Asad, Willy, Amali, Sara. L’elemento che accomuna le loro storie, e quelle di tanti altri, è la fortuna: superare il viaggio, trovare la persona giusta che ti può aiutare, avere la buona sorte di capitare in un centro di accoglienza funzionante, non rimanere incastrati nella burocrazia degli Stati europei. Nel mezzo ci sono le vite vere di bambini, donne e uomini

I dublinati sono quei richiedenti asilo che, approdati in Europa, soprattutto in Italia, riescono a raggiungere famiglia o amici in altri Stati, principalmente del nord Europa, dove, identificati a seguito di controlli, vengono ricollocati sul primo aereo utile che li riaccompagna nel primo Paese in cui sono arrivati e dove sono stati identificati. Il principio generale alla base di questo meccanismo è il Regolamento di Dublino, che serve a evitare che una persona possa presentare la stessa richiesta di asilo in diversi Stati membri, e a stabilire il criterio principale, quello del primo Paese di ingresso. Anche se quello di Dublino rimane lo strumento più importante, esso è allo stesso tempo il più inefficiente del sistema europeo comune di asilo.

Poco prima di Natale Asad (nome di fantasia), ivoriano, è arrivato in Lussemburgo dall’Italia. Subito si è auto-dichiarato “dublinato” sostenendo di voler chiedere asilo al Granducato perché da 6 anni aspetta una risposta dalla giustizia italiana sul ricorso alla sua richiesta di asilo politico e lo Stato italiano non gli garantisce più accoglienza. Nonostante l’uomo abbia partecipato a progetti di inclusione e imparato perfettamente la nostra lingua, la richiesta di asilo gli viene rigettata – perdendo di fatto l’accoglienza – così come il primo ricorso. Quindi procede con un ricorso in Cassazione per non rischiare di dover lasciare il Paese. L’attesa è lunga e nel frattempo Asad lavora saltuariamente, trovando alloggi di fortuna dove dormire. A dicembre arriva in Lussemburgo grazie a un amico che vive qui da anni. È stanco e si sta ammalando. Nel Granducato viene subito operato, ma dopo pochi giorni riceve anche il rigetto della sua richiesta di riesaminare la sua domanda d’asilo e deve assolutamente rientrare in Italia. Questo significa precipitare di nuovo in un limbo, restando ancora senza un’identità perché nelle lunghe attese burocratiche puoi solo sopravvivere, ma non costruire il tuo futuro, quello che sognano tutti i migranti sopravvissuti al deserto, alle carceri libiche e al mare. L’avvocato riesce a ottenere la garanzia che Asad può ricevere le cure prima di essere rimandato in Italia.

Willy, Amali e la piccola Sara (nomi di fantasia), camerunensi, sono arrivati in Lussemburgo 6
mesi fa. La loro storia ci racconta una seconda accoglienza che in Italia è inesistente. Entrambi i coniugi avevano un documento italiano valido, ma questo non gli consentiva di essere accolti in qualche centro. Nel 2018 in Italia è stato eliminato il diritto allo SPRAR (adesso SIPROMI) cioè i percorsi
di inserimento abitativo per titolari di permesso di tipo umanitario. Nonostante questo, la coppia è riuscita a sostenersi autonomamente finché il capofamiglia ha perso il lavoro che svolgeva senza contratto, quindi senza poter accedere agli ammortizzatori sociali e ai sussidi previsti nei casi di licenziamento. Alla scadenza del documento l’ufficio immigrazione italiano gli aveva chiesto un contratto per rinnovare il suo permesso: «Mi è cascato il mondo addosso, non sapevo che fare, se continuare a essere precario e rischiare di vivere per strada o riuscire a dare un futuro a mia figlia» racconta. In Italia al nucleo familiare non era stato riconosciuto lo status di rifugiato e tra tante difficoltà hanno raggiunto il Lussemburgo dichiarandosi “dublinati” e chiedendo di riesaminare la domanda presso il Granducato, perché Willy in Camerun era un attivista politico.

«L’avvocato mi ha dato poche speranze di uscire dalla procedura di Dublino, ma è la mia ultima speranza».

Cosa significa uscire dalla procedura di Dublino? È un meccanismo che si attiva mediante un ricorso da parte di un legale, attraverso il quale è possibile ottenere la possibilità di far riesaminare la domanda d’asilo in uno Stato diverso da quello dove si approda. Sono pochissimi i casi in cui viene concessa questa possibilità. Per fortuna a Willy e Amali è stata data una piccola speranza: il Lussemburgo ha deciso di riesaminare la loro domanda di asilo politico. Nel frattempo è stato assegnato loro un piccolo appartamento e dei sussidi per la bambina e per le prime necessità. Felici ma cauti per il futuro, verranno ascoltati a più riprese dalla Commissione per i richiedenti asilo. Se Willy avesse voluto cercare un lavoro non avrebbe potuto essere assunto perché il suo permesso umanitario rilasciato dalle autorità italiane non è valido per lavorare negli altri Paesi membri dell’Unione europea. Intanto in Lussemburgo hanno iniziato a fare percorsi di inclusione anche grazie all’associazione RYSE Luxembourg, che da anni assiste i migranti, e alla sua capacità di Willy di costruire relazioni sociali.

Paolo De Martino

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