Un Paese dalla storia antichissima, antica provincia romana, è stato simbolo importante del cristianesimo. Stretto in passato tra alawiti e sunniti, oggi è dilaniato da una spietata guerra civile, divampata dopo le primavere arabe che, secondo i dati UNHCR, conta 13 milioni di sfollati di cui un milione ha chiesto asilo in Europa

Source: University of Texas, Perry Castaneda Library Map Collection – Courtesy of the Un. of Texas Libraries, The University of Texas at Austin

La Siria, attualmente nella tragica condizione illustrata dai media, è una regione dalla storia antichissima che scoperte più antiche e scavi più recenti hanno portato progressivamente in luce.  Gli scavi interessanti l’intera Mesopotamia della metà del XIX Secolo (di Paul-Emil Botta a Khorsabad nel 1843 e di Layard nel 1845) sono ripresi nel 1934 con gli scavi di André Parrot che mettono in luce la città di Mari. Ma sono gli archeologi italiani a scoprire nel 1975 la città di Ebla, l’attuale Tell Mardikh. Gli scavi  provano che nella Siria settentrionale, Ebla, fondata intorno al 3000 a.C., fu a capo alla metà del III millennio a.C. (2500-2400 a.C.) di un vasto impero che si estendeva tra il Mar Rosso, l’Anatolia e la Mesopotamia, e intratteneva relazioni commerciali con l’impero mesopotamico di Sumer e Akkad fondato da Lugalzagghisi di Uruk, precedente i Babilonesi . La città venne poi conquistata da re Sargon di Akkad intorno al 2260 a.C. Agli inizi del II millennio a.C. fiorì nuovamente come centro degli Amorriti fino alla conquista da parte degli Ittiti.

Nel II millennio a.C. i territori siriani vedono gli stanziamenti di popolazioni cananee ed aramaiche e furono probabilmente interessati dalle migrazioni dei Popoli del Mare. La regione siriana fu a lungo contesa tra Egizi (XVI secolo a.C.), Assiri e Hittiti (XIV secolo a.C.).

Furono ancora gli  Assiri a dominare la regione (VIII -VII secolo a.C.). A partire dal VI secolo a.C., la Siria fece parte dell’Impero persiano e, dopo le conquiste di Alessandro Magno, dello stato seleucide. Fu il diadoco Seleuco I Nicator a fondare Seleucia come capitale. In questo periodo la Siria fu sottoposta ad un intenso processo di ellenizzazione che tuttavia non riuscì a sradicare gli idiomi autoctoni di origine semitica (fra cui il siriaco, dialetto dell’aramaico, all’origine dell’arabo antico) che sopravvissero nelle zone rurali e, in minor misura, nelle città. Dopo le conquiste romane di Pompeo (64 a.C.) la Siria entra a far parte della provincia romana di Siria, con capoluogo Antiochia, che fu una delle maggiori metropoli dell’impero.

Nel terzo secolo i destini dell’impero romano, ormai in decadenza, nella regione si incrociano con la storia di un’antica città carovaniera, Palmira, Tadmur. Incapaci di superare con la loro pesante fanteria l’agilità della cavalleria dei Parti persiani dotati di archi compositi ben più potenti degli archi romani, (chi non ricorda la sconfitta di Marco Licinio Crasso a Carre dove muoiono 40.000 sodati romani e solo qualche centinaio di Parti?) Roma aveva attribuito al re di Palmira, Odenato, il controllo della zona tampone siro-irachena come “Corrector totius Orientis” fino al tentativo, frustrato da Aureliano nel 274 d.C., della vedova di Odenato Zenobia, Bat Zadbai, di affrancarsi  dal legame con Roma. L’importanza di Palmira era legata alle strade carovaniere dell’impero persiano che dall’India e dall’Iran conducevano in Siria, in Palestina o in Asia Minore, e che finivano per creare lungo di esse   delle proprie città, come aveva fatto la via indo-araba che attraversava la Penisola arabica con le due strade  carovaniere occidentale e orientale, la prima attraversante l’Hijiaz di Mecca e Yathrib, la Medina del Profeta. Si erano così create Damasco, Hama, Homs, Aleppo. Ma anche Seleucia, Dura Europos, Palmira e, nell’attuale Giordania, Gerash e la Petra dei Nabatei.

