Da quando la frantumazione dell’URSS nel 1991 ha avviato nel mondo una situazione di unipolarità statunitense, facendo mancare quell’equilibrio delle forze fra paesi dotate di armi atomiche che assicurava di fatto la pace attraverso la condizione della MAD (Mutual Assured Distruction) il mondo conosce 50 guerre maggiori o minori e la creazione delle condizioni per lo scoppio di una Terza (ed ultima) Guerra Mondiale non son mai state tanto vicine. Ultima, la guerra in Medio Oriente di cui dopo l’attentato terroristico subito il 7 ottobre 2023 è protagonista quello che era considerato tradizionalmente la sola democrazia del Medio Oriente, lo stato di Israele. Sulla situazione lasciamo la parola a Pino Arlacchi in un lungo articolo apparso sul Fatto Quotidiano del 26 ottobre scorso, di cui proponiamo ai lettori di PassaParola dei lunghi estratti
Pino Arlacchi, laureato in sociologia alla celebre Università di Trento, sede della prima facoltà di sociologia d’Italia, già professore associato di Sociologia Applicata alla Università delle Calabrie, ha rivestito fra il 1997 e il 2002 la alta carica di vice-segretario generale dell’ONU e di direttore dell’UNDCCP ( Ufficio delle Nazioni Unite per il Controllo delle Droghe e la Prevenzione del Crimine).
Scrive Arlacchi “La misura è colma . Lo Stato di Israele non può più stare nelle Nazioni Unite. E’ diventato uno stato fuorilegge che infrange uno dopo l’altro i capisaldi del diritto internazionale e che fa sfoggio della propria impunità potendo contare sulla protezione politica e sul sostegno militare senza limiti degli Stati Uniti”.
E’ questa la valutazione dell’italiano Pino Arlacchi che continua osservando che “se così non fosse, Netanyahu non avrebbe mai osato insultare l’ONU, in piena Assemblea Generale, definendola “un palude di bile anti-semita” e non avrebbe fatto uccidere, durante il solo 2023, 230 dipendenti dell’UNRWA nel corso di bombardamenti, incendi e assalti a scuole, depositi di viveri, convogli di aiuti umanitari marcati ONU”. Arlacchi ricorda che l’UNRWA è l’agenzia creata nel 1949 dalla Assemblea Generale per assistere i rifugiati palestinesi creati (dopo la prima guerra arabo-israeliana del 1948, ndr) dalla “nakba”, la catastrofe che vide 700mila palestinesi cacciati con la violenza dalle loro case e dalla loro terra dalla milizia sionista che divenne poi l’esercito di Israele. “Tutto ciò facendosi beffa dei piani di insediamento stabiliti dall’Onu e inaugurando una lunga serie di crimini di illegalità che arriva fino ai nostri giorni. E che sta alla radice della fondazione dello Stato di Israele, nonché di Al Fatah, Hamas, Hezbollah e simili.”
Accanto all’UNRWA – prosegue Arlacchi- la seconda maggiore vittima dell’ostilità israeliana verso le Nazioni Unite è l’UNIFIL, una missione composta da 50 paesi – fra cui l’Italia che vi contribuisce con circa mille militari, ndr) creata nel 1978 dal Consiglio di Sicurezza per promuovere la pace in Libano. l’UNIFIL ha pagato sinora con 337 vite umane l’attuazione del suo mandato. Non tutte le sue perdite sono dovute ad attacchi israeliani ma è proprio in queste settimane che è esplosa tutta l’insofferenza di Tel Aviv contro possibili testimoni di atrocità pianificate e sul punto di essere attuate.
