La squadra che dà il titolo alla nostra pellicola realizzata nel quadro di Esch2022, è raccontata, attraverso un ritratto nostalgico e commovente, da chi la conosce davvero bene…
Nel 1907, a Esch-sur-Alzette, qualche appassionato di calcio crea una seconda squadra cittadina dopo la Fola. Sono tutti minatori o metallurgici del quartiere Hoehl (spesso citato nel libro Tanti italiani fa…in Lussemburgo, PassaParola Editions 2019, ndr). A dispetto dei colori scelti, il bianco e il nero a strisce verticali alternate, e del nome che significa “gioventù”, finisce qui l’analogia con la Juventus. O forse no, perché entrambe vantano il maggior numero di titoli nazionali e si sono anche scontrate in Coppa dei Campioni nel 1985, ai tempi di Platini. Potrei intrattenervi a lungo con dati e statistiche su questa squadra, ma quelli si trovano su Internet. Quello che è, o meglio era, la Jeunesse non lo dicono i freddi almanacchi. La Jeunesse è figlia di un quartiere operaio; una porta del campo “Op der Grenz” (alla frontiera) sfiorava le prime miniere di ferro, l’altra i primi altiforni. Questo suo primo e ancora attuale terreno fu donato dall’onnipotente società mineraria ARBED presso la quale lavoravano tutti i giocatori, tutti residenti nella Hoehl.
Fino alla fine dagli Anni ’50 abitare nel quartiere era il primo criterio per poterne indossare la maglia. E quella maglia aveva un peso enorme, perché veicolava la sete di riscatto della gente della Hoehl. Era gente abituata a lavorare duro, gente schietta e con pochi fronzoli, gente che nella vita si accontentava perché aveva vinto poco e poco avrebbe vinto. La maglia della Jeunesse concentrava perciò in sé tutta la rabbia e la fame di successo di migliaia di persone che, nel periodo 1920-1970, erano in grande maggioranza immigrati italiani. In quel mezzo secolo erano italiani anche molti giocatori e la Jeunesse è stata “la squadra italiana del Granducato”, assieme alla ben più modesta Alliance Dudelange. Le avversarie più odiate restano i biancorossi della Fola (fra tifosi, ancora oggi costa una birra a chi ne pronuncia il nome!) e tutte le squadre della capitale, per una questione di classe: sociale e non. Tutte, proprio tutte. “Op der Grenz” era una fucina di emozioni. Qualche rara sconfitta dolorosa e tante vittorie, davanti a una cornice tra 2 000-3 500 spettatori, incluse tutte le famiglie dei giocatori in campo e la fanfara italiana sui tetti delle case. Un muro unito, a lungo troppo compatto per tutti gli avversari lussemburghesi.
Restano nella memoria dei tifosi anche alcune gesta europee della Jeunesse, come le sfide col Real Madrid e la Juve. In Europa la vetta rimane il pareggio casalingo acciuffato allo scadere contro il grande Liverpool nel 1973 (una parte del docufilm è proprio dedicata a questo evento storico, ndr), la gioia di 6 500 spettatori, con successiva striminzita sconfitta in Inghilterra. Coincidenza: era un ex minatore l’allenatore scozzese dei Reds Bill Shankly. Ma perché uso questo tono acceso e scrivo in prima persona? Semplicemente perché ne ho il diritto! Perché nell’orrenda e calorosa Hoehl ci sono nato, perché quella maglia l’ho vestita pure io da ragazzo. Con i piedi storti che mi ritrovavo, lo ammetto, ma col rabbioso orgoglio proprio degli immigrati italiani del quartiere. Jeu-nesse, Jeu-nesse, Jeu-nesse!
Remo Ceccarelli