La Siria ebbe anche un ruolo significativo nella storia del Cristianesimo: l’episodio della Conversione di Paolo è riportato come avvenuto “sulla via di Damasco” e lo stesso apostolo vi doveva fondare la chiesa di Antiochia. Nel 639 d.C. la regione venne conquistata dagli Arabi e Damasco fu il centro del califfato omayyade, divenendo uno dei più importanti centri culturali e religiosi dell’intero mondo islamico. Dopo le prime crociate, nel XII secolo,  alcuni territori furono governati dai cavalieri crociati (Antiochia, Tripoli, Edessa), mentre i domini musulmani erano suddivisi tra i turchi Selgiuchidi nel nord e gli arabi sciiti Fatimidi a sud, mentre numerose città si amministravano autonomamente (come Damasco sotto i Buridi). Tra il 1174 e il 1250 la regione fu sotto il dominio della dinastia degli Ayyubidi, che agli inizi del XIII secolo subì l’invasione dei Mongoli con Hȕlegȕ,l’Ilkhan di Mesopotamia che distrusse Baghdad nel 1258. In seguito furono i Mamelucchi turchi e circassi a sostituirsi agli Ayyubidi e a governare la regione fino alla conquista ottomana. Conquistata dal sultano Selim I, la Siria nel 1517 entrò a fare parte con la Libia dell’Impero ottomano e venne amministrata dai “neo Mamelucchi” per conto dei sultani di Costantinopoli fino alla Prima Guerra Mondiale. Dopo la sconfitta degli Ottomani al fianco degli Imperi Centrali, la Siria entra a far parte del mandato francese nel 1920, assegnata, secondo gli accordi Sykes-Picot del 1916, alla Francia insieme al Libano (Jebel Druse). La Gran Bretagna conservava invece l’Iraq  e la Transgiordania. Scelta comprensibile se si considera che i britannici avevano già trovato il petrolio a Mossul all’inizio del secolo XX e per questo avevano accelerato lo scoppio della Prima guerra Mondiale nei Balcani, timorosi che dopo la costruzione della Bagdadbahn da Istanbul a Bagdad con l’impegno della Germania e dell’Impero Ottomano avrebbero visto dal Golfo Persico, da Basrah, una Kriegsmarine minacciare il monopolio talassocratico inglese sul mondo.

Source: University of Texas, Perry Castaneda Library Map Collection – Courtesy of the Un. of Texas Libraries, The University of Texas at Austin

Dopo la Seconda Guerra mondiale la Siria diventa indipendente dal 1946 e fra il 1958 e il 1961 fa parte con lo Yemen dell’Egitto nasseriano della R.A.U. (Repubblica Araba Unita). Nel 1963, con un colpo di stato militare un partito laico socialista nazionalista panarabo (Baath) prende il potere, fortemente osteggiati dal movimento della Fratellanza  musulmana, soprattutto concentrato nelle cità di Hama e Homs. Nel 1970, dopo la sconfitta nella guerra dei Sei Giorni del 1967 con Israele e l’occupazione da parte dell’esercito israeliano delle alture del Golan, un colpo di stato del gruppo alawita all’interno del Baath porta al potere la famiglia Asad prima con Hâfiz al-Asad e poi dal 2000 con il figlio Basshâr. Ne conseguiva una situazione interna estremamente delicata, la popolazione siriana essendo maggioritariamente musulmana di rito hanafita. Già i fratelli musulmani siriani erano contrari al laicismo socialista del partito Baath. Per di più la famiglia Asad faceva parte di un gruppo minoritario di rito sciita, gli alawiti, di cui una fatwa di Taqi al-Din Ibn Tayymiyya già domandava nel 1305 lo sterminio in quanto eretici. Nel  1982 in un ennesimo episodio della insorgenza dei Fratelli musulmani contro il regime, la popolazione di Hama, in stragrande maggioranza sunnita, guidata da 150 ufficiali, insorse contro il Presidente alawita al-Asad, come reazione a una serie di arresti di elementi sunniti. Nei quattro giorni in cui ebbero il controllo della città, vennero uccisi circa 300 militanti ba’thisti e i militari di un’unità di paracadutisti inviata dall’esercito.

