Il 25 giugno, presso il Centro Culturale di Bonnevoie, di fronte ad un nutrito gruppo di interessati, si è tenuto il primo incontro de Le università della Finanza Islamica (FI)*, programma promosso dalla IFSO (Islamic Finance Specialists Organization) in collaborazione con alcuni docenti del eMBA in Finanza Islamica dell’università di Strasburgo e rappresentanti di EetiQ Advisors e Alardeen Finance International.

 

 

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Secondo il prof. Mohamed Bechir Ould Sass, docente dell’eMba e membro dello Sharia Board ACERFI di Parigi, la Finanza Islamica è quella disciplina ma soprattutto l’opportunità, che viene colta da quei soggetti che hanno interesse ad investire nel rispetto dei principi del Corano e del divieto assoluto di guadagnare dagli interessi ( ribā ).

Questo approccio permette di ricercare soluzioni che sono conformi ai principi giuridico-etici dell’Islam, promuovendo il legame tra le logiche economiche-finanziarie e il rispetto della spiritualità, il FIQH AL-MU’ALAMAT, un insieme di norme che regolano i rapporti tra i vari attori e le attitudini verso la società e l’ambiente circostante.

Le dimensioni della FI sono divise in orientamenti e divieti. I primi guidano i soggeti a promuovere l’iniziativa economica in modo responsabile (Istikhlaf), sulla base della “purezza del fine” e della ripartizione del rischio, prendendo in considerazione esclusivamente l’economia “reale”. Questa economia moralizzata, deve essere caratterizzata da lucratività moderata e sottoposta al vincolo della sacralità dei contratti e dell’equità sociale per il conseguimento del bene comune. I divieti (Gharar, Myssir, Iktinaz e Ribā) mirano ad escludere tutte le attività sulle quali possano concretarsi dei vantaggi pecuniari o surplus derivanti da speculazione o creazione di monopoli abusivi. Seguendo questi precetti, viene assicurata una coerenza fra economia reale e finanziaria, democratizzando l’accesso al credito.

In un’analisi macro-economica condotta dal prof. Jean-Luc Karleskind della Luxembourg School for Commerce, sono stati confrontati i principi della FI con i fondamenti del capitalismo e del socialismo, cercando punti di contatto e spunti di riflessione. La finanza islamica distingue la ricchezza in due modi: quella naturale e quella creata dai frutti del lavoro. Lo Stato ha la proprietà assoluta della prima, tuttavia ne garantisce all’individuo il suo utilizzo per la creazione mediante il lavoro della seconda specie. Lo stato islamico non potrà mai possedere il lavoro e il suo obiettivo ultimo risiede nel favorire la prosperità dei cittadini in un’ottica di libertà commerciale ma responsabile.

La filosofia economica di questa corrente non si chiude tuttavia al solo mondo islamico e ai suoi territori, estendendo i propri orizzonti a nuovi mercati geografici e nuovi investitori.

Tra i principali strumenti finanziari partoriti dalla dottrina troviamo i Sukuk, certificati di investimento conformi alla legge della Sharia (letteralmente la strada battuta dal Divino), che mediante una logica di comproprietà danno il diritto di partecipare al finanziamento di un progetto economico e di incassarne gli utili. Il progetto oltre ad essere esente da Ribā, deve assicurare una trasparenza rispetto al bene o patrimonio oggetto del certificato e tutti gli utili devono derivare direttamente dagli incassi generati dall’asset sottostante e non da altre risorse o patrimoni. Tutti i sukuk, inoltre, come tutte le transazioni finanziarie islamiche devono essere basati su un contratto Shariah compliant.

Secondo gli studi specializzati, gli Shariah assets hanno raggiunto 1,35 trilioni di dollari nel 2012 e tra questi i sukuk hanno assorbito 230 miliardi di dollari a fine 2013. Più di cinquecento istituti economici lavorano in tutto il mondo in più di settantacinque Paesi, annoverando Malesia e Singapore come principali mercati.

In questa logica di espansione, la finanza islamica tende la mano all’occidente e si avvicina al  Lussemburgo per attrarre liquidità da investitori che vogliono sposare questa filosofia economica. L’appetibilità di Lussemburgo, oltre che per motivi economici, è dovuta all’esperienza maturata nell’industria dei fondi d’investimento, alla qualità della legislatura vigente in materia e alla flessibilità ed efficienza fiscale che la struttura economica garantisce. Proprio per tutti questi motivi, una bozza di strutturazione del primo Sukuk Lussemburghese, che costituirebbe un benchmark nell’UE è stata consegnata al Governo, che vaglierà la proposta.

Anche dal punto di vista dell’apertura culturale, nuove iniziative cercano di diffondere queste tematiche, come il portale E-slamshop, libreria online islamica dove è possibile acquistare manuali e pubblicazioni a riguardo.

Tuttavia l’attenzione degli investitori sensibili alla finanza islamica deve continuare a focalizzarsi sul Medioriente e precisamente su Dubai, dove l’economia favorevole alla legge islamica è in forte crescita (circa il 15% annuo). Secondo Rachid Belabbas, presidente di Alardeen Finance International, azienda di recruitment specializzata in banche, mercati finanziari e assicurazioni, in un piano di sviluppo industriale con orizzonte 2016, Dubai ha l’ambizione di diventare la prima piazza al mondo, nell’economia e produzione di beni e servizi cosiddetti “halal “(dall’arabo leciti).

 

*L’organizzazione costituitasi come no-profit nel 2012, ha l’obiettivo di collegare laureandi e laureati dell’eMba di Strasburgo con tutti i potenziali stakeholders che orbitano intorno a questa disciplina. L’impegno profuso, permette di promuovere ed estendere la filosofia alla base della Finanza Islamica, valorizzando il polo dell’università di Strasburgo e favorendo il networking fra gli associati.

 

Spartaco Caforio

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