Sguardo su un paese sospeso fra guerra e pace, con una situazione umanitaria tra le più gravi al mondo
Parte dell’Arabia Felix storica, con i regni di Mina, Saba, Qataban e dell’Hadramaut, al centro del commercio carovaniero di incenso, spezie, oro, legnami, schiavi e in seguito del prezioso caffè, poi divenuta Yemen (dall’arabo a destra, rispetto alla posizione della Mecca), diventa sede dell’imamato zaidita, branca dello sciismo, nella sua parte nord, dopo il crollo dell‘ Impero ottomano. L’imamato si converte in repubblica nel 1962 dopo l’invasione da parte dell’Egitto nasseriano come Repubblica islamica dello Yemen del Nord. La parte sud del paese, invece, già protettorato britannico intorno al grande porto di Aden, divenuta indipendente nel 1967 era rimasta sino al 1989 nell’orbita sino-sovietica come Repubblica democratica e popolare dello Yemen del Sud. In seguito nel 1990 le due parti saranno riunificate con la creazione della Repubblica dello Yemen (Al-Jumhûrîyah al-Yamanîyah). Malgrado la sua posizione strategica allo sbocco del Mar Rosso, lo Yemen è rimasto uno dei paesi più poveri del mondo, collocato al 183° posto sui 191 paesi censiti dal PNUD. Nato dalla fusione il 22 maggio 1990 dello Yemen del Nord con lo Yemen del Sud ha visto la sua situazione generale complicarsi proprio per effetto della fusione del paese fra gruppi etnici molto distanti fra loro etno-antropologicamente, cioè i gruppi tribali del nord fedeli alla storia dell’imamato (fedeltà espressa dal porto alla cintura del pugnale ricurvo, la jambiyyah) e la popolazione del sud, in cui l’elemento arabo è influenzato profondamente dalle componenti somalo-eritree provenienti dalla vicina Africa (separata da un braccio di mare di appena 8 km.). La complessa composizione etno-antropologica ha svolto un ruolo nel paese tradizionalmente più importante della distinzione religiosa fra la popolazione sunnita del sud (65%) e la popolazione quasi esclusivamente zaidita del Nord (35%). Dalla riunificazione al 2011 il paese è stato governato ininterrottamente dal presidente Alî `Abdullâh Sâlih, già leader indiscusso della Repubblica islamica del Nord Yemen. Divenuto nel 1990 il paese della penisola arabica più popoloso, con quasi 33 milioni di abitanti, ma anche fra i meno avanzati del mondo, è stato confrontato sin dalla sua unificazione ad una grave instabilità, rischiando più volte la dissoluzione e la guerra civile, come già nel 1994 con un tentativo fallito di secessione del Sud. Nel clima di messa in discussione dei governi arabi iniziato con le cosiddette primavere arabe, nel 2011, il paese ha conosciuto un forte sollevamento popolare contro Salih, al potere complessivamente da 33 anni. Inoltre, con la famiglia di Osama Ben Laden originaria della regione orientale dell’Hadramaut, il paese subisce da anni una contestazione islamista forte e diversificata, espressa dal salafismo sunnita, ma anche in seno alla minoranza sciita zaidita. Così, nel 2004 il governo ha dovuto affrontare una ribellione armata della minoranza zaidita del nord-ovest del paese, dei movimenti ribelli sunniti nel sud-est, nonché l’attivismo di una branca locale di Al-Qaida, la AQPA (Al-Qaida nell’Arabia Saudita).
Nel 2011 nel corso di manifestazioni immense a San’â’, lo sheik Abdul Majid al-Zindani, rispettato capo tribale, ha chiesto l’instaurazione di uno stato islamico in luogo del regime presidenziale di Alî `Abdullâh Sâlih, che ha in seguito lasciato il paese per l’Arabia saudita. Dopo che era stato eletto presidente `Abd Rabbuh Mansur Hâdî nel 2012, ha preso particolarmente corpo nel paese la ribellione a partire dal 2014 degli sciiti zaiditi (chiamati Huthi) del nord-ovest del paese che dopo aver occupato San’a’, la capitale, hanno annunziato il 6 febbraio 2015 di avere preso il controllo delle istituzioni, sciolto il Parlamento e avere instaurato un proprio Comitato Rivoluzionario. Il 25 marzo 2015 Hâdî è fuggito in Arabia Saudita, paese che ha iniziato con l’appoggio dell’alleato statunitense e degli altri paesi del Golfo ostili all’Iran una campagna di bombardamenti aerei contro i ribelli, ma di cui sono soprattutto vittime le popolazioni civili della parte occidentale del paese, oggi minacciate dallo scoppio del colera, vanamente denunziato dall’OMS e dall’UNHCR, a causa della distruzione provocata dai bombardamenti delle infrastrutture civili, acquedotti, ospedali, scuole, strade. In realtà, dopo il passaggio inquietante per i sauditi, a seguito dell’immotivata e falsamente giustificata invasione americana dell’Iraq del 2003, al controllo sciita del loro vicino settentrionale, la presa di potere degli Hûthi nello Yemen è stata letta dal leader saudita Muhammad Bin Salman- (MbS) come una nuova minaccia. Cioè