Courtesy of Abu Aljude, www.adonis49.wordpress.com

Le forze armate siriane, organizzate e guidate dal fratello stesso del Presidente, Rifa’at al-Assad, replicarono con un durissimo assedio e lo spietato bombardamento di Hama, durato 27 giorni, nel corso dei quali praticarono la politica della “terra bruciata” su un terzo della cittadina – che vantava numerosi gioielli architettonici, per lo più d’età ayyubide. L’esercito e le forze di sicurezza del regime si abbandonarono a massacri sanguinosi persino all’interno delle varie colonie di rifugiati politici ospitati all’interno di Hama, torturando e giustiziando gli oppositori politici, veri o presunti, della dittatura. Fonti dell’epoca hanno stimato le vittime civili e militari siriane fra 35.000 e 45.000.

Sul piano internazionale, nel 1976 la Siria interviene militarmente nella guerra civile in Libano e impone al paese un protettorato con una occupazione militare del paese che si protrarrà sino al 2005. Sul Golan, tuttora occupato da Israele, una forza dell’ONU di interposizione presidia il confine.

Nel 2011 la rivolta delle c.d. “primavere arabe” iniziata in Tunisia  si estende alla Siria e inizia nel paese una guerra civile, che oppone il governo Assad alle opposizioni, cui si sommano quasi subito due altri conflitti, un conflitto regionale e un terzo conflitto mondiale che attraversano anche essi il territorio siriano: la contrapposizione storica Arabia Saudita/ Iran e la contrapposizione della alleanza USA-Israele-Turchia-Paesi del Golfo all’asse Siria-Iran-Federazione Russa-Cina. Consegue nel paese l’intervento regionale di Turchia, in funzione anti-curda, Arabia Saudita e Qatar volto a destabilizzare il regime siriano con forme di intervento diretto e indiretto che passano anche attraverso il sostegno delle milizie jihadiste sunnite facenti capo a Al-Qaida, frutto della prima Guerra del Golfo (1990-91)  e dell’ISIS (Daesh), conseguenza della seconda guerra del Golfo (2003). Francia, Gran Bretagna e USA sostengono le opposizioni ritenute non islamiste (Esercito Libero Siriano) e le minoranze curde. Nella campagna anti-Asad si distingue il governo francese pronto a bombardare la Siria nel 2013 senza l’intervento attendista di Obama, dopo la  diffusione di presunte  evidenze di bombardamenti chimici da parte delle truppe lealiste.

