Si piange. Ci si interroga. Si commemora. Diciotto anni dopo il massacro il CIL, Comitato nato per commemorare l’11 luglio – giorno del genocidio di Srebrenica – ha invitato in Lussemburgo un testimone oculare: Fahrudin Hasanovic, ex operaio nelle miniere di Sase, poi comandante, ora presidente dell’Ass. Invalidi di guerra del Cantone di Tuzla.
“Che tipo di giustizia abbiamo avuto? Perchè i piccoli popoli devono soccombere ai grandi? Perchè nessuno ha reagito ?”. Sono queste le domande che si pone di fronte ad un pubblico numeroso che ascolta attento la sua testimonianza. Tanti partecipano alla commemorazione in questa calda domenica 7 luglio. Famiglie intere che dedicano una giornata al ricordo delle vittime. Donne col velo e senza, bambini e bambine che sono nati dopo quella strage e che appartengono alla comunità bosniaco-musulmana del Granducato.
“Se l’Onu avesse protetto la nostra città- enclave – dice Hasanovic a PassaParola – e ci avesse dato la possibilità di difenderci a quest’ora noi non saremmo qui a commemorare i nostri morti”.
I morti accertati furono circa 8000. Tutti dai 14 ai 65 anni. Uomini e ragazzi bosniaci uccisi nel cuore della guerra della ex Jugoslavia.
“Noi, in quei giorni, abbiamo consegnato 700 fucili ai caschi blu dell’ONU che dovevano proteggerci, invece sono arretrati e questo ha permesso ai cetnici (truppe serbe del generale Mladic, ndr) di assediare la città e fare quello che hanno fatto”. Parla con voce dura il comandante e spiega, parola dopo parola, anche tutte le atrocità di cui è stato testimone oculare.
I serbi che uccidevano gli studenti nelle scuole, i bambini gettati nei pozzi, le donne violentate, le migliaia di profughi dei dintorni che cercavano rifugio in città.
“Una storia senza un colpevole perchè i Serbi non si sono mai presi la responsabilità del massacro” – continua l’ex comandante – “Il Tribunale della Corte internazionale dell’Aja ha rigettato la richiesta di indennizzo delle vittime del genocidio e ci sono ancora famiglie che non hanno una tomba su cui piangere”.
Ma guarda al futuro Fahrudin Hasanovic e invita la comunità bosniaca di Lussemburgo a tornare in quei posti, a iscriversi nei Comuni dove abitavano prima o da dove provengono le loro famiglie, a ricostruire la città come era prima, a mandare i propri figli all’università.
Per continuare a vivere. Per non dimenticare.
Paola Cairo
Ratko Mladic è stato arrestato a Belgrado il 26 maggio 2011, dopo 16 anni di latitanza. Il processo presso il Tribunale penale internazionale della ex Jugoslavia è ancora in corso.