(Sintesi da Fondazione Migrantes)Presentata a Roma, lo scorso 5 novembre, la XIX edizione del Rapporto Italiani nel Mondo (RIM). Mons. Perego, presidente della Fondazione Migrantes: «La politica riconosca e interpreti i cambiamenti in atto nella polis»
L’Italia è il Paese delle migrazioni plurime, in cui ci sono anche gli italiani che tornano “a casa”, sebbene molti di più se ne vadano: il saldo migratorio è nuovamente e chiaramente negativo dopo il rallentamento per la pandemia (-52.334 nel 2023). Nel mentre assistiamo allo scollamento tra tale realtà e l’azione politica, che non sa interpretare il modo in cui la mobilità umana sta già di fatto mutando profondamente il concetto di cittadinanza. Questo il cuore della XIX edizione del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes (Tau editrice), curato da Delfina Licata, presentato a Roma.
Dal 2006 italiani all’estero raddoppiati. L’estero è il nuovo ascensore sociale
Dall’Italia si parte sempre più numerosi e con profili sempre più complessi. Dal 2006 la presenza dei connazionali all’estero è praticamente raddoppiata (+97,5%) arrivando a oltre 6,1 milioni di cittadini iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’estero (AIRE). Negli ultimi 10 anni le iscrizioni all’AIRE per la sola motivazione espatrio sono state 1.179.525. Di questi, come la narrazione prevalente testimonia, la maggior parte sono giovani tra i 18 e i 34 anni (circa 471 mila) o giovani adulti (poco più di 290 mila). Oltre 228 mila sono i minori – a significare che sempre più italiani partono con la famiglia o “mettono su famiglia” all’estero – e più di 30 mila sono over 65enni. A tali partenze, che non hanno solo una motivazione professionale, non corrispondono però altrettanti “ritorni” ma, piuttosto, una desertificazione dei territori. L’estero ha sostituito l’ascensore sociale bloccatosi negli anni Novanta. Nella sintesi del Rapporto, in dettaglio, il profilo per età, genere e titolo di studio degli italiani espatriati e rimpatriati (2022).
Le migrazioni interne e il cortocircuito attrazione-repulsione verso i piccoli centri
Mentre il racconto prevalente contrappone agli “esodi” di emigrati italiani all’estero le “invasioni” di immigrazione straniera in Italia, non si pone adeguatamente l’accento sulla mobilità interna. Mediamente, infatti, su circa 2 milioni di trasferimenti annuali complessivi, circa tre quarti riguardano movimenti tra Comuni italiani. In tutto ciò, dal 2014 gli abitanti delle cosiddette aree interne sono diminuiti del 5% che, in valore assoluto, significa 700 mila unità. Scuole, bar, filiali di banche, attività commerciali chiudono generando nuovi esodi. L’area interna ha sviluppato intorno a sé un movimento paradossale fatto, allo stesso tempo, di repulsione e di attrazione. Se da un lato, per alcuni, ci si è accorti della necessità di tornare a vivere una vita più a dimensione della persona, dall’altro lato il borgo continua a essere non attrattivo per i giovani, i quali finiscono per trasformare in definitivo un progetto di trasferimento transitorio in un’altra regione o “si giocano la carta” dell’estero.
L’Italia che allontana le “risorse giovani” e non guarisce la “ferita migratoria”
Eppure anche la città inizia a rifiutare i giovani. Affitti molto alti e costo della vita proibitivo allontanano le risorse giovani e appena laureate, spingendole lontano. Nel mentre non ci si accorge di una immigrazione stabile e strutturale persino conveniente per affrontare sia i problemi demografici che quelli economici. In Italia bisogna guarire la “ferita migratoria”, considerando, cioè, la partenza non un abbandono ma una possibilità di crescita per un ritorno più utile. Così sarà possibile finalmente capire il senso vero del partire e il valore del ritorno, valorizzando, allo stesso tempo, chi ha scelto l’Italia come meta di destinazione per ricominciare una vita più dignitosa, facendo nascere figli che oggi si sentono pienamente italiani pur non essendolo di diritto.
Nuovi italiani senza cittadinanza: stranieri nati in Italia e italodiscendenti
Da una recente indagine Istat, dal titolo Bambini e ragazzi. Anno 2023. Nuove generazioni sempre più digitali e multiculturali, emerge che, tra i ragazzi non italiani dagli 11 ai 19 anni ben l’85,2% si sentono italiani pur non essendo riconosciuti tali. Essere italiani significa, in prima battuta, “essere nati in Italia” (54,0% per gli italiani e 45,7% per i ragazzi di altra cittadinanza) e, al secondo posto per entrambi, “rispettare le leggi e le tradizioni italiane”. Dall’altro lato, in un mondo totalmente cambiato dove l’acquisizione della cittadinanza è diventata materia ideologica, con una legge che risale al 1992, c’è la situazione degli italodiscendenti che fanno richiesta per ius sanguinis e diventano vittime di un mercato del malaffare per la vendita di cittadinanze.
Verso una “comunità ruscello”. Mons. Perego: la politica riconosca i cambiamenti di fatto
C’è un’immagine di Franco Arminio, citata nel Rapporto, che ci offre una prospettiva per il futuro: è la “comunità ruscello”, dinamica e impensata, che “apre la porta” all’interculturalità e si contrappone alla “comunità pozzanghera”. L’Italia è già strutturalmente un Paese dalle migrazioni plurime che, se adeguatamente indirizzate, incentivate e valorizzate, possono trasformarsi in società vive e inclusive. «Non è possibile – ha dichiarato il presidente della Fondazione Migrantes, S.E. mons. Giancarlo Perego – che la politica non riconosca i cambiamenti che stanno avvenendo nella polis, nella città. Deve interpretarli e governarli con strumenti idonei e non pregiudiziali. Dal 1992 a oggi l’Italia è cambiata».
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(Fonte: https://www.migrantes.it/)