È cominciata la seconda settimana della kermesse cinematografica de Festival del Film italiano di Villerupt . Altri 3 film visti per voi

Far passare un messaggio molto inflazionato e molto retorico, quello sulla questione dei migranti che naufragano in mare e della necessità di salvarli al di là di regole e liti internazionali, non è proprio cosa facile.

Ci prova il regista Edoardo De Angelis con il suo film Comandante che narra la storia (fatto realmente accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale) di un sottomarino italiano, della sua truppa e di una scelta difficile che il loro comandante, Salvatore Todaro, appunto, dovrà prendere scegliendo fra ordini militari e coscienza interiore. La sua scelta sarà quella di salvare una flotta belga che in principio li aveva attaccati e che altrimenti annegherebbe. Un film che parla non tanto di guerra, ma di soldati (giovani, temerari e ingenui al tempo stresso), con una cinepresa che li coglie più nell’animo che nelle azioni. Un Pierfrancesco Favino sempre bravissimo (anche se ultimamente lo si vede un po’ troppo sul grande schermo…), qualche passaggio nei dialoghi che può convincere, alcune riprese ad effetto, ricostruzioni di scene e costumi impeccabili. Su tutto a primeggiare resta, ovvio, il messaggio del film, che il regista fa passare attraverso le parole del protagonista, ovvero: «  combatto il nemico, ma salvo l’uomo ».

Tutt’altro registro per il film Amusia, opera prima del regista Marescotti Rispoli. È la storia di una giovane donna (Carlotta Gamba) affetta da una rara malattia che le impedisce di ascoltare la musica e di un giovane amore che si scontra con questo dramma.

 Al microfono di PassaParola Magazine  il regista ha spiegato che ha avuto l’idea del film ispirandosi a un libro di Oliver Sacks, illustre neurologo inglese, dal titolo Musicofilia e che ha scelto una donna quale protagonista affetta da tale disturbo poiché da sempre lui stesso si era posto la domanda: “io cosa farei se dovessi scegliere fra l’amore e la musica (altro mio grande amore)?”. Ruspoli ammette che prima di questo film avrebbe scelto la musica, adesso no, sceglierebbe assolutamente l’amore!

Un film davvero eccezionale è Orlando di Daniele Vicari: la storia di un anziano padre, contadino vissuto sempre nella campagna laziale, costretto a partire improvvisamente per Bruxelles e a confrontarsi con una realtà totalmente nuova lontano dai confini italiani, cercando di costruire il rapporto con la nipotina (mai conosciuta prima) e di elaborare la perdita del figlio con il quale non aveva rapporti da tanti anni.

Alla proiezione è seguito un dibattito molto interessante con il regista, che ha parlato della sua scelta di mettere in risalto il ruolo della donna attraverso la giovane protagonista (la bravissima Angelica Kazankova, nata e cresciuta in una famiglia di artisti). Vicari ha spiegato anche quanto abbia voluto sottolineare il ruolo “assente” del padre della bimba (Valerio), figlio dell’anziano Orlando (interpretato da un bravissimo Michele Placido). I due sono legati da una persona che non esiste più e che li unisce nelle loro profonde solitudini. Valerio nel film non si vede mai da vivo, proprio come esempio di una generazione (ha sottolineato in sala il regista), quella di chi oggi ha circa 55 anni, nata e cresciuta fra due epoche: quella di nonni che hanno fatto la guerra e di padri che hanno ricostruito l’Italia; « una generazione – ammette Vicari –  che ha semplicemente vissuto e basta, senza creare nulla, mentre quella dei loro figli potrà invece rimediare a tutto ciò ». Il film affronta anche il tema dell’emigrazione italiana di oggi, della quale non si parla mai (né a livello istituzionale né di stampa), un fenomeno che riguarda ben 5000 persone che ogni anno lasciano il nostro Paese per vivere e lavorare all’estero. E proprio rispondendo alla domanda di PassaParola Magazine (se per il film si fosse ispirato un po’ alla celebre pellicola di Pane e cioccolata di Franco Brusati – 1973) Vicari ci ha raccontato che per fare questo film si è basato piuttosto molto sull’opera di Cesare Zavattini, che ha lavorato a lungo sull’emigrazione italiana, e che la sua pellicola è un omaggio ai suoi genitori e nonni (Orlando è il vero nome di suo padre), tutti emigrati tanto tempo fa. Ha comunque sottolineando quanto il film di 50 anni con la magistrale interpretazione di Nino Manfredi sia davvero bellissimo, ma che un film simile purtroppo oggi non si potrebbe più fare, proprio perché oggi in Italia di questo tipo di emigrazione non si parla mai. Vicari ha concluso spiegando come ha convinto Michele Placido, grande attore di teatro, dove il parlato è fondamentale, a recitare esprimendosi più con le espressioni che con le parole e spiegando che l’attore, all’inizio titubante, ha persino lui stesso, in fase di lavorazione, chiesto di ridurre ancora di più le sue frasi da recitare, prova di una sinergia regista/attore davvero superlativa. Stessa sinergia che è nata a livello umano e non solo attoriale fra Placido e la Kazankova.   

Maria Grazia Galati

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