Un unico corpo come un drago cinese coloratissimo fatto da 150mila persone che dalla stazione di Santa Maria Novella arriva alla Fortezza da Basso di Firenze. Ragazzi, ragazze, scuole, adulti, camioncini per la musica, striscioni. Si presenta così la manifestazione di Libera a Firenze per dire no alla mafia, alle mafie, andata in scena nel fine settimana di metà marzo. In cima a tutti Don Ciotti, preceduto da due enormi altoparlanti che spuntano da un camioncino e scandiscono i nomi delle vittime della criminalità organizzata, “la peste” come chiede che sia chiamata il sacerdote. Nel suo volto la sofferenza e il dolore dei seicento familiari che accompagna per un lungo tratto in corteo fino allo stadio Artemio Franchi. Dietro di lui il futuro negl’occhi dei giovani, tantissimi dal Sud e dal resto d’Italia, che rivelano nel profondo una luce che illumina e tiene viva la speranza.

La sera prima Libera e Firenze si erano abbracciate in Palazzo Vecchio durante il ricordo di una delle ultime stragi di mafia che hanno profondamente ferito la società civile.  Era il 27 maggio del 1993 quando in via dei Georgofili, dietro gli Uffizi, esplose un Fiorino imbottito di tritolo. Il rituale della memoria è sempre lo stesso, toccante e silenzioso, fatto di novecento nomi, che vengono scanditi per le vie della città, in Palazzo Vecchio, nella Basilica di Santa Croce in occasione della veglia interreligiosa. Novecento nomi ai quali se ne aggiungeranno altri. Una signora avvicina Don Ciotti in cima al corteo. Ha una cartellina, s’intravedono delle foto, articoli di giornale, documenti. Il sacerdote si avvicina con l’orecchio, stringe il volto nell’ennesima smorfia di dolore, apre un quaderno grande e comincia a scrivere non senza averle donato un sorriso di compassione. E’ un corteo pieno di personalità, punti di riferimento nella lotta alle mafie come l’ex procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli, il sindaco di Napoli Luigi De Magistris. E poi politici, Matteo Renzi, sindaco di Firenze, sindacati, Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, gonfaloni istituzionali da tutte le parti e regioni d’Italia.

 

E tanti parenti delle vittime. “Vietato stupirsi, il Paese è questo, ma la classe politica non lo capisce”, dice Franco La Torre, figlio del parlamentare e segretario del Pci in Sicilia, Pio, ucciso dalla mafia. “Ci sono belle facce, tanti giovani che mandano un grido di dolore alla politica, al Parlamento”, osserva Paolo Siani, figlio di Giancarlo, giornalista napoletano ucciso dalla camorra. “Ora che ci sono tanti giovani in Parlamento – aggiunge – essi dovrebbero raccogliere questa voce di riscatto, questa richiesta di giustizia che parte dal basso”.

Tante le bandiere che percorrono i quattro chilometri del corteo. Da quella arcobaleno della pace, agli striscioni “Chi non lotta ha già perso”, “La mafia uccide, il silenzio anche”, “Bisogna ricordare cos’è la bellezza, imparare a riconoscerla e a difenderla”, “Uniti si può”. Anche tante buste di carta riciclata con i semi di fiori di Libera, simbolo “dei semi di giustizia, come fiori di corresponsabilità”. Saranno piantati nei giardini delle città.

“Non uccideteli una seconda volta” dice alla fine del suo intervento sul palco allestito dentro lo stadio Don Ciotti. A leggere in nomi delle vittime sale qui anche il ct della Nazionale Cesare Prandelli e il Premio Nobel per la pace Perez Esquivel che dice: “Siamo uniti per un mondo migliore”. La giornata si conclude con il concerto di Fiorella Mannoia.

 

Jacopo Cosi

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