Morena Luciani: un mondo nuovo oltre il patriarcato
Le società matriarcali possono suggerirci soluzioni per affrontare conflitti e problemi della nostra cultura ? Ne parliamo con l’antropologa e artista Morena Luciani, presidente dell’associazione Laima di Torino che ha organizzato, lo scorso marzo, il convegno internazionale “Culture Indigene di Pace. Donne e uomini oltre il conflitto”.
Da circa cinquemila anni il paradigma patriarcale rappresenta il potere egemonico che ha regolato tutta la società umana ma nelle culture matrifocali uomo e donna hanno pari diritti e dignità. Le culture incentrate sul matriarcato ci insegnano un modo diverso di vivere e lo sciamanesimo, su cui l’antropologa ha incentrato il suo ultimo libro Donne Sciamane (Ed.Venexia), non è una pratica esotica ed estranea alla nostra cultura ma può insegnarci molto su come riappropriarci delle radici che ci collegano alla natura.
Nel marzo scorso, dopo lunghe trattative con il governo cinese sei riuscita il insieme ad altre donne a far arrivare in Italia le donne Moso per il convegno Culture indigene di pace. Chi sono?
Ake Dama e Najin Lacong sono giunte a noi dalla lontana Cina, come esponenti della comunità matriarcale dei Moso. Purtroppo sono una minoranza etnica ed è stato piuttosto difficile riuscire a ottenere il visto. Io e Francesca Rosati Freeman ci abbiamo lavorato intensamente per sei mesi…un convegno sui popoli di pace matriarcali senza le donne Moso avrebbe perso di significato.
Cosa possono insegnarci le culture basate su modelli matriarcali?
In primo luogo a superare i paradossi della famiglia mononucleare imposta dalla nostra società sessista e patriarcale. Le culture matriarcali insegnano che esistono comunità umane fondate sulla collaborazione e sulla pace, sull’assenza di ruoli fissi, sulla libertà sessuale. Le donne sganciano le relazioni amorose dai doveri familiari e non dipendono economicamente dagli uomini. Se una relazione si interrompe, non si creano situazioni dolorose per bambini e bambine. L’economia, come sostiene Genevieve Vaughan, è del dono, nel senso che c’è la condivisione e non lo sfruttamento delle risorse, né umane, né naturali. E’ un altro paradigma, un’altra visione del mondo. Le donne Moso raccontavano che ultimamente il turismo presso le loro terre era aumentato e che quindi le guest-house vicino al lago sarebbero state favorite per la loro posizione e si sarebbero creati dislivelli economici all’interno della comunità. Per evitare questo, le famiglie proprietarie delle case in posizioni più favorevoli, mandavano i turisti anche presso i loro vicini. Sono società sacrali che ci insegnano l’equilibrio. Quello tra donne e uomini, bambine e bambini, animali, piante e come dice il pensiero buddhista, tutti gli esseri senzienti.
A quali conclusioni sei giunta dopo il convegno?
Diciamo che ora uso con più convinzione il termine “matriarcale”. La Madre, la Matrice, è in primo luogo la Madre Cosmica. Mettere al centro le Madri, quelle terrene come noi e quelle simboliche è assolutamente necessario per uscire dalla spirale violenta e gerarchica a cui il patriarcato ci ha abituato da circa 5000 anni. Questo lavoro che potremmo chiamare processo di ri-connessione elementale è già in atto, c’è un grande fermento in tutto il mondo, anche in Italia, visto il successo del convegno e per fortuna ci sono anche molti uomini che si stanno aprendo a questa visione delle cose.
Su facebook sei Morena Luciani Russo e ho visto altre donne aggiungere un altro cognome a quello abituale perché?
Stiamo aggiungendo il cognome materno, visto che in questo paese non è ancora un diritto riconosciuto. Personalmente sento come una ferita non avere il cognome di colei che attraverso il suo corpo mi ha dato la vita e ancor più mi fa male il fatto che i miei figli non abbiano anche il mio cognome vicino a quello dei loro padri. Ho due figli da due papà diversi ed è come se per la legge non fossero fratelli. Non è assurdo? Sono entrambi nati dal mio ventre. Ora in Italia, come ha spiegato bene al convegno Iole Natoli, è possibile richiedere attraverso una serie di procedure di aggiungere il cognome materno e lo farò al più presto, ma forse dentro di me c’è qualcosa che spera in una legge più giusta, perché se lo facessi sarei comunque obbligata ad avere il cognome che risale a mio nonno e al lignaggio maschile. Una volta ho discusso di questo problema con Luciana Percovich e lei sosteneva che un vero cognome materno potrebbe essere il nome proprio di una nostra nonna o bisnonna. Io penso che questa sia un’idea grandiosa, ma certo è ancora utopistico, visto che non si riesce nemmeno ad ottenere una legge che per diritto assegni entrambi i cognomi ai figli.
