Dopo la Svezia nelle ultime elezioni politiche passa a destra anche l’Italia, fra i preoccupati commenti della stampa internazionale: un rigurgito di fascismo tardivo che tocca anche la Penisola? Vale la pena di analizzare
Gli opinionisti (come Antonio Noto di Opinio Rai) ci spiegano la composizione di quel 26% di italiani votanti – uno su quattro… – che ha scelto di votare per un partito nel cui simbolo figura la fiamma che idealmente brucia eterna sul sacello del Duce del fascismo, Benito Mussolini, retaggio di un passato che si riteneva ormai superato nell’Italia democratica ed europea. Gli opinionisti ci spiegano che il partito Fratelli d’Italia (FdI) di Giorgia Meloni nonostante queste indubbie connotazioni è da tempo diventato invece un partito trasversale e non ha più un elettorato di sola destra. Solo il 7% sul 26% totale, cioè meno del 30% dei votanti FdI, si dichiarerebbero di destra mentre il restante 73 % , il 19%, esprimerebbe un voto non ideologizzato, cioè non di destra né di sinistra. In questo FdI si configurerebbe appunto come un partito trasversale non più configurabile come un partito di destra. Ammettendo la fondatezza di questa analisi, allora il voto italiano al partito di Meloni va letto congiuntamente con un altro fenomeno evidente delle ultime elezioni politiche italiane: la astensione dal voto. Un’ astensione che raggiungendo il 36 % degli aventi diritto costituisce il peggior risultato del dopoguerra in un Paese che in ragione peraltro anche dell’obbligarietà per lungo tempo imposta del voto si era abituata dal 1945 ad alte percentuali di votanti. Quindi, oltre al premio alla destra anche l’esplosione in Italia dell’ astensione alle elezioni politiche deve far parte dell’esame. Questo dato aiuta molto a decifrare l’esatta realtà: il voto italiano a Giorgia Meloni e al suo partito FdI è stato innanzitutto un voto di protesta.
In un Paese che non cresce da decenni – se non la crescita post-pandemica di puro recupero parziale della situazione precedente – che ha un’alta disoccupazione ed un basso livello salariale, che ha rinunziato dal 2011, troppo spesso, ad un vero funzionamento parlamentare affidando a dei tecnici esterni la conduzione dell’azione politica (da Mario Monti a Mario Draghi); che costituisce ormai lo Stato membro della UE a maggior diseguaglianza distributiva interna come provato dagli impietosi parametri macroeconomici di Corrado Gini; una parte molto vasta di cittadini (la parte più umile e povera educativamente, la più disadatta a cavalcare la crescente globalizzazione tecnologica, ma anche degli educati che non vedono un futuro davanti a loro) non si sente da tempo più politicamente rappresentata. E rinunzia a votare per partiti che qualunque sia la loro etichetta di partenza esprimono una politica lontana dai loro diretti interessi. Nelle ultime fasi, un areopago di partiti stretti intorno al banchiere Mario Draghi chiamato per il suo prestigio internazionale a dirigere una coalizione che andava si può dire dalla destra regionalistica della LEGA alla destra economica di FI – ma di fatto anche del PD – sino al Movimento 5 Stelle, senza sviluppare una chiara politica che avesse anche una riconoscibile impronta di tipo sociale. A parte un partito, il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, che nella fase ancora parlamentare aveva espresso almeno un provvedimento a favore dei meno abbienti, il c.d. Reddito di cittadinanza in una edizione ancora concretamente migliorabile, e che aveva alla fine rinunziato a rimanere in coalizione, aprendo la crisi anche di coscienza di un premier ansioso di eclissarsi senza essere stato ancora sfiduciato dal Parlamento.
Un solo partito si era mantenuto fuori da quella che alcuni commentatori hanno chiamato la progressiva “degenerazione oligarchica” della politica italiana: il partito di Giorgia Meloni. E gli italiani lo hanno premiato ampiamente, come hanno premiato il Movimento 5 Stelle cui hanno riconosciuto le iniziative di natura sociale prese nel passato. Ma ancora più numerosi, nel sole o nella pioggia, se ne sono rimasti a casa. Votando con i piedi per il più grande partito italiano, il PIA, Partito Italiano degli Astenuti. Con il 36% dei voti.
Carlo degli Abbati