Foto: La Stampa, 2011

Qui è opportuno fare una parentesi, per la loro influenza anche sulla Siria, sulle origini storiche dei movimenti jihadisti, Al-Qaida di Osama-Bin laden e l’ISIS (DAESH)  che, nati in origine in Arabia saudita e in Iraq, dopo le due invasioni americane della regione  avvenute a distanza di un decennio ( Pima e Seconda Guerra del Golfo) sono molto spesso male rappresentate da media occidentali sostanzialmente  embedded nella rappresentazione della propaganda americana sulla globale War on Terror diffusa dalla presidenza di Georges W.Bush dopo gli attentati di Al-Qaida a New York del settembre 2001. Al-Qaida nasce in Arabia saudita intorno alla figura di Osama Bin Laden, saudita di origine yemenita, già combattente anti-sovietico in Afghanistan negli anni ’80 sino al 1989, come conseguenza della Prima Guerra del Golfo. L’operazione Desert Storm condotta  a partire dal 1990 dagli Stati Uniti di Bush senior, già responsabile della CIA,  a capo di una vasta coalizione internazionale contro l’Iraq di Saddam Hussein che aveva invaso il vicino Kuwait, avvalendosi di pretese storiche, riuniva oltre ai paesi occidentali una parte dei paesi arabi , i c.d.  paesi del Fronte. Questa prima guerra  aveva lasciato quale eredità negativa soprattutto nella comunità musulmana sunnita in generale, e nella popolazione saudita in particolare, un forte sentimento di ostilità nei confronti degli Stati Uniti e dei suoi alleati occidentali per due principali motivi.

Il primo. Mettendosi a capo di una coalizione internazionale,  gli Stati Uniti si erano resi responsabili di aver provocato una contrapposizione di popoli all’interno del mondo arabo, fra yemeniti, giordani e palestinesi e gli altri paesi arabi del Fronte, schierati con gli Stati Uniti. Secondo e ancora più sensibile motivo. Gli Stati Uniti che già avevano convinto contro il parere di molti principi sauditi il re Fahd ad accettare l’arrivo nel paese di 540.000 G-I americani per la guerra a Saddam,  avevano poi mantenuto in Arabia Saudita , commettendo un drammatico errore culturale,  dopo la fine delle operazioni militari un corpo di spedizione di 15.000 uomini, poi ridotto ma mai ritirato, che configurava per i musulmani del mondo intero un duplice sacrilegio: si trattava della violazione dello spazio interdetto dei Luoghi Santi meccani e medinesi (haràm) da parte di non musulmani, per di più armati.  Le moschee e gli ambienti religiosi sauditi avevano schiumato contro gli Americani e i loro  alleati e di questo odio doveva farsi interprete Osama Bin Laden organizzando una lotta armata mondiale contro l’Occidente  a partire dai suoi santuari afghani. Del resto, nel 2000, la passeggiata provocatoria  del primo ministro israeliano Ariel Sharon sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme, terzo Haràm  dell’Islam, avrebbe provocato la stessa indignata reazione. Diversi sono invece le origini e gli obiettivi della Organizzazione dello Stato islamico che comincia a formarsi nel nord dell’Iraq dal 2006 intorno alla figura di Abi Mussa al Zarqawi. Dopo la  sconfitta di Saddam, gli ambienti neo-conservatori americani- tuttora all’avanguardia nella definizione della politica estera americana che è ormai passata, secondo la dottrina espressa nel 1992 da Paul Wolfowitz,  come dimostra del resto la posizione americana assunta all’ONU di fronte ai crimini di guerra sulla popolazione palestinese che sta commettendo lo stato di Israele in risposta ai crimini di Hamas del 7 ottobre 2023,  dal sostegno storico della dottrina dell’”ordine internazionale basato sul diritto” (OIBD) al nuovo approccio dell’ “ordine internazionale basato sulle regole”, più riflessibili (OIBR) –  avevano immaginato la rapida trasformazione del paese in democrazia da ottenersi attraverso la “desaddamizzazione del paese” . Cioè un vasto programma di epurazione condotto dal governatore Paul Bremer dei quadri sconfitti della amministrazione del paese, come premessa per la sua democratizzazione . Si provocava così nelle prigioni irachene fra i laici ufficiali e poliziotti baathisti dell’esercito sconfitto e gli islamisti jihadisti da loro sempre combattuti sino allo scoppio delle guerra  una fusione a freddo nel comune perseguimento della lotta verso l’esercito degli invasori. Nasceva così in Iraq in un paese ribaltato dalla invasione americana verso  una presa del potere della maggioranza sciita filo-iraniana, l’dea negli ambienti minoritari sunniti ormai sconfitti della esigenza della affermazione di una Organizzazione dello Stato islamico chiamata in inglese ISIS – Islamic State in Iraq and Syria– , ma anche DAESH secondo l’acronimo arabo (Dawlat Islamiyya Fi Iraq Wa Sham). Se al-Qaida aveva l’obiettivo di una lotta globale contro gli interessi occidentali, DAESH, frutto ideologico del terreno di coltura del salafismo wahhabita predicato in Arabia saudita, voleva essere invece una al-Qaida “al turbo”, dirigendo la lotta dei sunniti anche verso la minoranza sciita  per la creazione immediata di un Califfato territoriale, in origine sostenuto dalle tribù irachene sunnite alienate dalla sconfitta,  riedizione del Califfato arabo storico nelle zone del nord dell’Iraq e dell’est della Siria progressivamente liberate. Califfato poi in effetti effettivamente proclamato, con la connessione dell’asse religioso con l’asse politico, nella grande moschea di  Mossul nel luglio del 2014 da Abu Bakr al Baghdadi, e progressivamente esteso alla Siria il cui governo aveva sguarnito a causa dell’insorgenza il fronte est per difendere principalmente la Ghouta alawita. Con un allargamento territoriale del Califfato che inevitabilmente seguiva la via dell’acqua, i grandi fiumi del Tigri e dell’Eufrate. Ma nel 2015 l’entrata in campo della Russia a sostegno dell’alleato siriano e l’ingigantirsi del pericolo jihadista anche a spese dell’iniziale sostenitore (Arabia Saudita), dovevano provocare il rafforzamento delle truppe lealiste e dei raggruppamenti curdi sostenuti da USA e Russia. Ne è conseguita la progressiva contrazione delle zone controllate dall’ISIS sino alla recente conquista di Ar-Raqqah e Deir-ez-Zor, capisaldi del c.d. Stato islamico, e la definitiva rotta delle milizie jihadiste dopo la conquista di Baghouz da parte della coalizione, il che comporta oggi per i paesi occidentali il casse-tête di quale comportamento assumere nei confronti delle famiglie dei combattenti ISIS che chiedono ai consolati il ritorno nei paesi di origine. Situazione sul terreno  favorevole, ma che potrà preludere ad attacchi replicati dei foreign fighters nei paesi occidentali, come avvenuto attraverso attacchi di prossimità  di recente in Europa e in USA, perché se il califfato è stato sconfitto in Siria/Iraq la ideologia salafita jihadista continua a sussistere.