Nel marzo scorso, dopo il convegno, è uscito il tuo libro Donne Sciamane (Ed.Venexia). Perché gli antropologi parlano poco di sciamanesimo femminile?
Come spiego nel libro bisogna considerare il problema sotto due aspetti: quello interpreatativo e quello storico. Gli antropologi che si sono inizialmente occupati di sciamanesimo erano perlopiù uomini e hanno quindi focalizzato i loro studi sulle caratteristiche maschili, come la malattia iniziatica o il volo magico, un po’ perchè le donne difficilmente rivelavano il loro sapere sacro agli uomini, un po’ perchè nella maggior parte delle società analizzate le donne non “apparivano”, non avevano potere politico. Quindi si è preferito chiamarle guaritrici, curandere ecc., mentre gli uomini che esercitavano il potere spirituale erano Sciamani, consiglieri dei capi, se non in alcuni casi capi essi stessi. Poi bisogna considerare che lo sciamanesimo è stato considerato come la prima “religione” dell’umanità e pertanto messo in relazione con la preistoria e con quell’idea di mondo preistorico che archeologi, paleontologi e antropologi hanno costruito per noi. Banalmente è lo stesso immaginario che ha pervaso per anni film e cartoni animati, quel quadretto in cui gli uomini con la clava erano i cacciatori di grandi prede e le donne tutte dedite alla sopravvivenza morivano giovani a causa delle numerose gravidanze. In questa visione del mondo, gli sciamani erano parte integrante dei gruppi di cacciatori e quindi gli aspetti rituali, artistici, politici della società erano del tutto in mano agli individui di sesso maschile.
Ma questa teoria interpretativa è ad oggi del tutto screditata e i più antichi scheletri riesumati con paraphernalia e oggetti rituali risultano appartenere a donne! Nel libro ho cercato di analizzare tutti gli elementi che hanno cancellato la spiritualità femminile all’interno della storia.
Nella nostra cultura la donna vive scissa dal proprio corpo e questo si manifesta con dolorose patologie e con l’adesione a modelli imposti da una mentalità maschilista. Cosa ci insegna lo sciamanesimo sul corpo femminile?
Ci insegna che la spiritualità è nel nostro corpo, a partire dal nostro ciclo mestruale che ci predispone biologicamente a vivere “qui e là”, sperimentando ogni mese, fin da quando siamo ragazzine stati di coscienza non ordinari…la famosa “intuizione femminile”, che all’interno del mondo patriarcale è diventata conoscenza di tipo B. Come spiegano studiose come Camilla Power e Judy Grahn il ciclo rosso è il fondamento di tutta la ritualità umana, è il tempo, la matematica e il “tempio”. E poi c’è l’altro aspetto, il parto. La capacità di dare la vita è una diretta connessione con il mondo del mistero. In molte culture, tra cui alcuni popoli aborigeni dell’Australia, le donne non avevano bisogno di rituali o malattie inziatiche per diventare sciamane, il parto era già considerato una via preferenziale.
Tu sei anche un’artista e nel tuo libro parli ampiamente del rapporto tra arte e fenomeni estatici, che rapporto c’è tra sciamanesimo e creazione artistica?
E’ una domanda complessa, dovrei scrivere un libro solo su questo argomento, ma per usare una metafora, potrei dire che arte e sciamanesimo sono amanti sin dai primordi dell’umanità. La teoria fosfenica elaborata da Lewis-Williams, Dowson e Clottes che mette in relazione l’arte rupestre con gli stati sciamanici di conoscenza e gli studi delle neuroscienze, ha comportato un cambio di paradigma in questo campo. Se poi a questa si aggiungono gli studi di archeomitologia della Gimbutas e le analisi storico-sociologiche della Eisler, il quadro della preistoria e dell’arte cambia completamente. L’arte non aveva quasi nulla a che vedere con la caccia o con primi rozzi tentativi di esprimere un bisogno estetico innato. L’arte era al centro dei culti di celebrazione della vita, era il ponte tra i mondi e nel rapporto dialettico tra vita morte e rigenerazione le donne svolgevano un ruolo fondamentale. Erano sciamane, guaritrici e artiste.
