in cui l’arte non è considerata un lavoro in nessuna delle sue forme: dalla musica alla scrittura, dalla pittura al ballo. Per me non sarebbe stato possibile, da piccola, immaginare che “da grande” avrei potuto scrivere per mestiere. Nel momento in cui però si è presentata l’opportunità di farlo come mestiere, l’ho fatto. Magari non è molto tipico il modo in cui io ci sono arrivata, perché, nel  mio caso, io scrivevo semplicemente un blog e fu l’editore a cercarmi. È stata la vita a dimostrarmi che si poteva fare lo scrittore.

 

Anche tu hai lavorato in un  call-center. Sembra quasi un percorso “forzato”, nella società italiana di oggi. È dovuto al fatto che mancano effettivamente i posti di lavoro per i giovani laureati o è semplicemente una strumentalizzazione per avere impiegati a basso costo?

Il mio primo impiego, avendo fatto studi teologici, è stato quello di insegnante per ben 6 anni. Poi per 3 anni e mezzo sono stata direttore amministrativo di una centrale termoelettrica privata. Ho fatto il grafico web, l’agente delle tasse e  il portiere notturno e alla fine di questo “percorso” ho lavorato nel call center. Ci sono arrivata come ci arrivano tutti: ha bisogno di un lavoro e sei troppo qualificata per quello che sai fare. Ti restano dunque solo i lavori non qualificati e sei tu che devi mettere da parte la tua laurea e non il mondo del lavoro che viene incontro alle tue competenze. I posti di lavoro per le persone qualificate non mancano, credo, invece, che il costo del lavoro qualificato sia tale che i datori di lavoro e, soprattutto gli industriali, cercano di ottenere forme contrattuali che consentano di assumere le persone qualificate a prezzi assolutamente squalificanti.  I precari lavorano, è questo punto:un problema prettamente contrattuale non di posti.

Con il pluripremiato romanzo Accabadora, hai fatto riscoprire una realtà un po’ “scomoda” della cultura sarda, quasi antesignana dell’eutanasia. Come mai hai scelto questo tema?

Un romanzo è un romanzo, non è un saggio sull’eutanasia e la realtà sarda non ha niente a che fare con quel romanzo. L’Accabadora non è mai esistita: storicamente la sua esistenza non è provata. Con quel romanzo volevo solo raccontare una bella storia, coinvolgente ed emotivamente vicina a chi l’avrebbe letta. Sicuramente non intendevo scoperchiare realtà scomode sarde che non solo non esistono, ma che non sono mai esistite.

Oltre ad essere autrice, scrivi anche per diversi giornali e, “per premiarti”, hai deciso di sponsorizzare un corso di formazione per giornalisti. Il successo è stato immediato. Ce ne puoi parlare?

Il corso era  indirizzato a giovani cagliaritani o residenti a Cagliari, e si è  appena concluso.  È  andato molto bene.  Purtroppo avevo risorse tarate a 20 persone, ma quei cinque in più siamo riusciti ad inserirli. Abbiamo sviluppato due percorsi paralleli: una serie di lezioni frontali con  docenti d’eccezione come Gad Lerner, Marco da Milano, Lorenzo Fazio, Gianmaria Bellu, Paolo Piras che hanno coperto il campo giornalistico sia carateco che televisivo e, in aggiunta,  nella parte operativa, sotto la guida di un vicedirettore di quotidiano in pensione i ragazzi hanno simulato l’attività di una redazione e hanno seguito, giorno per giorno, tutto lo sviluppo delle elezioni a Cagliari. Questa cosa ha permesso loro di fare una simulazione sul campo abbastanza veritiera. Non significa che sono diventati giornalisti ma  che hanno avuto un’esperienza eccezionale con giornalisti che, magari, non avrebbero mai incontrato.

 

Nei tuoi scritti troviamo temi di famiglia, realizzazione di sé, di religione: quale è il tema più spinoso da affrontare e da avvolgere nel manto letterario?

Non esistono temi difficili da avvolgere nel manto letterario, dipende quanto quel tema è difficile per  chi scrive. Per me non esistono barriere:potrei dirti che un autore come Paolo Sortino, che ha scritto il romanzo Elisabeth ha fatto, secondo me un lavoro difficile. Ha preso un caso di cronaca come quello del padre austriaco che ha chiuso in casa la figlia per oltre 20 anni facendole fare 7 figli e l’ha scritta. Quella è una cosa difficile che io non farei. Infatti ho molta ammirazione per Paolo che è riuscito a a farlo e bene. Non è il tema che fa la differenza: è il romanziere.

 

Ti definiscono una teologa, ma tu sottolinei chiaramente che non lo sei. Che rapporto hai con la religione?

Il mio rapporto con la religione è rispettosamente critico. Il mio rapporto con la fede è un  altro paio di maniche e il mio rapporto con la teologia è un altro paio di maniche ancora. La     teologia, però, attiene di più alla fede che non alla religione. Esistono due tipi di credenti:    quelli che hanno le domande e quelli che hanno le risposte: io, sicuramente, appartengono  alla schiera di quelli che hanno le domande e, quelli che hanno le domande, possono     definirsi a tutti gli effetti teologi, ovviamente sempre al di fuori delle diciture accademiche, nelle quali, io non rientro.

 

 

Per informazioni: https://www.neimenster.lu/Culture/Offre-diversifiee-Calendrier-shop-visites/Programmation/Conferences/De-769-couvrir-Michela-Murgia-Thursday-27-November-2014-7-00-00-pm

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