Ci soffermiamo continuamente a livello mediatico sull’arrivo dei flussi di migranti africani sulle nostre coste mediterranee, sulla tragedia dei morti in mare, ormai migliaia solo nel 2023, invece poco o niente sulle ragioni del loro arrivo
Ci soffermiamo continuamente a livello mediatico sull’arrivo dei flussi di migranti africani sulle nostre coste mediterranee, sulla tragedia dei morti in mare, ormai migliaia solo nel 2023, invece poco o niente sulle ragioni del loro arrivo.
Si comincia solo adesso timidamente a pensare a livello politico a degli accordi da concludere (il presente governo Meloni parla di un ancora indefinito Piano Mattei) con i Paesi africani di origine al fine di ridurre i flussi migratori. Proposito lodevole, ma il problema vero è quello dei contenuti e dell’efficacia degli accordi a venire. Come contributo sul da farsi, se non altro a causa della evidente scarsezza dei mezzi finanziari nazionali al riguardo, si deve innanzi tutto fare riferimento a quello che è stato il quadro giuridico degli accordi commerciali che esistevano tradizionalmente fra l’Unione Europea e i Paesi Africani, Caraibici e del Pacifico, paesi detti ACP, dal 1964 (Convenzione di Yaoundé) sino al 1999 (Convenzione di Lomé IV) e che non sono stati più mantenuti dall’accordo attuale vigente firmato a Cotonou (Bénin) a partire dal 2000. Si trattava tradizionalmente di una “asimmetria doganale” concessa a favore degli Stati africani che erano liberi di proteggere le loro produzioni con dei dazi doganali all’importazione dall’Europa, mentre i loro prodotti erano ammessi in totale esenzione daziaria sui mercati europei. Inoltre, con due fondamentali programmi finanziati da Bruxelles, il Sysmin e lo Stabex, si mettevano al riparo le entrate di bilancio dei Paesi africani ridotti quasi sempre dalla dipendenza coloniale a delle monocolture produttive agricole o minerarie (p.e. l’uranio del poverissimo Niger), dalle oscillazioni sui mercati mondiali dei loro prodotti agricoli o minerari da cui ciascuno di essi dipende in maniera quasi esclusiva (cotone, arachidi, uranio) in modo da assicurare loro una stabilità di bilancio e una continuità di risorse a sostegno degli interventi sociali, cioè a mantere aperte scuole, ospedali, centri sanitari, approvvigionamenti alimentari.
Tutte queste regole concepite a vantaggio della economia dei Paesi africani sono diventate incompatibili con le nuove regole del commercio mondiale entrate in vigore dopo il ciclo Uruguay del GATT 1986-1994 che ha instituito la nuova Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) a esclusivo vantaggio delle grandi imprese multinazionali, inizialmente soprattutto americane, che esigevano una deregulation totale dei commerci per poter produrre a economia di scala del pianeta, creando progressivamente le condizioni di un oligopolio o monopolio mondiale.
Da allora subito conformandoci da Bruxelles alla pressione mondialista originata oltreatlantico, dalla Commissione europea abbiamo cominciato la narrazione agli Stati africani, in particolare ai sahelici, posti alla frontiera meridionale del Sahara, su tutti i grandi vantaggi del libero commercio mondiale, mentre le loro tradizionali produzioni, soprattutto cotoniere, venivano messe fuori mercato dalle produzioni cotoniere americane sostenute dalle sovvenzioni federali mentre le compagnie cinesi penetravano prima di altre al seguito nel continente per assicurarsi in concorrenza con i paesi occidentali le loro ricche risorse.
Oggi sono i giovani contadini disoccupati, del Malì, del Burkina Faso, del Ciad, del Niger, dell’Eritrea che fra altri bussano alla nostra porta arrivando con i barconi a Lampedusa o altrove .E noi immaginiamo misure a difesa dei nostri sacri confini e in molti media italiani stigmatizziamo l’arrivo di immigrati che ci sommergono e possono anche portarci rischi enormi, dalla scabbia al terrorismo. Invece, dovremmo innazitutto pretendere da Bruxelles di mettere fine all’appiattimento giuridico europeo, alle esigenze dei poteri forti mondiali che hanno ridotto il mondo a una giungla di diseguaglianze sociali insopportabili che ci rifiutiamo a tutti i costi di vedere. Mentre è ben noto secondo le parole dell’ineffabile “ministro degli esteri” UE Josep Borrell Fontelles che l’Europa resta invece uno “splendido giardino”.
E cominciare a pretendere, magari aprendo la via con coerenza dall’Italia, la reintroduzione dei due programmi comunitari a difesa dei bilanci pubblici africani, lo Stabex e il Sysmin per contribuire alla rimozione della situazione drammatica che fa dire oggi ai giovani nei villaggi sahelici “Ici il n’y a plus rien à foutre, il faut partir” (qui non c’è più niente da fare, bisogna partire). E qui è fondamentale rammentare le parole con cui padre Alex Zanotelli in un recente articolo sul Fatto Quotidiano del 30 luglio 2023, intitolato “Dal Sud Sudan alla Somalia. Troppo silenzio sull’Africa nera”, ha dipinto magistralmente la tragedia africana :
“E’ inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud-Sudan (il più giovane stato dell’Africa) ingarbugliato in una spaventosa guerra civile che ha già causato almeno 300.000 morti e milioni di persone in fuga. E’ inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur. E’ inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni. E’ inaccettabile il silenzio sull’Eritrea retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa. E’ inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua a essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai. E’ inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa nera. E’ inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica della Libia dov’è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi. E’ Inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa, soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi… E’ inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi… Non conoscendo tutto questo il popolo non può capire perché tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita. Questo crea la paranoia dell’”invasione”, furbescamente alimentata anche dai partiti xenofobi. Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti. Ma i disperati della storia nessuno li fermerà…..” (Dal blog Riflessioni di Roberto Macri)
Carlo degli Abbati*
*Professore associato di Politica economica e finanziaria già docente universitario di Economia dello sviluppo e responsabile del controllo della politica di cooperazione allo sviluppo della UE presso la Corte dei Conti Europea