«Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca. Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle. Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano..». Così si è aperta, lo scorso mercoledì, la serata organizzata dall’Istituto Italiano di Cultura Lussemburgo e dal Printemps des Poètes Luxembourg, dedicata al più grande scrittore, traduttore e poeta italiano del decennio: Erri de Luca.

 

Foto: Iic Lussemburgo
Foto: Iic Lussemburgo

Erri è un raccontastorie, un narratore…tutto ciò che è scritto nei suoi libri è un passato già esistito, già vissuto, non nella sua immaginazione ma nella sua vita reale. «Il passato è un luogo perduto dove posso ritrovare le persone, le cose così com’erano.. dove tutto ciò che ami non muore mai ed è per questo che trovo rifugio nel passato.  Lo chiamo, lo cerco, lo invoco.. e non sono io che vado da lui ma obbligo lui ad essere di nuovo lì con me». Ed ecco che Erri nel raccontare le storie passate, riesce a donare a queste ultime un’altra chance: la possibilità di vivere una seconda volta. Ritornano così alla vita le voci delle persone non più presenti: la madre, il padre, gli altri.. ritornano alla vita i luoghi assenti: Napoli, le isole, le vacanze.

«La scrittura è un atto di felicità. Nella scrittura non soffro, ma sono felice, felice di ritrovare le persone, di essere di nuovo con loro.. la scrittura può regolare il passato una volta per tutte, è la versione definitiva della storia e come l’acqua negli scogli, è un residuo salato della vita evaporata..».

La scrittura diviene, dunque, l’antitesi del lavoro, di quel lavoro fatto di fatica, di sforzi come quelli svolti dallo scrittore come operaio, camionista, magazziniere, muratore, autista di convogli umanitari.

Nei suoi libri Non ora, non qui, Montedidio, I pesci non chiudono gli occhi, Il giorno prima della felicità, Erri ricorda la sua infanzia, i souvenir, le parole del suo passato. La sua città madre, Napoli, ci è presentata come terra leggendaria, da sempre mélange di magnificenza e atrocità e ci ricorda gli anni del post guerra di una Napoli scenario di miseria, di  morti giovanili e di soldati americani.. una Napoli troppo caotica, troppo del sud, troppo lontana da quel suo essere così  solitario, taciturno.. «Sono cresciuto in una stanza sovraccarica di libri, la stanza di lettura di mio padre, l’unico luogo dove riuscire a stare al di fuori di quella città così leggendaria ed eccessiva.. Riuscivo a proteggermi solo attraverso quella tappezzeria di libri che era, per me, un meraviglioso materiale isolante..».

napolideluca

Proveniente “da” Napoli e mai più “di” Napoli, abbandona definitivamente la sua città come nella sua raccolta di poesia Solo andata. Righe che vanno troppo spesso a capo e da napoletano si trasforma in “apolitano”, uomo senza meta, senza ritorno, senza un luogo preciso in cui vivere ma figlio di tutti i luoghi come la campagna, la montagna, il mare.. “Da” Napoli significa anche dover abbandonare la sua lingua d’origine. Le voci del passato in lingua napoletana, si traducono così nella lingua straniera, l’italiano, la lingua dell’ “apolitano”.

Nella vita adulta, la montagna simboleggia per Erri, uno dei luoghi più veri della sua esistenza. E’ il luogo di contatto con la natura, posto sicuro, contrario alla “sola andata” dove necessario e obbligato è invece il cammino di ritorno. Altro luogo  importante e simmetrico alla montagna è il mare, legato invece ai ricordi delle sue vacanze d’infanzia. «Nuotare è un po’ come scalare.. non riusciamo a vedere ciò che succede al di là, la vista è limitata a qualche centimetro.. sono le dita che devono trovare il passaggio, sono le dita che ci fungono da occhi.». Ci sono però anche luoghi lontani, come l’Africa e il lavoro sociale, le malattie contratte, la morte quasi sfiorata.. anche questo ci racconta nei suoi libri, anche queste storie sono degne di rivivere, una seconda vita. E poi c’è un altro passato in Erri de Luca, il passato dei libri e in particolare del libro –  la Bibbia – dal quale nasce lo studio dell’ebraico antico per un bisogno di tornare all’originale, di tornare a ciò che fu..

 

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Cosa spinge un non credente come Erri, a ricercare l’origine del monoteismo? Forse il bisogno di trovare il suo mono, il suo uno perduto, il suo uno e il suo contrario, il due, così come nel libro Il contrario di uno, un libro centrale del suo passato: l’infanzia, la militanza, l’Africa la montagna, l’amore.. l’amore che arriva quando meno te l’aspetti, che parte quando meno te l’aspetti.. l‘amore che è il contrario di uno, il due che a volte, nella vita, non è sempre dato dalla somma di uno più uno.

Applausi e ringraziamenti concludono una serata davvero straordinaria. La voce di Erri rimarrà, per tutti i presenti, memoria di un dei più grandi letterati italiani dei nostri tempi.

Emira Boasi

 

 

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