Dal tuo libro:
<<…sono state messe al bando tutte le sostanze di origine naturale che espandono lo stato ordinario della coscienza, mentre l’alcool, che crea dipendenza e alimenta personalità egoiche e violente, è assolutamente legalizzato>>. Molte sostanze psicoattive naturali sono illegali ma molte persone fanno uso di stupefacenti deleteri per il sistema nervoso e per la salute. Ancora una volta cosa ci insegna lo sciamanesimo?
Insegna a mettersi in connessione con la Vita, quella con V maiuscola. E’ da 5000 anni che viviamo in una cultura necrofila, che ha messo al bando il potere femminile, quello spirituale e quello politico. Le cose sono andate di pari passo. Le piante psicoattive sono state utilizzate da noi donne sin dagli albori della civiltà, sono piante di grande potere curativo e nelle culture sciamaniche di ogni dove, sono considerate sacre. Non creano dipendenza, ma “conoscenza” e ristabiliscono un equilibrio tra corpo, mente e spirito, così come tra donna-uomo-Natura…proprio quello che manca a questa società malata e piena di ego, che privilegia appunto sostanze pericolose e ne fa un uso ludico e sconsiderato. Per noi donne la domanda è: “vogliamo lasciare i nostri figli e le nostre figlie in preda allo spettro della droga o vogliamo tornare ad occuparci di questo argomento?”.
L’argomento eutanasia suscita sempre accesi dibattiti e non si riesce, nel nostro paese, a formulare una legge che possa lasciare libera scelta rispetto alle terapie mediche. Nel tuo libro si descrive la donna sciamana come colei che accompagna nella nascita e nella morte. Chi era l’Accoppatrice?
E’ una figura curiosa della tradizione sarda, una delle poche tradizioni italiane che ha conservato qualcosa della sua antica matrice matriarcale. Quando una persona era in preda all’agonia e non riusciva a morire, dopo vari tentativi e l’estrema unzione da parte del prete, i parenti chiamavano l’Accabbadora, una donna esperta di cose “magiche”, che sapeva dare morte immediata e traghettare l’anima dei morti nell’aldilà. Se teniamo conto che l’Accabbadora era anche una levatrice e una guaritrice, ci troviamo di fronte ad una figura di evidenti caratteristiche sciamaniche. Riguardo all’eutanasia, posso dire che è stata allontanata dal mondo cattolico occidentale, perchè, in certo senso, spezza il “patto di vita stretto con Dio”, ma i popoli matricentrici dell’Antica Europa, di cui la Sardegna nel suo sincretismo porta ancora qualche testimonianza, non avevano questa visione delle cose, la morte faceva parte del ciclo vitale e non veniva “allontanata”. Le tombe erano piene di simboli di rigenerazione e in molti casi, le ossa dei propri antenati e delle proprie antenate venivano sepolte sotto il pavimento della cucina.
Rashida Manjoo relatore speciale dell’ ONU per la violenza contro le donne ha definito femminicidio cio’che sta accadendo nel nostro paese. Cosa ne pensi?
Penso che sia il termine giusto e che sia assolutamente necessario da parte delle legge italiana e dei media, dare un nome appropriato a questa tragedia. Dall’inizio dell’anno si contano 73 omicidi di donne, tutte ammazzate da parte di mariti e compagni, perchè avevano in qualche modo “reclamato” in maniera diretta o indiretta il loro bisogno di libertà. Il problema è complesso, io sento però che questa crescita di episodi violenza sulle donne, sia il colpo di coda del patriarcato…il potere femminile si sta espandendo sulla terra e c’è qualcosa nella mente patriarcale che cerca di fermarlo. Come associazione Laima stiamo preparando un grande progetto di educazione alla partnership, perchè crediamo che sia veramente importante ri-educarci tutti e tutte ad una visione diversa della cose e delle relazioni.
Sonia Sion