Ogni settimana una poetessa, un poeta, un profilo, una citazione sul suo intendere il modo di costruire le parole, la sua poesia.

Rocco Scotellaro

Rocco Scotellaro

Rocco Scotellaro occupa nella poesia italiana un posto particolare. Nato a Tricarico in provincia di Matera nel 1923 morirà a Portici solo trent’anni dopo. Nato da una umile famiglia fa sua la coscienza della disperante condizione umana della civiltà contadina ancora segnata nel Materano (ma anche in tutta Italia) prima della riforma agraria dai latifondi, dal caporalato, da povertà costante e da carenze sanitarie e alimentari. L’amore della sua terra e della sua gente, una comunità che vive del resto nelle condizioni difficili di una agricoltura marginale di alta collina lo spinge alla scrittura e anche all’impegno politico. Scotellaro vede dopo la guerra nel Partito Socialista Italiano, ideologicamente vicino al PCI il mezzo per il miglioramento delle condizioni del mondo contadino, allora la componente più trascurata della vita politica italiana. Diviene membro del CLN e sindaco di Tricarico a ventitré anni e riesce nel 1947 a promuovere la creazione dell’Ospedale di Tricarico ma è vittima quasi subito, nel 1950, di una cospirazione politica che lo porta ingiustamente in carcere a Matera, accusato di concussione e associazione a delinquere. Totalmente scagionato e riabilitato abbandona comunque l’attività politica dedicandosi maggiormente all’impegno letterario. Riceve la stima di Manlio Rossi Doria e di Carlo Levi che considera il suo mentore. A Venezia conosce Amelia Rosselli, figlia di Carlo Rosselli che dopo la sua morte improvvisa nel 1953 gli dedicherà lo stesso anno una accorata Cantilena (poesie per Rocco Scotellaro).

Il regista Luchino Visconti gli rese omaggio nel film Rocco e i suoi fratelli ricordando il suo nome. Dopo aver pubblicato nella rivista Botteghe Oscure e lasciato anche opere di prosa incompiute (L’uva puttanella, Contadini del Sud) riceve a titolo postumo nel 1954  il Premio Viareggio per la poesia con un volume curato da Carlo Levi e il Premio San Pellegrino.

Di lui scrive Carlo Levi:

“Resta e si accresce una giusta immagine di lui, che non si può chiudere in schemi, né sfuocare in commosse esaltazioni, ma che sempre più chiaramente si mostra in un suo carattere unico e esemplare, una realtà vera che va al di là del suo mondo di allora, dei suoi dolori, delle sue lotte, che non si ferma negli scritti, e che parla sempre più chiaramente, in modo nuovo, non solo della Lucania e del Mezzogiorno, ma della vita dell’uomo e della sua pericolante giovinezza…”.

PASSAGGIO ALLA CITTA’

Ho perduto la schiavitù contadina,

non mi farò più un bicchiere contento,

ho perduto la mia libertà.

Città del lungo esilio

di silenzio in un punto bianco dei boati,

devo contare il mio tempo

con le corse dei tram,

devo disfare i miei bagagli chiusi,

regolare il mio pianto, il mio sorriso.

Addio, come addio? Distese ginestre,

spalle larghe dei boschi

che rompete la faccia azzurra del cielo,

querce e cerri affratellati nel vento,

pecore attorno al pastore che dorme,

terra gialla e rapata

che sei la donna che ha partorito,

e i fratelli miei e le case dove stanno

e i sentieri dove vanno come rondini

e le donne e mamma mia,

addio, come posso dirvi addio?

Ho perduto la mia libertà..

(da E’ fatto giorno)

Ve ne andate anche voi, padri della

terra, e lasciate il filo della porta più

nero del nero fumo. Quale spiraglio

ai figli che avete fatto quando la sera

si ritireranno?

( da Salmo alla casa e agli emigranti)

E sud è mio nonno

Mio padre e mia madre

E sud è il soldato di New York

Che vi gira col casco sulle spalle,

a lui figlio melenso in casa natia,

e sud sono anch’io che canto la litania

(da Appunti per una litania)

SEMPRE NUOVA E’ L’ALBA

Non gridatemi più dentro,

non soffiatemi in cuore

i vostri fiati caldi, contadini.

Beviamoci una tazza colma di vino!

che all’ilare tempo della sera

s’acquieti il nostro vento disperato.

Spuntano ai pali ancora

le teste dei briganti, e la caverna –

l’oasi verde della triste speranza –

lindo conserva un guanciale di pietra…

Ma nei sentieri non si torna indietro.

Altre ali fuggiranno

dalle paglie della cova,

perché lungo il perire dei tempi

l’alba è nuova, nuova

( Lirica interpretata da Gigi Proietti durante la cerimonia di inaugurazione di Matera Capitale europea della Cultura nel 2019)

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