10 anni dopo l’11 Settembre 2001: 10 domande a Dominic Streatfeild, autore di “Storia del mondo dopo l’11 settembre. Com’è cambiata la nostra vita dall’attentato alle Torri Gemelle all’uccisione di Osama Bin Laden” (I volti della storia), edito da Edizioni Newton Compton.

 

Siamo e facciamo la storia. Stroman, che apre e chiude il tuo libro, sembra crederlo. Come mai hai scelto di raccontare la sua storia?

(Stroman è un criminale americano che, dopo l’attentato dell’11 settembre, ha deciso di “vendicare” la razza ariana per gli attentati dei terroristi, uccidendo diversi civili. Streatfeild usa la sua storia per spiegare le conseguenze dell’attentato, ndr).

Ho cercato una storia che potesse fungere da premessa ai temi affrontati nel libro: vendetta, rabbia, illegalità etc. Ovviamente non ho voluto fare un paragone tra Stroman e gli Stati Uniti d’America, ma ho riscontrato delle similitudini tra le due storie che potevano rendere entrambe rappresentative. Come affermo nel capitolo, sia Stroman che gli Stati Uniti hanno sperimentato la rabbia in seguito agli attentati del 9 Settembre; entrambi mancano di una conoscenza completa di ciò che avveniva fuori dagli USA; entrambi erano armati fino ai denti; entrambi volevano vendicarsi. Tragicamente, entrambi, hanno preso di mira civili.

11 Settembre: emergenza reale o puro caso?

Una vera emergenza, ma non della portata che hanno dipinto i politici dell’epoca. Al Qaeda rappresentava e continua a rappresentare, una minaccia al mondo occidentale. Ma non è stata mai una minaccia esistenziale. Dichiarare guerra al terrorismo, la male o ad Al Qaeda non era il modo migliore per risolvere il problema. È stata dichiarata la guerra alla droga, alla povertà- a tantissime cose. Ma queste guerre non solo non possono essere vinte: spesso sono anche controproducenti.

Pensi che l’aumento della violenza sia direttamente correlato alla crisi della struttura familiare?

Se si intende che il divorzio, le famiglie smembrate e così via siano dietro all’aumento della violenza allora la risposta è no. Si tratta certo di problemi ma sarebbe troppo pensare che siano alla base di ciò che succede in Afghanistan o in Iraq. Nel caos di Stroman ci sono stati eventi reali che sicuramente hanno ricoperto un ruolo cruciale nella sua disintegrazione, ma ritengo che se non fosse successo l’11 settembre 2001 quello che tutti sappiamo, forse non avrebbe preso in considerazione di uccidere delle persone. La sua famiglia non è delle migliori e non è certamente cresciuto nelle migliori condizioni- con diversi torti subiti- ma è stato l’11 settembre la goccia a far traboccare il vaso.

Razzismo: che cosa significa essere “puri”?

Per Stroman e per gli altri razzisti la questione della purezza era ed è essenziale. Per lui chi non era americano aveva, in qualche modo, nessun diritto a ricevere benefici, diritti e, infine, anche la vita. È interessante notare che  Stroman considerava il suo amico Shy Galloway americano, sebbene lo stesso avesse la pelle di colore nero. Nella mente di Stroman il peggior genere di immigranti erano gli immigrati recenti e, nello specifico, gli asiatici. Quando ci siamo incontrati lui mi ha detto “I neri, alla fine, sono americani”. Non che questo lo avesse trattenuto dall’attaccare anche loro.

Come mai gli stranieri sono considerati dei virus?

Paragonando le minoranze etniche ai parassiti e ai roditori non è certo una novità. In Ruanda i Tutzi sono stati considerati continuamente al pari di animali. Nella Germania nazista erano gli ebrei a venire considerati tali. C’era un significato ben più nascosto del semplice nome attribuito.  Era correlato alla minaccia che veniva attribuita a queste minoranze: visti nell’ottica giusta non solo erano stranieri che avevano il sé la tendenza alla corruzione e alla criminalità, ma si nutrivano pure. Per questo c’era pericolo che aumentassero e infettassero gli altri. Come virus appunto.

Il Governo trasmette messaggi razzisti?

A volte. Forse senza volerlo, in maniera ingenua. Il caso dei bambini naufraghi alle coste dell’Australia è un buon esempio di quella che è stata definita “Dog whistle politics”: se l’amministrazione Howard avesse dichiarato apertamente che gli stranieri e coloro che cercavano asilo politico erano tutti criminali, si sarebbe esposta alle accuse di razzismo (e avrebbe, di conseguenza, perso anche voti). Ma descrivendo la situazione in maniera subdola (“Non possiamo essere certi che non si tratti di terroristi”) non ha fatto tremare i troni anche se ha mandato lo stesso messaggio.

I rifugiati sono vittime o criminali?

Sicuramente vittime. La questione è: cosa succede se non vengono riconosciuti come “rifugiati” che cercano asilo politico? Ognuno concorda nel fatto che i rifugiati debbano essere protetti. Ma se non si tratta di veri e propri rifugiati, bensì di “immigrati per motivi economici”, obbligo di occuparsi di loro decade.

Qual è il ruolo della stampa nell’informazione?

Cruciale. Come si avrebbero altrimenti le informazioni? La domanda è: quale è ruolo della stampa rispetto alla DISinformazione? Secondo me, la stampa non ha fatto un ottimo lavoro per quanto riguarda quello successo in Iraq. Ci sono ancora tante domande che si sarebbero dovute fare.

L’Egiziano: un mito?

In che senso? Che ciò non è mai successo? Che Al Masri non è stato deportato e incarcerato dagli Stati Uniti? Che non c’è stato mai un personaggio (diverso) conosciuto come Al Masri che ha ispirato in Germania i dirottatori a fare quello che hanno fatto l’11 settembre? Quello che è successo è stata una serie di circostanze che sono risultate  in identità non chiare.

Terrorismo e salute: c’è una relazione?

Cosa c’è di più chiaro? Il terrorismo uccide le persone! Forse la domanda era riferita alla poliomielite? Dal mio punto di vista l’iniziativa per l’eliminazione della poliomielite è stata ridotta dall’impegno profuso nella guerra al terrore. La fiducia nell’occidente si era ridotta in maniera tale che i genitori si rifiutavano, in Afghanistan  Iran di venir vaccinati contro la poliomielite. La campagna è stata rallentata. Staremo a vedere come si evolve la situazione.

 

Elisa Cutullè

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