Incontro con Mauro Fabbri
Direttore d’orchestra, classe 1970. Toscano di nascita ma cittadino del mondo. Chiacchierata musicale sull’affascinante mondo della musica.
Come mai ti sei avvicinato alla musica classica? Nel panorama musicale contemporaneo non è una scelta proprio “usuale”.
Ho iniziato da piccolo con lo studio del pianoforte. I miei, all’inizio, non erano molto d’accordo perchè pensavano che fosse un capriccio da bambino. Così ho preso le mie prime lezioni “di nascosto”: mi misi d’accordo con l’insegnante quando frequentavo le scuole medie. Dopo ho proseguito con il Conservatorio, sono entrato, ho fatto tutto il mio cammino. Nel frattempo mi ero affezionato alla Direzione d’orchestra e quindi, oltre al pianoforte, ho studiato anche composizione e direzione d’orchestra.
Come ha reagito la tua famiglia quando si è resa conto della tua passione e del fatto che prendevi lezioni di nascosto?
La famiglia ha reagito bene. Furono chiamati all’epoca dalla mia insegnante che gli disse che ci voleva lo strumento, il pianoforte. All’inizio non capivano cosa volesse la mia insegnante da loro. Quando incominciarono a chiarirsi le cose andammo a comprare immediatamente il pianoforte e non c’è più stata discussione.
È facile coniugare la vita d’artista alla vita di famiglia?
Per quanto mi riguarda io sono nato cittadino del mondo: dovunque vado, più o meno, mi sento a casa. Sono 4 anni che collaboro con il Theater im Zelt- Zeltpalast a Merzig (Germania). La mia famiglia, quando può e appena può mi raggiunge.
Come è nata la tua collaborazione con lo Zeltpalast?
È nata assolutamente per caso. Il maestro italiano che era venuto nel 2007 sarebbe dovuto tornare nel 2008. Ebbe un problema di salute e fece il mio nome per seguirlo; lui non venne ma io fui chiamato lo stesso dal teatro: ora è il mio quarto anno di collaborazione regolare.
Il palco più importante per te: quale è stato? Quale invece quello dei “tuoi sogni”
Non saprei. Come Direttore d’orchestra forse potrei dire che il palco di Sankt Margarethen in Austria è stato quello più importante, per la sua vicinanza a Vienna. Come maestro dietro le quinte di teatri ne ho girati parecchi, ma io non farei una graduatoria. La Scala e il Metropolitan, per esempio, sono un sogno unico. Gli altri teatri sono più o meno alla pari. Sognare è bello. L’importante, per me, è sempre arrivare preparati. Non stancarsi di farlo e, soprattutto, non stancarsi di divertirsi di fare questo.
Cosa è stato più difficile da affrontare nel tuo percorso di artista? Cosa ti ha richiesto più sforzo?
Mi ha richiesto tanto dirigere Carmen. Adoro Carmen: era un’opera che avevo studiacchiato a scuola. Ma dovermi presentare con il ruolo di pianista/direttore mi ha chiesto notevole sforzo visto che è in francese ed io non conosco il francese. Uno sforzo soprattutto linguistico.
C’è una cosa che non faresti mai nella tua carriera musicale? Produzioni non di opere, musical, film?
Anche io non avrei problemi a dirigere dei musical: ne ho perfino scritti due. Ho suonato anche altri tipi di musica. Anzi, direi che è male se un musicista rimane chiuso dentro una sola sfera, pechè la musica, se è ben fatta, è musica di pari dignità tutta. Le distinzioni sono stupide: se c’è una contaminazione non è così male. Mi vengono in mente autori come Gershwin o come Bernstein dove la combinazione tra la musica cosiddetta leggera e colta abbia prodotti dei risultati ben interessanti e mirabili che non hanno nulla da invidiare a musiche “pure”. Con questa ottica è facile anche arrivare alla musica da film: c’è, per esempio, Nino Rota che ha scritto musica da film ma anche opere liriche di prestigio.
L’Italia dà spazio e importanza alla promozione delle arti musicali?
Ritengo che se il pubblico fosse educato, portato ad apprezzare determinate produzioni musicali o l’arte in generale, si creerebbe anche un altro genere di richieste. Il pubblico risponderebbe anche se, per il genere musicale classico, magari l’età media dell’appassionato è abbastanza anziano. D’ltro canto se non si fa nulla per il pubblico giovane (agevolazioni, educazione musicale etc.) il pubblico giovane non ci viene. In Italia non mancano i soldi per la promozione culturale, ho come l’impressione che non vengano investiti in maniera corretta.
Hai avuto diversi premi: onere o onore?
Questa è difficile. Non sono tantissimi i premi che ho ricevuto mi hanno fatto piacere e spero che siano il riconoscimenti uno studio e di un lavoro ben fatto. Mi hanno spronato a fare sempre meglio, forse sì. Direi che a spronarmi a fare sempre meglio è stata l’esperienza del lavoro sul campo: hai sempre a che fare con persone nuove, devi essere pronto dal primo giorno, essere pronto a entrare nel gruppo e mantenere rapporti umani che accrescono.
Elisa Cutullè