La Slow Wine Fair, tenutasi Bologna dal 26 al 28 febbraio, ha confermato e ampliato il successo della prima edizione del 2022, raddoppiando sia lo spazio espositivo che gli ingressi. Tuttavia, una manifestazione come la fiera dedicata al vino buono, pulito e giusto non può essere compresa da lista di numeri, di espositori, etichette, visitatori e buyers).  Vorremmo perciò restituirvi parte di quell’atmosfera che abbiamo respirato, fatta di confronto, di condivisione di una filosofia produttiva vocata alla qualità e alla fierezza di appartenere ad un progetto di cura e rigenerazione della terra. Vi invitiamo ad ascoltare le voci dei protagonisti, raccolte dialogando con le sei cantine invitate alla masterclass dedicata ai distretti biologici*, organizzata in collaborazione con FEDERBIO e con il Prof. Giancarlo Moschetti, ordinario di Microbiologia enologica, all’Università degli Studi di Palermo, a sua volta produttore vitivinicolo e consulente per diverse aziende.

Biologico e biodinamico: i perché di questa scelta

Cominciamo dal nord-est, zona del Collio, là dove l’Italia si fonde alla Slovenia. Kristian Keber, dell’iconica Cantina Edi Keber, nominato tra i migliori 40 protagonisti del vino under 40, ha scelto il biodinamico già da quando era studente.  Nel suo distretto, l’80% dei produttori oggi sono approdati al biologico. “Il Bio è contagioso e dal mondo del vino si propaga agli altri settori; anche se all’inizio alcuni sono attratti dai vantaggi commerciali, poi c’è un risveglio”. Ed è un risveglio che riguarda anche i consumatori: “la bevibilità dei vini biologici è maggiore e quando senti che ti fa stare meglio, non puoi più tornare indietro” (Cantina Edi Keber ).

Spostandoci verso ovest, arriviamo in Valpolicella Classica, zona celebre per la produzione dell’Amarone. Alla Cantina Valentina Cubi la svolta avviene 24 anni fa quando la titolare, maestra elementare, al momento del pensionamento, decide di testare la produzione in biologico su 3 dei 7 ettari aziendali. “Dopo 4 anni la pianta ci ha dato un’uva dal gusto più deciso, gusto che ritrovavamo anche nel vino.  Abbiamo visto anche che pian piano rientravano gli insetti nei nostri terreni, si ricreava di nuovo la vita e questo è stato il segnale che sì, questa è la strada giusta! Abbiamo così riconvertito l’intera azienda.” (Cantina Valentina Cubi).

Scendiamo in Toscana e troviamo due cantine dove la pratica biologica è consolidata da decenni. La prima, Le Cinciole, racconta la diffidenza degli altri produttori: “25 anni fa eravamo gli unici nella zona e quasi ci deridevano appellandoci come ‘quelli del maglione all’uncinetto’, cioè, quelli ‘naïve’. All’inizio, stavamo quasi attenti a non dirlo e tantomeno a metterlo in etichetta perché c’era un po’il pregiudizio che il vino Bio avesse dei difetti organolettici. Dopo qualche anno però abbiamo voluto indicarlo sulla bottiglia perché eravamo convinti della nostra scelta” (Cantina Le Cinciole). Oggi nel Biodistretto del Chianti Classico, molti produttori si sono uniti a loro, tant’è che il 50 % del territorio vitato è Bio. La seconda cantina toscana è a San Gimignano. Qui Elisabetta Fagiuoli coltiva la terra da 50 anni e la scelta Bio si sposa ad una filosofia di vita: “siamo parte di un ciclo vitale che include e connette tutto ciò che esiste in natura: rocce, terra, alberi, animali, l’uomo. Siamo un tutt’uno. Per questo dobbiamo mantenere la terra incontaminata, è lì che riceviamo la vera energia; se appoggiamo i nostri piedi sulla terra, ritroviamo noi stessi e il nostro futuro”. E aggiunge: “Se lavoriamo nel rispetto della terra, berremo un vino vivo, altrimenti avremo un vino morto. Tu daresti del veleno a tuo figlio?”(Cantina Montenidoli).

Centro Italia, siamo nelle Marche. La Cantina Pantaleone è gestita da due sorelle. “Nostro padre lavorava in fabbrica e ha comprato un pezzo di terra con molti sacrifici. Quando è andato in pensione abbiamo cominciato a produrre anche vino. Lui andava ad aiutare altri produttori e vedeva quei vini fatti da vigneti pieni di diserbanti; era proprio questa alterazione dell’ambiente che voleva evitare, ragione per cui abbiamo scelto il biologico fin da subito” (Cantina Pantaleone). Infine, arriviamo a Sud. Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Qui si parte avvantaggiati, perché molte zone non sono sfruttate dall’uomo e la scelta Bio parrebbe conseguente. Eppure, spiega Mario Notaroberto, cantina Albamarina: “Ho cominciato a produrre 10 anni fa, rientrato dall’estero, non ero del mestiere…ho chiesto e i tecnici mi hanno sconsigliato. Ma oggi, che le mie radici sono affondate nuovamente nella mia terra e forte dell’esperienza in biologico per olio e ortaggi, ho visto che si può fare. Siamo in conversione e l’anno prossimo i vini saranno certificati biologici” (Cantina Albamarina).

