Il nostro racconto delle periferie italiane attraverso il lavoro delle associazioni fa tappa a Roma. La mafia aleggia da decenni sulla Città eterna, un miscuglio di violenza, intrecci e malaffare. In alcuni casi ha mostrato anche il suo volto più brutto. Ne parliamo con Danilo Chirico, il presidente di daSud, associazione antimafie che mette in rete competenze, idee e pratiche per combattere le mafie, promuovere i diritti civili e sociali e la partecipazione 

Il contrasto alle mafie non è solo una prerogativa della magistratura, anche la società civile ha bisogno di essere contaminata di esperienze positive, valori e partecipazione.

Uno dei principi dell’associazione daSud è l’importanza della memoria, essenziale per tenere vivo il tessuto dell’antimafia e il ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Su questa scia l’associazione ha realizzato, nel quartiere Pigneto, la prima mediateca sulle mafie e l’antimafia della Capitale che ha raccolto in un unico spazio, accessibile e aperto a tutti, libri, pubblicazioni, documentari, video, film, documenti istituzionali e atti processuali relativi a tutte le mafie del nostro Paese e alla storia dell’antimafia fino a quella più recente. Lo Spazio daSud è diventato negli anni un punto di riferimento, un laboratorio di diritti, un osservatorio sulle mafie con un focus specifico su Roma.

L’associazione negli anni ha realizzato diversi progetti come Libeccio, una collana di “graphic novel” dedicata a quelli che dentro e fuori lo Stato hanno combattuto la mafia sacrificando la propria vita. Un progetto editoriale realizzato in partenariato con la Round Robin Editrice volto a diffondere l’impegno contro le mafie ricorrendo a un linguaggio immediato e trasversale: quello del fumetto. Uno degli obiettivi dell’associazione è quello di costruire una rete per allargare il tessuto sociale dell’antimafia. In questo senso ogni anno l’associazione realizza “la Lunga Marcia della Memoria”, l’evento promosso da daSud per creare un nuovo immaginario dell’antimafia sociale attraverso diverse iniziative sul territorio che vede la partecipazione di enti, associazioni e singoli cittadini che provano a dialogare e condividere #bestpractice.

Dalla sua nascita, avvenuta in Calabria nel 2005, l’associazione daSud ha scelto come missione l’antimafia, quella che prova a coinvolgere i bambini, gli adolescenti, i giovani: il futuro delle nostro Paese. L’associazione entra nei quartieri della città con la cultura nei cercando di diffondere la memoria con mezzi innovativi e creativi. Da queste basi l’associazione si è fatta promotrice di un progetto ambizioso che ha dato i suoi frutti: AP, l’Accademia Popolare dell’Antimafia e dei Diritti.

Il progetto, avviato nel 2016, nasce per contrastare la dispersione scolastica, valorizzare il ruolo della scuola come luogo privilegiato per prevenire il disagio giovanile e la fascinazione dei clan e farne il primo presidio di diritti di cittadinanza, rilanciare la periferia in termini sociali e culturali.

L’Accademia è spazio aperto al territorio e capace di ospitare importanti e originali progetti artistici e culturali, di qualità e accessibili. Un intreccio tra memoria e futuro in cui i giovani sono protagonisti del loro presente attraverso il teatro, il cinema e la radio. L’anima dell’accademia è la biblioteca, uno spazio di circa 300 metri quadrati – con oltre 10 mila volumi chiuso e in stato di abbandono per più di dieci anni – recuperato e ristrutturato grazie ad una campagna di crowdfunding su Produzioni dal Basso e sul territorio che a febbraio 2019 è stato restituito agli studenti e aperto alla città fino a sera. Le attività dell’associazione ci testimoniano che la cultura è un fondamentale strumento per la lotta alle mafie e la rete sociale territoriale non solo è possibile, ma è necessaria per riuscire a permeare l’intero tessuto sociale di valori e diritti.

Ne parliamo con Danilo Chirico, presidente daSud

Danilo Chirico

L’associazione nasce in Calabria e poi si trasferisce a Roma. Ci racconta questo cambiamento geografico?