A seguito degli accordi di Astana dal dicembre 2016 fra Russia, Iran e Turchia  e della conseguente riduzione del livello delle violenze nella parte ovest del paese, il regime siriano dopo avere ripreso il controllo della “Siria utile”, la colonna vertebrale del paese fra Aleppo e Damasco, ha potuto dirigere la sua offensiva verso l’est del paese, riuscendo nella proclamazione di un” cessate il fuoco” in quattro dei cinque enclave tenuti dalla ribellione: Deraa, la periferia di Damasco (Ghouta),a maggiore densità alawita,  il nord di Homs e la provincia di Idlib. I ribelli superstiti hanno ripiegato sul governatorato di Idlib, ove dominano i jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham, emanazione di Jabhat al-Nosra che pretende aver rotto con al-Qaida, i quali hanno nell’estate 2017 prevalso sui rivali salafiti di Ahrar al-Sham sostenuti dalla Turchia. Resta un quinto enclave ribelle sotto il controllo di Ankara nel nord-ovest del paese ( Jarablus, Azaz, al-Bab) che Damasco ha rinunziato di attaccare. Il Nord-est del paese resta peraltro sotto il controllo delle FDS, una coalizione condotta dagli autonomisti Kurdi del PYD (Partito della Unione democratica) che hanno conquistato Rakka ai jihadisti nell’ottobre 2017 ma che restano nel mirino del regime turco di Recep Tayyip Erdoǧan che intende evitare un controllo della regione del  Rojava, confinante con la Turchia,  da parte della minoranza curda del paese. In questo senso va letta la avanzata dell’esercito turco in Siria a Afrin e il ritiro delle truppe curde da Manbij. Anche se dopo la riconquista  del fondamentale caposaldo di Dayr az-Zwar a est del paese e dell’enclave di Idlib (Baghouz) la ripresa di controllo del governo di Damasco sul paese sembra riuscita, il regime siriano deve di fatto ancora contrastare le ambizioni israelo-americane di controllare la parte sud del paese in prossimità dei confini di Israele e le ambizioni turche sul controllo della Rojava, la regione del nord-est, in funzione anti-curda.

