Ogni settimana una poetessa, un poeta, un profilo, una citazione sul suo intendere il modo di costruire le parole, la sua poesia.
Alda Merini
Alda Giuseppina Angela Merini nasce a Milano il 21 marzo 1931 da Nemo Merini, di nobile famiglia di Brunate, che di mestiere fa l’assicuratore e da Emilia Painelli. Se è una studentessa precocissima a cui del resto il padre fa regalo di un dizionario già a cinque anni ha invece una madre che immaginando per la figlia la perpetuazione del suo ruolo di casalinga cerca di proibirle la lettura dei libri della biblioteca paterna. Quando, alle elementari, la figlia ha una crisi mistica e si mette a portare il cilicio la madre la costringe con la maestra ad uno speciale ritiro scolastico. Alda per reazione si veste di stracci e va a mendicare per le vie di Milano dicendo di essere orfana. La madre la recupera riempendola di botte. Ma anche l’amato padre non contribuisce alla sua stabilità emotiva. Quando quindicenne, pur allieva di un semplice Istituto Professionale femminile, viene notata da una sua insegnante di latino, Silvana Rovelli, che la presenta ad Angelo Romanò il quale, a sua volta, la dirige su Giacinto Spagnoletti che ne apprezza le doti e ne indirizza il talento, Nemo Merini straccia la preziosa recensione che Spagnoletti aveva fatto di una sua poesia dicendole, quasi da antesignano di un Giulio Tremonti : “ Ascoltami, cara, la poesia non dà il pane”.
Ma non tutti apprezzano all’inizio la vena artistica di Alda Merini come fa Spagnoletti. Mario Luzi è più cauto:” La Merini Alda? Misterioso tipo quello…non saprei per ora dire di più”. Solo l’uscita con l’editore Schwartz nel 1953 della Presenza di Orfeo nella collana diretta da Giacinto Spagnoletti metterà tutti d’accordo e Luzi scriverà: “Ho letto il libro mi ha fatto una forte e ansiosa impressione…”. Nel frattempo Alda conosce nel 1947 “le prime ombre della mente” e le viene diagnosticato un disturbo bipolare. Circondata dall’affetto di Spagnoletti, Giorgio Manganelli, Luciano Erba, David Maria Turoldo, verrà seguita dallo psicologo Cesare Musatti. Prima della Presenza di Orfeo, pubblica le liriche Il Gobbo e Luce dedicata a Spagnoletti nell’Antologia della poesia italiana da lui diretta mentre nel 1951 su suggerimento di Maria Luisa Spaziani, da lei conosciuta a Torino, l’editore Giovanni Scheiwiller la pubblicherà nell’antologia Poetesse del Novecento. Lo stesso annodell’uscita di La presenza di Orfeo si sposa in prime nozze con Ettore Carniti, un sindacalista operaio da cui avrà due figlie, Emanuela e Flavia.
Al suo pediatra Pietro de Pascale dedicherà la raccolta Tu sei Pietro nel 1957. Gli anni ’60 saranno segnati dalla recrudescenza della sua malattia e da otto lunghi anni di ricovero in ospedale psichiatrico. Nei brevi ritorni in famiglia nasceranno altre due figlie, Barbara e Simona. Riprende a scrivere nel 1979 ispirata dall’intensità drammatica della sua vicenda umana più recente, producendo quello che la critica Maria Corti ha definito il suo capolavoro, La Terra Santa, che le varrà il Premio Librex-Guggenheim “Eugenio Montale” nel 1993. Un’opera che, concepita prima della improvvisa morte del marito, nel 1983, aveva avuto difficoltà a fare riconoscere e pubblicare sino alla positiva decisione di Vanni Scheiwiller cui dedicherà una commossa poesia. L’anno dopo si trasferirà a Taranto con il secondo marito, Michele Pierri, già primario di cardiologia, che non mancherà di farle avere le cure del reparto di neurologia dell’Ospedale di Taranto che poi continuerà a Milano dopo aver lasciato Taranto qualche anno dopo, affranta dalla affezione terminale del marito.