come il tentativo dell’oppositore iraniano di creare in Yemen la base meridionale della c.d. ”mezzaluna sciita” fra la Siria e lo Yemen, passando per il Libano degli Hezbollah e la Palestina di Hamas, in grado di minacciare anche da sud i 1.400 km. di confine con l’Arabia Saudita. In altri termini, l’Arabia saudita ha sviluppato un complesso di accerchiamento, decidendo di reagire in Yemen, nel quadro della guerra permanente con l’Iran per la supremazia regionale, che fa del resto denominare la stessa realtà geografica, il Golfo, Persico o Arabico a seconda dei paesi. In questo confronto si ritrovano schierati col fronte saudita in funzione di opposizione all’Iran sia Israele che gli Stati Uniti, del resto indefettibili alleati sin dal 1945, oltre agli Emirati Arabi Uniti, come fedeli alleati dei Sauditi, secondo la politica espressa dal presidente Mohammed bin Zayed, emiro di Abu Dhabi e leader indiscusso degli Emirati. Entrato ormai nel nono drammatico anno di guerra il paese presenta una serie di fronti che sono complessivamente bloccati. La battaglia principale riguarda il porto di Hodeida per lungo tempo sotto il controllo degli Huthi, mentre gli E.A.U. si sono assicurati il controllo della regione orientale dell’Hadramaut nella loro campagna contro AQPA e dell’isola di Socotra.
Il costo in vittime civili della guerra fa sperare in una composizione del conflitto a causa della pressione internazionale, che potrebbe approfittare del provvisorio indebolimento del principe saudita MbS, principale sponsor della guerra, dopo l’orrendo assassinio a Istanbul del giornalista oppositore Adnan Kashoggi. Peraltro l’ex-presidente Salih, alleato agli Hûthi, che tentava la via di un compromesso con la coalizione a guida saudita è stato ucciso dai miliziani Hûthi come traditore il 4 dicembre 2017, mentre Aden è stata occupata a fine gennaio 2018 dai separatisti del Consiglio di transizione del Sud, sostenuto dagli EAU, membro della coalizione, il che prova la esistenza di un grande frazionamento politico. Attualmente gli Hûthi controllano la parte occidentale del paese, compresa la capitale, mentre le milizie salafite sunnite occupano in parte l’Hadramaut dove peraltro incontrano la opposizione delle truppe degli Emirati che hanno anche militarmente occupato l’isola strategica di Socotra, secondo la loro strategia di controllo del Mar Rosso. Nell’Hadramaut le truppe lealiste controllano invece la zona di Al-Mukallâ così come la restante parte del paese.
In definitiva, per intervento del rappresentante dell’ONU per il paese, è stata ottenuta una tregua di sei mesi delle ostilità fra aprile e ottobre 2022, non rinnovata. Sul piano politico, il presidente esule Rabbo è stato allontanato dalla carica su iniziativa del CCG (Consiglio di Cooperazione del Golfo). e sostituito da un Consiglio presidenziale anti-huthi di otto persone espressione delle differenti fazioni del Nord e del Sud che rispondono agli Emirati e all’Arabia saudita. Infine, è stato concluso a Stoccolma un accordo sul porto di Hodeida che ha portato a una sospensione delle ostilità garantita da una missione dell’ONU, la MINUAHH. Comunque la fragilità del Consiglio è segnata nel Sud del paese dal confronto di gruppi sudisti pro-governativi sostenuti dagli EAU con le milizie islamiste Islah, anch’esse pro-governative, ma che gli Emirati considerano una minaccia. Questa fragilità del campo lealista sembra sul terreno favorire la progressione huthista.
Quindi il paese resta sospeso fra guerra e pace, mentre la situazione umanitaria è una delle più gravi al mondo, anche se i mesi della tregua hanno favorito per un certo tempo le distribuzioni umanitarie. Ma le cifre sono drammatiche: dei quasi 33 milioni di abitanti di un paese che già prima della guerra presentava i peggiori indici economico-sociali fra i paesi del Golfo, più della metà (17 milioni) necessitano dopo otto anni di guerra e di bombardamenti altrettanto criminali di altri, delle popolazioni e delle infrastrutture civili, di una assistenza umanitaria. Le piaghe del paese sono oggi la fame, il Covid e, come citato, il colera, in un paese economicamente distrutto, dove non esiste più un vero sistema sanitario, né educativo, mentre si assiste al reclutamento di bambini-soldato. Questo in un quadro che è oggi senza prospettive reali di conoscere una via di uscita politica, anche se una fragile speranza è stata offerta di recente dal ravvicinamento saudo-iraniano avvenuto a X’ian nel marzo 2023 con la mediazione di Wang Yi, membro dell’Ufficio Politico del CC del Partito Comunista Cinese. Iran e Arabia Saudita hanno promesso di “riprendere le relazioni, di riaprire le loro ambasciate e missioni entro un massimo di due mesi” e lo stanno facendo.