Nel frattempo la guerra nel paese ha prodotto più di tredici milioni di déplacés di cui 6,9 milioni di sfollati interni e 6,6 milioni di profughi di cui un milione ca. ha chiesto asilo in Europa secondo i dati UNHCR di fine 2022  (Germania e Svezia soprattutto) e altri 5 milioni si sono rifugiati nei paesi confinanti, tra cui Turchia (2,91 milioni), Libano (1 milione) Giordania ( 657.000) Iraq (233.224) e Egitto ( 117.591).

Foto: Reuters by www.abc.net.au

Una situazione destinata a durare in una sorta di congelamento indefinito della situazione sul terreno, con il fattore nuovo della riammissione del regime di Damasco nel consesso arabo, con la partecipazione per la prima volta dal 2011 il 19 maggio 2023 a Gedda del suo presidente agli incontri della Lega Araba. Finita l’attenzione sui massacri siriani, sono altri massacri e altri crimini di guerra, altri stermini di intere popolazioni  in Medio Oriente ad interessare oggi la comunità internazionale e ad essere suscettibili, secondo l’ex procuratore Luis Moreno-Ocampo di essere invocati in futuro di fronte alla Corte Penale internazionale dell’Aja, dopo migliaia di morti e di ostaggi in Israele  ma anche  decine di migliaia di morti palestinesi nella striscia di Gaza e nei Territori Occupati di Cisgiordania.

Carlo degli Abbati

Encadrè La Repubblica Araba Siriana con 21,32 milioni di ab. su una superficie di 185.180 km2 ha una densità abitativa di 115 ab./km2. Ha conosciuto come il Libano dal 2011 ha causa dello scoppio della guerra civile una regressione progressiva dell’indice di sviluppo umano -HDI- passato dall’0,691 del 2011 allo 0,577 del 2021. Nelle classifiche del PNUD il paese è oggi collocato al 150° posto sui 191 paesi censiti, fra i paesi a Medio Sviluppo Umano -MHD-. Presenta un PIL di 15,572 Miliardi di USD (2020) e un PIL pro-capite annuo di 4.192 USD (in PPA 2017) nel 2021 che è stato  in effettivo di appena 890 USD nel 2020. Dal 2003 (0,375) non è piu’ calcolato l’indice di Gini in vigore nel paese. Per fare un confronto nel 2011 il PIL pro-capite era invece di 13.286 USD (in PPA 2017). Un modesto rimbalzo degli indici ha cominciato dal 2015 come effetto indiretto dell’intervento russo. Nelle attività economiche l’agricoltura costituisce il 21% del PIL, il settore secondario il 30%, il settore terziario il 49%. In termini di forza lavoro, l’attività principale è costituito dal settore terziario con il 62% degli attivi, mentre un altro 28% è attivo nel settore secondario, mentre il settore primario dà lavoro al 10% della popolazione attiva.