Da allora riprenderà una straordinaria produzione poetica che le varrà qualche anno dopo il Premio Librex e il plauso della critica che associandola a Luzi, Caproni, Bertolucci, Zanzotto, Fortini la definirà la poetessa simbolo del ‘900 italiano. Continuerà a scrivere sino alla fine, che avviene nel novembre del 2009. Di lei colpisce la vastità e la varietà della sua produzione letteraria che comprende anche una fase aforistica (Aforismi e magie, del 1999), una fase mistica e una vena musicale di composizioni che la manterranno vicina al mondo dello spettacolo con interpretazioni di sue poesie da parte di Milva, recital al Piccolo di Milano, lo spettacolo Ebrietudini con sei cantate composte da Federico Gozzellino su sue poesie, ma anche l’opera sacra “il poema della croce”, rappresentata dapprima nel 2006 nel Duomo di Milano con Giovanni Nuti come voce solista e Alda recitante nel ruolo di Maria, e poi ripetuta in molte altre città italiane.
Ma soprattutto colpisce la tecnica quasi orale della sua poesia che con immediatezza ne traduce la profondità del pensiero. Un linguaggio poetico modernissimo che spiega perché che sia rimasta così amata dal pubblico che non la dimentica. Nel 2010 esce postumo l’album “Una piccola ape furibonda – Giovanni Nuti canta Alda Merini”. Norman Zoia, l’autore di Daiquiri blues, la omaggia nel 2013 in Passi perVersi come “nobile grazia di Venere e coraggio di Madre/ dolcezza dell’umano genere/ di angelo di stile”. Ma soprattutto i suoi lavori continuano ancora oggi ad occhieggiare dagli scaffali di ogni libreria.
Loris Jacin
“La poesia è leggenda, specie in età giovanile quando ogni palpito del cuore ed ogni conoscenza umana diventano filosofia dell’amore. Questo libro (La presenza di Orfeo, ndr) comincia con il primo balzo verso la felicità della menzogna e verso la notorietà, propiziata dal consenso critico di Giacinto Spagnoletti, Arturo Schwartz, Giovanni e Vanni Scheiwiller.
Dalle scuole professionali – con un tema miracolosamente letto dall’insegnante di latino, Silvana Rovelli, nel quale avevo fatto un poco il verso a Carducci – venni iscritta con unanime assenso dei professori agli studi classici superiori e quindi preparata alla maturità. Furono mesi duri, anni roventi, anni in cui -in una Milano distrutta- per resistere bisognava inventare il ritmo, la parola e una nuova scuola di poesia. In mezzo a questi fragori cominciai ad innamorarmi e soprattutto a scrivere. L’amore a quindici anni è circoscritto, fragile ma estremamente attento. Non si tratta di paranoia ma di complicità del discorso; la donna arde della propria seduzione ma contemporaneamente ne ha paura. L’adolescenza, periodo mitico e burrascoso, è sempre alla ricerca disperata di un vertice (di un verso) che la possa oltraggiare e al tempo stesso difendere. Gli anni trascorsi a Torino sotto la guida dello zio tenente colonnello, l’educazione nella scuola torinese, l’amicizia con Maria Luisa Spaziani e gli amori anche discutibili con noti letterati del tempo hanno influenzato la mia produzione letteraria.
Questo libro esce in occasione del Premio Librex-Guggenheim “Eugenio Montale” per la Poesia e vuole essere un omaggio a Carlo Bo, a Paolo Volponi, a Giovanni Raboni e all’editore. Con affetto ai miei lettori.”
(dall’introduzione a La presenza di Orfeo)
“La mia infanzia non ha nulla di caratteristico: una infanzia apparentemente, esteriormente comune, ma, data la mia sensibilità acuta e forse già esasperata, ricca di toni a volte angosciosi, melanconici. Sono sempre stata isolata, chiusa in me stessa, pochissimo compresa anche dai miei e, forse per questo, il mio amore per loro non aveva confini, era assoluto. A scuola, parlo dei corsi elementari, sono sempre stata prima e senza fatica perché lo studio fu sempre una mia parte vitale.