Quando nasci e vivi in un posto come la Calabria, in cui la criminalità organizzata ha un impatto così grande, così importante, te ne devi occupare per forza, perché, vivendoci, provi a capire quali sono le dinamiche che regolano il funzionamento della tua vita e quali azioni puoi mettere in campo per contrastarla. Così, nel 2005, abbiamo dato vita a daSud. Già all’epoca eravamo convinti che la ‘ndrangheta, nonostante fosse così importante nel nostro territorio, era una mafia che non veniva raccontata. Sentivamo così l’urgenza di colmare questo vuoto e la necessità di studiare, raccontare e denunciare. Peppe Valarioti, politico, attivista e intellettuale, vittima innocente di ‘ndrangheta, diceva sempre: “Se non lo facciamo noi, chi deve farlo?”. Un’esortazione che abbiamo fatto nostra e che abbiamo voluto trasformare in un impegno continuo e costante perfino nel 2009, quando decidemmo di trasferire il nostro punto di vista su Roma, città che per molti anni ha scontato la stessa miopia e la stessa mancanza di racconto con un ulteriore aggravante, ovvero la negazione della presenza e il radicamento delle mafie in città.

Le vostre attività sono tante e lodevoli. Quale a suo avviso è quella che coinvolge maggiormente i giovani?

I giovani oggi rappresentano la nostra sfida più grande. Una sfida che si pone come obiettivo la generazione di un cambiamento, che passa attraverso la pratica dell’immaginazione e della trasformazione a partire da dove meno te lo aspetti. Nel nostro caso, a partire da una scuola della periferia romana, l’IIS “Enzo Ferrari” di Cinecittà-Don Bosco, che – esempio unico in Italia – abbiamo aperto anche al territorio e alla città con una proposta culturale ben precisa, ricercata e di qualità.

(daSud: corso fumetto)

AP, l’Accademia Popolare dell’antimafia e dei diritti, è il nostro ultimo più grande progetto, e aggiungo e sottolineo politico, nel senso più compiuto del termine, in quanto capace di tenere insieme educazione, sociale e cultura e di descrivere un’idea di città e di Paese fondata sulla necessità di produrre un cambiamento. L’Accademia ci vede operare la mattina con gli studenti del Ferrari e delle scuole di zona, mentre il pomeriggio ci vede lavorare con i ragazzi del territorio. I percorsi di educazione all’aperto, di educazione civica, di educazione non formale su mafie e antimafia, donne e diritti, sport e diritti, i laboratori pomeridiani sul fumetto e sulla produzione musicale – perfettamente integrati nel piano di offerta formativa delle scuole con cui collaboriamo – sono certamente quelli che coinvolgono maggiormente i giovani, tanto in termini di sensibilizzazione quanto in termini di  responsabilizzazione.

Quando si parlò di mafia capitale ci fu sgomento nell’opinione pubblica. Ma la storia ci dice che Roma è sempre stata attenzionata dalle mafie. Cosa è cambiato negli ultimi anni?

L’inchiesta “Mondo di mezzo” ha delineato un quadro piuttosto grave e inquietante della situazione nella Capitale. Malgrado il relativo processo si sia chiuso con una sentenza che diceva che quella di Buzzi e Carminati non era mafia, ma semplicemente associazione a delinquere, l’inchiesta ha contribuito a squarciare il velo di ipocrisia su Roma, città divenuta Capitale di mafie e di negazione dei diritti civili e sociali, anche agli occhi di chi ostinatamente non voleva vedere. Non dimentichiamoci che, numeri alla mano, nel Lazio operano più di 90 gruppi tra clan, narcotrafficanti, famiglie storiche, mafie tradizionali e  mafie autoctone che speculano e fanno affari sulla pelle dei migranti e degli ultimi, sull’emergenza abitativa e sulle periferie, sull’organizzazione della cultura e sul tessuto produttivo della città. Anche qui promuovono un concetto malinteso di sicurezza e assicurano una sorta di welfare parallelo che fa gola soprattutto ai giovani meno fortunati, quelli che crescono laddove il tessuto sociale è più frammentato e laddove il disagio è più forte e c’è più carenza di offerta culturale. Gambizzazioni, omicidi, sparatorie sono la parte visibile di un dialogo criminale costantemente in corso nella pancia della città per la conquista di spazi di investimento e per il controllo di alcune attività illecite, lo spaccio e la droga in primo luogo. Con la pandemia il quadro è peggiorato: appalti truccati, tangenti, cambi di proprietà sempre più frequenti, quasi 1.300 attività cedute, centinaia di società a rischio usura e riciclaggio, fiumi di soldi sporchi investiti in nuovi modelli di business. Insomma il quadro negli ultimi anni si è evoluto.