Il paese oltre ad una buona produzione cerealicola e fruttifera, cui si aggiunge la produzione di cotone (al-Ghab) e una economia forestale estesa al 2,8 % della superficie totale (Latakia, Homs, Hama e Damasco) presenta dei giacimenti di petrolio nel settore nordorientale del paese (Qaratshuk, As-Suwayda, Hamseh, Kherbet e Yosefieh) collegati da oleodotti alla raffineria di Homs e al porto di Tartûs, dove esiste una base militare concessa alla Federazione Russa. Il turismo, fonte tradizionale di importanti entrate data la ricchezza storica del paese è praticamente scomparso, registrando nel 2020 meno di mezzo milione di ingressi.

La aspettativa di vita alla nascita è scesa in media dai 73,3  anni del 2011 ai 72,1 del 2021, 69,1 anni per gli uomini e 75,2 per le donne. La fecondità è di 2,7 (2020) e la mortalità infantile è del 18,4 per mille (2020). La scolarità attesa è in media di 9,2 anni nel 2021 D 9,07 U 9,24, ma era di 12,1 anni nel 2011. La scolarità effettiva è anch’essa scesa dai 6,3 anni del 2011 ai 5,1 del 2021 D 4,6 U 5,6. Nella difficile congiuntura conosciuta dal paese il debito estero del paese è salito nel 2020 a 4,763 Miliardi USD. La crisi causata dal conflitto è inasprita dalle sanzioni economiche occidentali, dalla siccità perdurante e dalla situazione internazionale in particolare la pandemia, le difficoltà finanziarie del Libano, la guerra in Ucraina. Dopo la svalutazione della lira siriana il paese (oggi un Euro vale 14.009 lire siriane) ha conosciuto una alta inflazione interna, mentre la disoccupazione riguarda il 10,6% della popolazione con una componente femminile del 40,5%.

Sulle componenti attuali del bilancio non si hanno informazioni probanti. La spesa pubblica per l’istruzione era del 5,1% del PIL nel 2009, mentre il paese contava nel 2015 il 13,7% di analfabeti.

I posti di letto ospedalieri erano di 1,3 e i medici 1,2 per 1000 ab. nel 2017. La spesa pubblica per la sanità era nel 2014 del 1,5% del PIL.

Altri indicatori sociali riguardano l’accesso all’ acqua potabile del 93,9% della pop. (2020); il consumo di energia elettrica: 794 kWh/ab. (2019), la disponibilità di calorie ab./g.: 2.959 ( 2017-2019); l’emissione di CO2 /ab.: 1,744 t. (2021); disponibilità di tel. 163,3 pe 1000 ab. e di cell. 952 per 1000 ab. (2020).

Le statistiche di genere sono invece regolarmente fornite al PNUD. Il GDI (Gender Development Index) e il GII (Gender Inequality Index) sono stati rispettivamente nel 2021 di 0,825 e di 0,477.

Bibliografia consigliata

– Yassin Al-Haj Salah, Siria, La rivoluzione impossibile, MREditori, Caserta, 2021

– Sabatino Moscati, Le antiche civiltà semitiche, Feltrinelli, Milano,1971

-Sabatino Moscati, Civiltà del mare. I fondamenti della storia mediterranea, Liguori, Napoli, 2001

-Davide Nadali-Frans Pinnock (ed.), Archeologia della Siria antica, Carocci, Roma, 2021

Olivier Carré-Gérard Michaud, Les Frères musulmans. Egypte et Syrie (1928-1982), Gallimard, Parigi, 1983

-Olivier Roy, En quête de l’Orient perdu, Seuil. Parigi, 2017

Carlo degli Abbati

*Carlo degli Abbati insegna Diritto dell’Unione Europea al Dip. di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova. Già docente di Economia dello Sviluppo presso lo stesso Ateneo e di Storia dei Paesi musulmani al Dip. di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento è stato funzionario responsabile del controllo della cooperazione europea allo sviluppo presso la Corte dei Conti Europea a Lussemburgo.

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