Più tardi durante la guerra, quando per ragioni diverse non ho potuto iscrivermi alle scuole medie e anzi mi è stato giocoforza sospendere qualsiasi genere di studio, oltre a soffrirne terribilmente, ho avuto improvvise le prime manifestazioni di quello scompenso nervoso che doveva sfociare quasi per sete di equilibrio in forme di poesie personalissime, perché so bene che per arrivare alla contemplazione spassionata degli oggetti, è necessario un ordine interiore, una armonia di sentimenti, insomma un equilibrio fisico che a me, sin qui, sono sempre mancati. Del resto se vivessi piu’ quietamente di come vivo la mia poesia sarebbe diversa e quindi è necessario per ora che misuri ogni parola sul metro della mia irrequietezza.
Per caso ho conosciuto S., quando ero impiegata preso un commercialista. Egli mi ha ridato, per primo, la fiducia in me stessa, e mi ha costretta a guarire, a diventare più donna, più persona. Per lui ho conosciuto la gioia di veder pubblicati i miei versi accanto a quelli di insigni poeti moderni, ho potuto entrare nel “mio” mondo e di ciò gli sarò sempre grata…Ora sono solo una moglie e una mamma (ho infatti due bambine) e d’ora in poi, penso che scriverò solo in funzione di loro, perché possano sapere tutto il mio amore o forse non scriverò affatto perché i sentimenti migliori non trovano adeguate parole.”
( da Poesia italiana contemporanea 1909-1959 a cura di G. Spagnoletti)
“Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi: come tutti i vecchi le mie radici stentano a mollare la terra. Ma del resto dico spesso a tutti che quella croce senza giustizia che è stato il mio manicomio non ha fatto che rivelarmi la potenza della vita”
( da La pazza della porta accanto)
IL GOBBO
Dalla solita sponda del mattino
Io mi guadagno palmo a palmo il giorno:
il giorno delle acque così grigie,
dell’espressione assente.
Il giorno io lo guadagno con fatica
Tra le due sponde che non si risolvono,
insoluta io stessa per la vita
…e nessuno m’aiuta.
Ma viene a volte un gobbo sfaccendato,
un simbolo presago d’allegrezza
che ha il dono di una strana profezia.
E perché vada incontro alla promessa
Lui mi traghetta sulle proprie spalle
22 dicembre 1948
LA PRESENZA DI ORFEO
A Giorgio Manganelli
Non ti preparerò col mio mostrarmiti
ad una confidenza limitata,
ma perché nel toccarmi la tua mano
non abbia una memoria di presagi,
giacerò all’informe
fusa io stessa, sciolta dentro il buio,
per quanto possa, elaborata e viva,
ridivenire caos…
Orfeo novello, amico dell’assenza,
modulerai di nuovo dalla cetra
la figura nascente di me stessa.
Sarai alle soglie piano e divinante
di un mistero assoluto di silenzio,
ignorando i miei limiti di un tempo,
godrai il possesso della sola essenza.
Allora, concretandomi in un primo
accenno di presenza,
sarò un ramo fiorito di consenso,
e poi, trovato un punto di contatto,
ammetterò una timida coscienza
di vita d’animale
e mi dirò che non andrò più oltre,
mentre già mi sviluppi,
sapienza ineluttabile e sicura,
in un gioco insperato di armonie,
in una conclusione di fanciulla…
Fanciulla: è questo il termine raggiunto?
E per l’addietro non l’ho maturato
e non l’ho poi distrutto
delusa, offesa in ogni volontà?
Che vuol dire fanciulla
se non superamento di coscienza?
Era questo di me che non volevo:
condurmi, trascurando ogni mia forma,
al vertice mortale della vita…
Ma la presenza d’ogni mia sembianza
quale urgenza incalzante di sviluppo,
quale presto proporsi
e più presto risolversi d’enigmi!
E quando poi, dal mio aderire stesso,
la forma scivolò in un altro tempo
di più rare e più estranee conclusioni,
quando del mio “sentirmi” voluttuoso
rimase un’aderenza di dolore,
allora, allora preferii la morte
che ribadisse in me questo possesso.
Ma ci si può avanzare nella vita
mano che regge e fiaccola portata
e ci si può liberamente dare
alle dimenticanze più serene
quando gli anelli multipli di noi
si sciolgano e riprendano in accordo,
quando la garanzia dell’immanenza
ci fasci di un benessere assoluto.
Così, nelle tue braccia ordinatrici
io mi riverso, minima ed immensa;
dato sereno, dato irrefrenabile,
attività perenne di sviluppo.
25 febbraio 1949