Si è tenuto a Torino, dal 26 al 28 aprile, il Convegno internazionale “Culture indigene di Pace”, organizzato dall’Associazione Laima e curato da Morena Luciani e Alessandro Bracciali: “Ri – educarsi alla partnership” è stato il tema dell’edizione di quest’anno.
Scopo degli incontri, coerentemente all’attività di Laima (www.associazionelaima.it), è diffondere e promuovere un modo di vivere alternativo, basato sull’armonia nelle relazioni umane e nei vari aspetti dell’esistenza, secondo quanto ci insegna lo studio delle culture indigene non violente tuttora presenti nel mondo, fondate su una percezione del femminile vissuto nella sua dimensione più autentica e originale.
“Ri – educazione alla partnership” significa sviluppare un movimento delle coscienze, sia maschili che femminili, diretto ad integrare nella nostra società androcratica quella componente femminile troppo a lungo negletta dal patriarcato e che è invece la radice, la stessa essenza di un vivere comunitario nel quale ogni forma di diversità venga armonicamente integrata attraverso la riscoperta della condivisione, della complementarietà, del rispetto reciproco e verso l’ambiente, della non violenza, della cura, della pace.
Come le culture matriarcali ci insegnano, infatti, è soltanto attraverso l’equilibrato sviluppo e riconoscimento delle qualità della donna che è possibile dar vita a comunità in cui vi sia rispetto delle diversità, cura e protezione dei deboli, sensibilità ai bisogni di tutti.
Molte le personalità intervenute, per dar voce, da una grande varietà di punti di vista, alle tematiche trattate: da Riane Eisler, la nota sociologa americana, autrice di “Il Calice e la Spada” e “Il Piacere è Sacro”, a Genevieve Vaughan, teorica dell’economia del dono; da Starhawk, scrittrice e attivista politica, a Kathy e Mike Jones, fondatori del Tempio della Dea a Glastonbury; non sono mancate voci che hanno portato l’attenzione, anche quest’anno, all’esperienza di culture matriarcali esistenti ed attive oggi nel mondo, come quella di Rosa Martha Toledo Martinez, cantante e portavoce della tradizione Juchiteca nel sud del Messico, accanto ad una serie di workshop tenuti da esperti internazionali come Luciana Percovich, studiosa di mitologie pre – patriarcali, e Miriam Subirana, artista, scrittrice e formatrice, autrice di “Complici. Liberi dai rapporti di dipendenza”.
Fra i vari interventi, ci è parso particolarmente interessante quello di Alessandro Bracciali, che ha sottolineato come la rieducazione alla partnership sia un passaggio fondamentale per gli uomini, che sono stati costretti dalla società patriarcale a crescere svilendo in se stessi i valori, tipici del femminile, ma che sono parte integrante dell’essere umano, quali l’unione, la non violenza, il senso di sacralità e responsabilità per la vita, il senso del cambiamento, della trasformazione, il potere inteso come responsabilità comune: recuperarli rappresenta per il sesso maschile una vera e propria liberazione, attraverso la quale l’uomo ritrova la propria integrità sacrificata; i privilegi maschili, infatti, sono trappole in cui il bambino finisce per soffocare la sua individualità e la sua emotività, manifestandosi in una forma di automutilazione che si riflette anche nella paternità e nei rapporti con gli altri uomini.
“Lasciar andare il senso di possesso, ha sottolineato Bracciali, restituisce la libertà perduta, ma perché ciò avvenga, è necessario spostare il baricentro dal concetto di controllo e di predominio, perché è proprio questo che crea la disarmonia fra i sessi e la violenza verso le donne: rieducarsi alla partnership, insomma, ha concluso, è nell’interesse dell’uomo stesso, poiché la visione materna non nega la mascolinità, ma anzi emancipa l’uomo verso se stesso”.
Nel senso della necessità di educare secondo nuovi modelli le giovani e giovanissime generazioni, Genevieve Vaughan e Ana Maria Estrada, insegnante e direttrice della Kyle Montessori School (USA), hanno evidenziato l’importanza dell’educazione alla Gift economy – l’economia del Dono, che sviluppa la naturale tendenza altercentrica dei piccoli: i bambini infatti (le mamme lo sanno da sempre) nascono altercentrici, non egocentrici, come decenni di psicologia, da Freud a Piaget, ci hanno fatto credere.
