Intervista al fondatore dell’Ensemble Marâghî, suonatore del flauto ney e grande esperto di musica della tradizione sufi
Da cosa nasce questa sua profonda passione?
Nasce dal suono, perché mi sono innamorato del suono del ney. Io ero sassofonista. Ho suonato il sax dall’80 al ’97 e poi ho iniziato a suonare il ney, che è un flauto a imboccatura terminale molto diffuso nel mondo mediorientale e centroasiatico. La tipologia che suono, però, è quella specifica del mondo turco-ottomano. Quando ho deciso di cambiare strumento ho voluto anche approfondire il suo mondo e la sua cultura. Mi sono quindi reiscritto all’università e mi sono laureato, ma essendo ormai grandicello ho fatto tutto con un altro spirito rispetto a uno studente ventenne. Prima mi sono laureato, poi ho conseguito un DÉA (Diplôme d’Études Approfondies) e infine il dottorato. Insomma, partendo da questo strumento ho cercato di ricostruire tutto il suo contesto, e questo ha significato occuparsi di musica della tradizione sufi del mondo ottomano-turco, perché il flauto ney è uno strumento che si suona in questo ambito e nella musica d’arte.
Ha fondato l’Ensemble Marâghî nel 2008. Qual è l’obiettivo artistico del vostro progetto?
Suonare musica ottomana antica con il gusto persiano che doveva avere all’epoca. Questo ci ha portato a suonare spesso con strumenti e con musicisti e cantanti persiani. Quando abbiamo iniziato, nel 2008, era qualcosa di pionieristico, adesso è abbastanza normale. Era abbastanza sorprendente che degli italiani suonassero questo tipo di musica e in passato abbiamo partecipato, forse per questo nostro esotismo, a vari festival in Oriente.
L’intervista completa la trovate sul numero di PassaParola Mag, in edicola o per abbonamento
Paolo Travelli
(Foto: Trio_foto_MicheleCrosera)