#SLOWWINEFAIR2023

Non un semplice bollino

Storie di viticoltori che, con percorsi diversi, convergono nella comune scelta di abbracciare una produzione rispettosa di sé stessi e della propria salute, della Terra di cui sono custodi. Tuttavia c’è un aspetto centrale da sottolineare, quando si tratta di produttori della Slow Wine Coalition ed è il fatto che la gestione dell’intero ciclo produttivo va ben oltre il semplice astenersi dall’uso di alcune sostanze chimiche, requisito minimo per ottenere la certificazione. Lo dice chiaro il Prof. Moschetti: “Slow Wine va molto al di là dell’agricoltura biologica. Per questo io sto qua, perché nel Manifesto di Slow Wine, io ritrovo tutti i punti di quello che faccio. Si, nella coltura bio ci sono delle cose fondamentali da fare: l’uso di sostanze organiche come fertilizzante, mai uso di pesticidi, erbicidi, ecc.  Ok, ma non basta: devi rendere la tua vigna agrosistema di biodiversità!”. La Biodiversità è imprescindibile in vigna, come in cantina. Per esempio, spiega Moschetti, gli uccelli e le vespe sono portatori di lieviti e permettono così alla cantina di rinnovare il proprio corredo, che altrimenti potrebbe deteriorarsi in quanto “i lieviti hanno la brutta abitudine ad accoppiarsi tra consanguinei ed è chiaro che un certo momento possono uscire i geni deleteri”. E allora devi fare entrare gli animali in vigna: “disporre pietraie per far nidificare i serpenti, rovi per far nidificare gli uccelli. Non hai alberi? Metti pali per far nidificare le cinciarelle e le cinciallegre!” La stessa attenzione va posta alla mesofauna del suolo (gli organismi animali presenti nel terreno).

Ed è proprio questo l’approccio dei viticultori che abbiamo incontrato. Terminiamo allora questa lettura con un collage di loro racconti, che ci accompagnano nelle loro pratiche in vigna e in cantina: “Quest’anno abbiamo piantato bosco. Abbiamo comprato 17 ettari per aumentare la biodiversità. La monocoltura non è più sostenibile; noi abbiamo sposato in pieno il concetto della diversificazione: abbiamo i vigneti, ma anche gli uliveti, seminativo e animali” (Cantina Pantaleone). “Il progetto prevede l’acquisizione di una trentina di ettari attigui alle vigne, con boschi e macchia mediterranea, una parte di questi ospiteranno alveari, creeremo anche dei laghetti per favorire la proliferazione dei microrganismi utili al terreno. Porteremo le pecore e le galline in vigna”(Cantina Albamarina).

“Col cambiamento climatico abbiamo osservato che i nostri vigneti sono molto più regolari, costanti nell’evoluzione del processo vegetativo, la fioritura è omogenea, con meno problemi fitosanitari rispetto ai produttori non Bio(Cantina Valentina Cubi).“Non lavoriamo eccessivamente i terreni, lasciamo le erbe spontanee, in parte, e seminiamo tra i filari. Per es. abbiamo piantato orzo: le radici di queste spighe hanno nel terreno la stessa lunghezza dello stelo che vediamo fuori; quindi compattano il terreno, danno un nutrimento naturale ai microrganismi presenti e fanno anche una sorta di micro ossigenazione del suolo”(Cantina Le Cinciole).

“Stiamo piantando nuove vigne, dove ci saranno 20 varietà diverse. Il contadino conosce la terra e sa in ogni punto qual è la varietà più indicata. Per questo penso che il biodinamico è una roba da piccoli produttori, perché devi conoscere il tuo territorio dalla A alla Z. Lo stesso vale in cantina. Nel mondo del vino convenzionale, si è cercato di togliere i difetti e le malattie aggiungendo dei preparati per fare un ‘vino giusto’, una ricetta con parametri fissi dai quali non ti sposti. Così però si è svuotato il vino dalle sostanze che lo rendono vivo. Sono anche enologo e posso dire che ad aggiungere ci vuole niente, invece, avere il coraggio di lasciar fare alla natura vuol dire impegnarsi ancora di più perché devi conoscere i procedimenti e tutto ciò che è avvenuto in vigna”(Cantina Eli Keber). “I veri grandi vini sono quelli biologici, risultato di un uomo che asseconda la terra, rispetta i miracoli della natura. È facile riconoscere un vino vivo”(Cantina Montenidoli).

Giovanna Agnello

*I distretti biologici sono zone che hanno scelto di certificare il proprio territorio con l’obiettivo di migliorare radicalmente la vita dei propri cittadini e di affrontare la sostenibilità ambientale non solo dal punto di vista strettamente agronomico.

Per approfondire:

Slow Wine Guida 2023, Slow Food Editore

https://www.slowfoodeditore.it/it/guide-slow/slow-wine-2023-9788884997630-1018.html

Leggi anche:

Ecco il Manifesto Slow Food del vino buono, pulito e giusto! – Slowine

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