Forse a questo punto meglio sarebbe comunque che l’ONU appoggiasse la divisione del paese, ripristinando la situazione esistente sino al 1990. Quando la separazione politica di etnie inconciliabili permetteva al paese di essere in pace e il problema principale era allora come ridurre nel paese l’estesa coltivazione, soprattutto nelle zone agricole più povere, di un noto stupefacente, il qat, considerato peraltro dalla popolazione come un fattore di socialità… come già in Afghanistan ai vecchi tempi era tradizionalmente l’hashish.
Oggi lo Yemen è diviso di fatto in tre zone di influenza. Il nord-ovest è controllato dagli hûthi. Il sud-est, la regione di Aden, è progressivamente finita sotto il controllo degli Emirati Arabi Uniti che vi continuano la loro strategia di sviluppo portuale nel Mar Rosso con il CTS citato, regione che si vuole affrancare dal governo centrale e ricreare le frontiere della vecchia repubblica socialista. Il resto è teoricamente sotto il controllo del governo centrale che, dopo le dimissioni di Abd Rabbuh Mansur vede come presidente del Consiglio di direzione presidenziale Rashâd al-‘Alimi, sostenuto dai sauditi ed emiratini. Dopo i bombardamenti distruttivi condotti insieme agli Emirati da anni sulle popolazioni civili yemenite, l’Arabia saudita si è data nel frattempo buona coscienza e offre aiuti umanitari alla popolazione attraverso la fondazione King Salman Humanitarian Aid and Relief Centre (KSRelief). Aiuti particolarmente opportuni, non solo perché fra Covid-19, congiuntura meno favorevole, priorità internazionale occidentale data all’Ucraina, nel 2022 l’aiuto internazionale al paese è crollato del 75%. Ma anche perché la popolazione sopravvissuta ai bombardamenti non soffre solo di mancanza d’acqua, di alimenti, di elettricità o di scuole.
Come in Afghanistan la popolazione è particolarmente vittima della disseminazione di mine anti-uomo. A partire dalla regione centrale di Marib centro di rifugiati con due milioni di sfollati, i sauditi hanno lanciato il programma Masam, vasto programma di sminamento. Ma gli yemeniti hanno anche un grande bisogno di protesi. Secondo l’organizzazione londinese Conflict Armament Research le mine anti-uomo sono prodotte in Yemen ad una scala “raggiunta solo storicamente dalle forze dello Stato islamico in Iraq e Siria”. Ora, chi sale su di una mina e non cerca di bilanciarsi al momento dello scoppio perde una gamba, ma se cerca di mantenere l’equilibrio al momento dello scoppio perde una gamba e il braccio opposto. Ecco perché in queste regioni Handicap international, Emergency, la Croce Rossa Internazionale svolgono una missione preziosa. E il minimo che possiamo fare noi da casa è sostenerli. Perché quando si decidono le guerre nel mondo tocca sempre poi a qualcun altro di curarne gli effetti, come scriveva Gino Strada, “una persona alla volta”.
Carlo degli Abbati
Aggiornato al 1.7.2023
(Foto cover: STRINGER / AFP/Le Monde)
Encadré Lo Yemen con i suoi quasi 33 milioni di abitanti è classificato nelle statistiche del PNUD al 183° posto sui 191 paesi censiti. Il suo indice di sviluppo umano, oggi di 0,455, è in discesa costante rispetto al valore segnata nel 2010, prima della guerra, 0,498. Allo stesso modo la aspettativa media di vita è scesa dai 67,2 anni del 2010 ai 63,7 attuali, con una mortalità infantile ascesa al 45,7 per mille nel 2020.Con un PIL di 220 Miliardi di USD dovuto ai giacimenti di petrolio di Ma’rib e un PIL pro-capite annuo effettivo di 712 USD annui (1314 USD PPA), presenta una popolazione costituita al 30% di agricoltori con un settore secondario che impiega un altro 10% della popolazione. La scolarità nel paese è scesa a soli 3,2 anni effettivi. Nella storia, gli agricoltori yemeniti, maestri nell’utilizzo delle tecniche di irrigazione sotterranea, arrivando in Sicilia dalla Tunisia al seguito degli Aghlabidi nel IX secolo hanno contribuito alla creazione degli splendidi giardini della città di Palermo.
Bibliografia consigliata:
- Thomas Juneau, Le Yemen en guerre, Presse de l’Université de Montréal, Montréal, 2021
- José-Marie Bell, Architecture et peuple du Yemen, Conseil International de la Langue française, 1988
- Laura Silvia Battaglia-Paola Cannatella, La sposa yemenita, Becco Giallo, Padova, 2017 (disp. anche in versione fr.)
*Carlo degli Abbati*Carlo degli Abbati insegna Diritto dell’Unione Europea al Dip. di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova. Già docente di Economia dello Sviluppo presso lo stesso Ateneo e di Storia dei Paesi musulmani presso il Dip. di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento, è stato funzionario responsabile del controllo della cooperazione europea allo sviluppo presso la Corte dei Conti Europea a Lussemburgo