Ieri, a Roma, Fiorella Mannoia ha incontrato i giovani dell’Università la Sapienza di Roma per parlare di lotta alla violenza sulle donne. Promosso dall’associazione studentesca Sapienza Futura, in collaborazione con l’Associazione antimafia “I ragazzi di Via D’Amelio” e con il supporto dell’Ateneo, l’iniziativa nasce d all’idea che l’università non sia soltanto un luogo di trasmissione del sapere, ma anche uno spazio attivo di confronto, crescita civile e consapevolezza sociale

Il dialogo con Fiorella Mannoia si inserisce in questo orizzonte, mettendo al centro il tema della violenza di genere e la necessità di promuovere una cultura della prevenzione, che vada oltre la sola risposta repressiva. Solo attraverso un impegno condiviso è possibile contrastare le disuguaglianze e costruire una società più giusta e consapevole.Guidato dai rappresentanti degli studenti Claudia Caporusso e Raffaele d’Alfonso del Sordo, l’incontro si è aperto con i saluti istituzionali della magnifica rettrice Antonella Polimeni e della docente Ines Ciolli vicepreside della Facoltà di Giurisprudenza.

Fiorella Mannoia, portavoce e presidente onoraria della Fondazione Una Nessuna Centomila che raccoglie fondi da devolvere alle centri antiviolenza distribuiti su tutta la penisola, ha sottolineato più volte l’importanza del dialogo intergenerazionale e intragenerazionale. “Non dobbiamo mai smettere di parlare di questo argomento – ha affermato in apertura – perché innanzitutto a volte, sbagliando clamorosamente, pensiamo che la violenza sulle donne sia dettata dall’ignoranza. Invece, questo dimostra che succede anche qui in un tempio del sapere, come è accaduto recentemente per Ilaria. Quindi, il problema è anche di giovani che studiano, che dovrebbero sviluppare un pensiero critico e questo succede perché il problema è più radicato in noi di quanto possiamo immaginare. Io dico sempre – continua – che questa nostra non è una lotta contro gli uomini, noi donne non siamo in guerra con gli uomini, noi dobbiamo cercare di cambiare la mentalità insieme a loro, perché siamo tutti e due vittime di stereotipi: l’uomo è vittima dello stereotipo che si porta dietro di quello che viene chiamato patriarcato, secondo cui l’uomo deve essere forte, deve proteggere deve portare i soldi a casa, non deve piangere. Ma anche noi donne siamo vittime di stereotipi, perché se un uomo ci chiede se dobbiamo proprio uscire, se non sia meglio restare a casa, se ci chiede di condividere le password dei social e il pin del telefono, noi pensiamo che lo fa perché ci tiene a noi. E, invece, questi sono tutti segnali di allarme che caratterizzano una relazione tossica”.

“La violenza sulle donne non conosce né etnie, né età, né strati sociali. Bisogna cominciare a parlarne e a parlarne tra di noi e tra di voi e non girare la testa dall’altra parte quando un’amica è in pericolo, senza girarsi dall’altra parte. Come Fondazione abbiamo raccolto i fondi per aiutare i centri antiviolenza, quasi tre milioni di euro distribuiti ai vari centri antiviolenza sparsi in tutta Italia. Perché oggi l’unica certezza che abbiano le donne sono i centri antiviolenza. Il resto per ora sono solo quello che io definisco chiacchiere e distintivo: ogni 25 di novembre si fanno tante chiacchiere ogni 8 marzo si fanno tante chiacchiere e poi le pene sono minime e i braccialetti non funzionano…”

“Il termine femminicidio a volte viene contestato – continua Fiorella, in un’analisi lucida del problema che cattura l’attenzione della giovane platea – perché, si sostiene, sono anche tanti gli uomini che vengono uccisi. Ma il termine femminicidio va a caratterizzare la matrice di questo tipo di delitto, ossia è sempre mosso dal rifiuto del rifiuto, cioè non tu non riesci a stare con me e allora non sarai più di nessuno. Il femminicidio scaturisce sempre dalla non accettazione che la tua compagna, che tua moglie, che la tua fidanzata possa avere una vita sua, che lei possa studiare o, come nel caso di Giulia Cecchettin, è ancora peggio che possa studiare ed essere più brava di lui.”

Tanti i temi toccati, non solo la violenza sulle donne. Si parla di musica, di bisogno di manifestare contro ciò che non va, di aprire la mente. “Quando io ho scoperto De André – continua Fiorella – ho capito all’improvviso che c’era un altro mondo che io ancora la conoscevo, perché stavo in quella terra di mezzo che era l’adolescenza. Ho capito che nelle sue canzoni non c’era mai giudizio e ho imparato a non giudicare le persone, a non giudicare nessuno, perché tutti hanno la propria vita e tutti hanno il diritto di riscattarsi anche quando sbagliano. Quello che non vedo oggi nelle nuove generazioni è la voglia di di raccontare il loro disagio. Io ho sempre detto che ci sono canzoni per i piedi, che sono quelle che fanno ballare, che ci sono canzoni del cuore, che sono quelle che fanno innamorare e ci sono canzoni per la testa, che sono quelle che ti fanno ragionare. E allora, ragazzi, non ci possono essere solo canzoni per ballare o per il nulla! Vi invito a manifestare il vostro dissenso, incazzatevi perché ce n’è motivo, perché il futuro non è così roseo come sembra. Ci sono due guerre vicino, altre in tutto il mondo: possibile che nessuno sente la necessità di parlarne?” “Vi invito a leggere, informarvi per aprire la testa perché se non si hanno pensieri in testa non si hanno parole per esprimere o viceversa. Qui dentro siamo nel tempio della Sapienza, siamo nel tempio del sapere, e allora a che serve studiare se non per aprire il pensiero e per manifestare il proprio dissenso quando pensiamo che sia giusto?”

Tra gli interventi dei giovani studenti dell’Università La Sapienza particolarmente toccante quello di una ragazza non vedente, anzi pro-vedente, come si è definita lei, perché “riesce a vedere con altri occhi, con altri sensi e con il cuore” e forse vede molto di più di chi, invece, non vuole vedere.

E’ stato un incontro coinvolgente, dove le ragazze e i ragazzi de La Sapienza hanno ascoltato con un’attenzione particolare quello che una grande artista, impegnata in una battaglia tanto importante e difficile, ha saputo trasferire loro con parole semplici e dirette, come se fossero chiacchiere in famiglia. La frase più stimolante? “Rispetto è la parola più bella del nostro vocabolario”. Ricordatevene sempre!

Testo Gilda Luzzi


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