L’economia del dono, ha spiegato la Vaughan, si basa sul rapporto di scambio madre – bambino, che insegna a specchiarsi l’un l’altro in modo da essere in grado di comprendere le esperienze e i bisogni degli altri, e di non isolarsi. Ricondurre l’infanzia all’economia del dono, quindi, implica semplicemente di non imporre ai bambini l’egocentrismo, che non è nella loro natura, ma che viene inculcato dalla cultura patriarcale, basata sull’economia di mercato, in cui i rapporti fra le cose si sostituiscono a quelli fra le persone, facendo sì che l’egocentrismo distrugga la naturale tendenza all’altercentrismo, cioè all’attenzione e al rispetto dell’altro come riflesso di sé. La logica del mercato, ha proseguito Genevieve Vaughan, orienta le persone verso la sindrome del prendere, poiché si pone come modalità per manipolare il flusso dei doni al fine di accentrarli in poche mani, le quali, quando i doni raggiungono una certa abbondanza, creano guerre e crisi economiche per ridurli di nuovo e poterne continuare a detenere il controllo, in un perverso meccanismo che è dannoso per gli uomini e per lo stesso pianeta. Bisogna ritrovare la logica relazionale, tipica delle culture indigene e matriarcali: il capitalismo è un meccanismo che abbiamo creato noi e possiamo smantellarlo, trasformando, o meglio riconducendo, l’ homo sapiens all’ homo donans.
Nella Kyle Montessori School, bambini da due a sei anni d’età vengono educati a identificare se stessi come esseri umani, non come maschi e femmine; qui essi hanno ogni giorno la possibilità di sentirsi liberi e di beneficiare della loro libertà perché vengono valorizzati e non condizionati. Nel suo intervento, Ana Maria Estrada ha evidenziato con molta chiarezza le differenze fondamentali fra l’Economia del Dono e l’Economia patriarcale o di mercato: la prima propone il Dono, inteso come atteggiamento interiore di non – attaccamento e di non – possessività, quale alternativa all’accaparrare; la generosità, intesa come attitudine ad usare solo ciò di cui si ha bisogno senza sprechi, perché tutti possano avere accesso alle risorse, quale alternativa all’ambizione, che si fonda sul concetto che chi ha di più vale più degli altri; il valore della relazione in alternativa al valore del denaro; la cooperazione, che porta all’attenzione verso i più deboli, invece della competizione, che favorisce egoismo, crudeltà ed emarginazione; riconoscere i propri sentimenti, tutti, quale alternativa al riconoscimento dei soli sentimenti basati sul genere, per cui alcune emozioni sono precluse ad un genere (per esempio, il maschio non deve piangere), dando così spazio esclusivamente a quei sentimenti che producono lucro, negando tutti gli altri; la pace invece della violenza, che è alla radice di comportamenti disgreganti della società quali l’insultare, il mentire, il manipolare, il nuocere, il voler vincere a qualunque costo, la produzione di armi; attività basate sullo sviluppo del bambino, anziché attività basate sullo sviluppo del genere, in cui si distingue radicalmente fra attività “da maschi” e attività “da femmine”.
Il messaggio che è emerso dal convegno, in definitiva, è che un mondo migliore è possibile, è necessario, ed esiste già dentro ognuno di noi: un mondo, per concludere con le parole di Miriam Subirana (Complici. Liberi dai rapporti di dipendenza, Ghena, p. 71) “dove sia possibile la vera parità di genere, quella che rispetta le differenze e accoglie i talenti, le competenze e le abilità senza pregiudizi”.
Uguaglianza di genere vuol dire per le donne assorbire alcune regole elaborate dagli uomini, insieme a quella parte di sapere che loro hanno prodotto e di cui noi abbiamo usufruito; per gli uomini vuol dire accettare l’integrazione del sapere e della dimensione femminile nelle posizioni di comando e nei diversi ambiti della vita umana. Perché ci sia vera uguaglianza, bisogna cambiare non solo i rapporti interpersonali e di coppia, ma anche quelli tra le comunità, le religioni, i partiti, i popoli e le nazioni. È urgente che donne e uomini trovino la maniera di essere complici nella creazione di un mondo più sano ed equo a tutti i livelli”.
Francesca Maria Guido