Napoli, il teatro, il cinema e l’Oscar, una vita intensa quella che ha caratterizzato uno dei massimi esponenti del cinema italiano che, a vent’anni dalla sua morte, ancora è ricordato come “o guaglion”.
“O guaglion” perché la morte l’ha portato via a soli 41 anni, “o guaglion” perché lo spirito da ragazzino ha fatto in modo che Troisi lavorasse e si dedicasse alla recitazione fino a poche ore prima del suo decesso, “o guaglion” perché la napoletanità che lo caratterizzava è sinonimo di spensieratezza e gioia di vivere.
Da “Ricomincio da tre” a “Il Postino”, che l’attore napoletano ha voluto girare con il “suo cuore” e che gli valse una nomination all’Oscar post-mortem, Troisi ha reincarnato l’umanità e la genuinità dei sentimenti.
Una presenza rumorosa anche in mancanza di battute, una comicità anche negli sguardi seri ed un senso di malinconia nelle battute dedicate alla famiglia, alla religione, ai sacrifici della vita. Perché è così che ha iniziato Massimo a recitare, prima in parrocchia e poi in un garage di San Giorgio a Cremano, nella periferia napoletana in cui è cresciuto.
Ed il messaggio che ha voluto lasciare a chi lo ricorda, dopo vent’anni, è di vivere di contraddizioni, perché la vita stessa è pura contraddizione: dal rapporto tra il porta-lettere al grande Neruda, al binomio garage-Oscar, dalla consacrazione avvenuta con “il Postino” dopo la morte, alla grande umiltà inversamente proporzionale al valore che l’attore ha assunto per il cinema mondiale.
E a vent’anni dalla sua morte è bello poter celebrare ciò che Massimo ha rappresentato per il cinema, ma soprattutto i valori che ha voluto trasmettere attraverso il suo linguaggio appositamente semplice, ma raffinato ed i suoi sguardi mascherati di pura verità.
Troisi, dopo decenni, non rappresenta soltanto l’attore napoletano, ma le sfaccettature della vita che in fondo caratterizzano e permeano tutti noi … ed è forse questo il segreto della sua immortalità.
Rita Marsico