Ogni settimana una poetessa, un poeta, un profilo, una citazione sul suo intendere il modo di costruire le parole, la sua poesia.
CLEMENTE REBORA
Clemente Luigi Antonio Rebora, nasce a Milano nel 1885 dal garibaldino, massone e combattente a Mentana, Enrico Rebora e da Teresa Rinaldi. Dopo un iniziale avvio di studi di medicina a Pavia si laurea in lettere con Gioacchino Volpe nel 1910 discutendo una tesi su Giandomenico Romagnosi. Insegnante di lettere collabora con la Voce diretta da Giuseppe Prezzolini. La sua prima antologia poetica “Frammenti lirici” esce nel 1913. Richiamato come tenente in fanteria allo scoppio della prima guerra mondiale rimane gravemente ferito sul Podgora. Dal 1919 riprende l’insegnamento traduce dal russo Tolstoi e Gogol e nel 1922 pubblica la raccolta Canti anonimi. La sua conversione religiosa risale al 1928: mentre legge gli Acta Martyrum durante una conferenza al Lyceum di Milano ha una crisi religiosa che lo avvicinerà alla fede cattolica. Dopo aver preso i sacramenti nel 1929 nel 1930 entra come novizio presso i Rosminiani. Nel 1936 è ordinato sacerdote a Domodossola e passerà il resto della sua vita in istituti rosminiani prima a Domodossola poi a Torino Rovereto e infine Stresa dove si spegne nel 1957 dopo una dolorosa infermità che lo costringe a rimanere per lungo tempo immobile in un letto. Tutta la sua opera poetica esprime il suo tormentato itinerario spirituale – la critica ha parlato di “dissidio” – dalla prima ricerca di un’uscita dal suo ambiente familiare fortemente razionalista sino all’approdo infine rasserenante segnato dal possesso della fede nella fase più matura della sua vita. In cui proprio la fede formerà l’appiglio del poeta nei momenti finali più drammatici della sua esistenza. Per questo è giusto attribuire a Clemente Rebora la definizione di poeta cattolico. La sua vita sarà anche marcata dalla profonda amicizia per il poeta ligure Giovanni Boine che si spegnerà a Imperia nel 1917. Gli editori Garzanti e Scheiwiller hanno pubblicato in raccolta nel 1961 e nel 1994 le sue poesie (1913-1957).
Loris Jacin
…a me è parso di avvertire questa mattina, mentre ero nel ringraziamento dopo la S.Messa…che la poesia ..è uno scoprire e stabilire convenienze e richiami e concordanze tra il Cielo e la terra e in noi e tra di noi..La poesia..intesa in modo totale, ossia cattolico, è la bellezza che rende palese, come arcano riverbero, la Bontà infinita che ha di si’ gran braccia..
(1950)
Far poesia è diventato per me, più che mai, modo concreto di amar Dio e i fratelli. Charitas lucis, refrigerium crucis
(1955)
Ogni vero poeta (e pochissimi sono) – e a lui si aggiunga ogni artista o semplicemente artefice, ché veramente al Divino Creatore dovremmo riservare la qualifica di Artista – è unitotale, sia pur ristretta di numero l’opera sua; egli ha in proprio il suo non comunicabile genio personale innestato nell’elemento unanime e perenne della cultura e della civiltà del suo tempo; per cui, questo elemento universale- è quanto piu’ è purificato d’ogni ingombro contingente – la fa diventare un classico
(1956)
(da Canti dell’Infermità)
SOFFRIRE
Tragica viene a contrasto l’idea
Che dove spazia tutto in sé contiene,
E la natura che senza me crea.
Perché il soffrire è sicuro
E il comprendere oscuro,
Perché la voglia palese e gioconda
Miserabilmente giu’ sprofonda?
Non cosi’ promettesti, fanciullezza!
Quand’ero appena scàlpito o riposo
Nel vento del mio prato:
Quando sorbivo il vivere gustoso,
Inconscio e ghiotto come il mio palato;
Quando l’aroma dei sogni alitava
Dall’accesa corolla dei sensi
Al presagio lucente dell’ebbrezza,
Oh adesion di gioia
Oh creazion d’un mondo
Ch’ora inseguo vanamente e sfuggo,
Che mi fa quale non sono
E piu’ lontano dove piu’ mi struggo!
Or, come il sangue qui in me,
Necessario e tortuoso
Son dentro nella vita;
incertamente la memoria grava
Il mucchio del passato,
E preciso al suo luogo spietato
Con paura e dolore il presente s’incastra.
Nel sonno odiato l’unico inganno:
Ma, forra a svolto improvviso di monte,
Sembra il risveglio un terribile agguato
Dove l’ansia e l’avvenire
Sbarrin minacce senza scampo
Chiedan risposte senza tregua,
mentre è sgomento l’ascoltare intorno
Spoltrirsi alla fatica ancora il giorno.
Come saetta ch’aria in luce stringe,
O realtà, essere in te vorrei:
Ma in un concreto e alterno
Svariar perdo il senso
Del tuo vortice eterno.
Da te nascendo vano sfumo via,
(Vapore sull’acqua d’inverno):
E il sentirlo m’è duro e non voglio
La tua offerta tremenda;
E non voglio che voi, o pochi saggi
Dell’immortal vicenda,
siate piu’ vivi della mia carne sciocca;
Io credeva morir per natura
Chi senza speranza dolorasse,
E matura la polpa siull’anima secca
Mi cresce a dispetto piu’ bella!
Terso vigor di zampillo,
Quiete di riso tranquillo,
Paga blandizie del senso,
Labile cosa del tempo
Fra labili cose io sia:
Ma nell’urto del piccolo piede
Il passo divino ascoltare,
tacita guida a chi crede
(da Frammenti lirici)
S.COMUNIONE
Inerte e informe giaccio con me stesso.
Mentre Gesu’ all’universo intende,
pensier ha pur di me confitto in letto;
e muove e tempo e gente, onde fedele
con l’Ostia amante giunge nel mio petto:
-Ricordi me!- esclamo con Daniele
Allor che nella fossa vide cena.
Quasi a risveglio qualcosa in me vuole:
Mamma di Paradiso mi raccoglie,
Mi eleva al Cuor del Figlio che m’incendia
E al Trinitario Focolar rapisce
In seno all’infinito amor del Padre.
Poi, rimango io, con la salma in terra;
afferrato da Lui, non l’afferro
( da Canti dell’Infermità)