Negli ultimi anni sembra che i governi non parlino più di mafia. Cosa dovrebbe dire? Cosa potrebbe fare la politica per contrastare le mafie?

Il problema è per l’appunto politico. In questi anni la politica ha delegato la lotta alle mafie al lavoro investigativo di magistratura, direzione antimafia e organi di polizia, dimenticando che senza un preciso indirizzo politico, senza cioè un punto di vista chiaro sulle politiche sociali, sulla scuola, sulla cultura tutti gli sforzi sono vani. Poche settimane fa, ad esempio, la DIA a Roma ha eseguito 43 arresti e smantellato la prima ‘ndrina della Capitale, chiarendo anche ai più scettici la portata della presenza delle mafie a Roma e nello specifico di quanto e come la ’ndrangheta si sia radicata e organizzata in città.

I fatti ancora una volta ci dicono che al lavoro delle forze di polizia deve seguire uno scatto in avanti da parte delle forze politiche e istituzionali. Uno scatto urgente e non più rinviabile, vedi i fascicoli aperti del Pnrr, del Giubileo, dell’Expo. Otto mesi fa, insieme ad Avviso Pubblico, abbiamo lanciato il protocollo Roma Senza Mafie, un documento congiunto attraverso il quale suggerivamo alcune buone pratiche. Tra queste l’obbligo di istituire una commissione comunale antimafia permanente e un comitato sulla legalità, con funzioni consultive e propositive, capace di favorire il dialogo e il confronto tra istituzioni, associazioni, enti, ordini professionali che svolgono attività nel settore dell’antimafia sociale e nella promozione della cittadinanza attiva e responsabile. Il protocollo è stato sottoscritto dal sindaco Gualtieri, ma ad oggi l’unico passo in questa direzione è avvenuto solo a livello municipale e non comunale.

Spesso si è sentito dire da analisti che l’antimafia ha fallito che si è divisa. Qual è lo stato di salute dell’antimafia?

Ricordare, mettere a fuoco, riprogettare un modo di essere cittadini, di fare antimafia, di interpretare le istituzioni, di fare finalmente verità e giustizia. L’avremmo potuto fare, non abbiamo saputo e forse neppure voluto. È da poco trascorso il trentennale delle stragi di mafia e secondo la nostra opinione è stato una grande occasione sprecata. Abbiamo osservato e ascoltato fiumi di parole vuote, la gara su chi è stato più amico di Giovanni o il migliore amico di Paolo, la corsa alle testimonianze pop, la ricerca dei particolari più macabri, l’esibizionismo sconcio di chi sovrappone la propria storia a quella di Falcone e Borsellino, le furbizie di una politica afona e incapace di avere un’azione antimafia, le solite liturgie travestite da appelli all’impegno, la presunzione di chi misura su se stesso il corso della storia. L’antimafia, sì, è in crisi e lo è da tempo. Il trentennale delle stragi avrebbe dovuto rappresentare l’occasione di una grande discussione pubblica nel nostro Paese, sulla democrazia, i diritti, i doveri, le ambizioni, le responsabilità. E lo spazio per un nuovo patto per chi fa l’antimafia e non si rassegna all’idea di consegnare il movimento alla delega ai magistrati in prima linea, alla marginalità dei processi sociali e politici. Ecco perché servono verità, un nuovo modo di impegnarsi a partire dai bisogni essenziali delle persone e dentro una battaglia più generale per la democrazia e i diritti avviando un processo di ripoliticizzazione dell’antimafia. Finora non è successo, dobbiamo farlo succedere.

Paolo De Martino

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