Arlacchi cita poi le 24 risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU mai rispettate dallo stato di Israele che criticano o condannano l’occupazione illegale di territori e le crudeltà di Israele contro i palestinesi, in particolare la risoluzione 242 del 1967 che stabilisce il ritiro di Israele dai T.O. dopo la Guerra dei Sei giorni. Poi le risoluzioni 446 del 1979, 904 del 1994, 1073 del 1996 e 1394 del 2002 cui si uniscono le 155 risoluzioni approvate dall’Assemblea Generale dal 2015 ad oggi riguardanti i tre interventi militari israeliani precedenti in Libano (1978, 1982, 2006, ndr), gli insediamenti illeciti in Cisgiordania , il ritiro dai T.O., le stragi e le deportazioni di civili palestinesi. Queste deliberazioni della maggioranza globale sono altrettante tappe del solco che si è scavato tra i governi di Israele da un lato e le Nazioni Unite e il resto del mondo dall’altro. I 41 mila morti di Gaza, i 100 mila feriti, i milioni di sfollati del Libano e di Gaza, i ripetuti attacchi all’Iran, allo Yemen e alla Siria, gli assassini mirati di singole personalità straniere avvenute nel corso dell’ultimo anno nono sono giustificabili in alcun modo. Non sono eccessi di legittima difesa causati dal massacro di 1200 civili israeliani il 7 ottobre 2023. Ci troviamo di fronte , scrive Arlacchi, “ad uno Stato membro dell’ONU colpito da un processo degenerativo. Diventato un aggressore seriale che non riesce ad astenersi dal commettere crimini contro l’umanità, crimini di guerra, tentati genocidi e stragi a ripetizione per poi fare la parte della vittima e rifugiarsi dietro lo scudo degli Stati Uniti”.
Ora, nessun Stato membro è stato sinora espulso dalle Nazioni Unite. Non ci sono veri precedenti. Ma Arlacchi fa un paragone fra il caso del Sudafrica minacciato di espulsione dall’ONU nel 1974 e quello di Israele. Osserva che nel caso del Sudafrica il dibattito all’ONU sull’espulsione non fu scatenato solo dalla crescente avversione internazionale nei confronti dell’ apartheid, ma anche dalla continua occupazione sudafricana della Namibia, definita illegale dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU, come nel caso dell’attuale occupazione israeliana del Libano e della Cisgiordania. Ricordando il “case” storico del Sudafrica, Arlacchi richiama la risoluzione 269 che imponeva il ritiro del Sudafrica dalla Namibia pena una immediata riunione del Consiglio di Sicurezza per stabilire misure efficaci. Anche se l’espulsione fu invocata sulla base dell’art. 6 della Carta delle Nazioni Unite, l’espulsione del Sudafrica poi di fatto non avvenne per il voto contrario nel Consiglio di Sicurezza di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, ma l’ostacolo fu aggirato in seguito dall’Assemblea Generale nel 1974 con il rifiuto di accettare a stragrande maggioranza le credenziali della delegazione sudafricana. Solo nel 1994 il Sudafrica venne riammesso con la fine dell’apartheid.
Oggi, afferma Arlacchi, la situazione di Israele rispetto a quella storica del Sudafrica è molto più grave. “In entrambi i casi siamo di fronte a regimi “rogne”, “delinquenti” che si sono posti ai margini della comunità internazionale, ma lo stato razzista bianco sudafricano non tentò mai il genocidio o la deportazione di massa della popolazione nera. Gli anni di transizione…..costarono ai neri africani “solo” 14.000 morti (in Palestina ci avviamo progressivamente verso i 45.000 palestinesi accertati, di cui molti bambini, più i migliaia sepolti sotto le macerie di Gaza ndr). Negli ultimi decenni della sua vita, il regime di Johannesburg non mosse guerra né all’ONU né alle missioni ONU. Il suo tramonto è avvenuto con un accordo tra le parti e con la promessa di una futura riconciliazione”.
E qui Pino Arlacchi giunge alla definitiva conclusione “mandare via Israele dall’Onu è una misura drastica ma necessaria, occorre rompere la bolla di isteria e onnipotenza dentro cui vive un regime di psicopatici che non si rendono conto di essere in guerra non contro i palestinesi e il Medio Oriente, ma contro il mondo intero. Lo choc può essere salutare anche per il suo protettore, una superpotenza in declino tentata di andare nella stessa pericolosa direzione”.
Dato l’alto profilo internazionale del suo autore, già vice-segretario generale dell’ONU, la proposta avanzata da Pino Arlacchi merita di essere portata a conoscenza anche dei nostri lettori.
Carlo Degli Abbati