La storia dell’emigrazione italiana in Lussemburgo, sappiamo bene, è lunga e intensa. Oggetto di produzioni letterarie che sono il fiore all’occhiello della nostra cultura: di ieri e di oggi
Le parole viaggiano, e viaggiando si caricano spesso di significati che non avevano all’origine.
Le persone viaggiano, e viaggiando si caricano di esperienze che le mutano da ciò che un tempo erano. La letteratura della migrazione mostra un cammino, e scopriamo che alla fine questo cammino di parole e di persone è il medesimo, in una continua trasformazione e contaminazione per gran parte inconsapevole.
Di questo percorso con tappa a Lussemburgo e dintorni ci occupiamo nella sezione di Lettere italiane dell’Università del Lussemburgo da lunghi anni. Difficile non sentirsi esploratori di un viaggio…degli altri, ma in parte anche di noi stessi. Difficile ancora non sentirsi ricercatori di una forma di contagio sempre positivo, in un momento in cui il contagio è sempre negativo! Parliamo di un contagio culturale, di sguardi che si incrociano, di identità che si incontrano. E se pensiamo che la scrittura di un racconto, di una poesia o di una storia sia frutto di una libera scelta, siamo forse sulla buona strada (un’altra volta il famoso “cammino”, nda) per riuscire a cogliere quanto di prezioso si nasconde nelle parole scritte da un migrante. Poco importa che egli scriva la sua storia personale o una apparentemente inventata. Anche il volo immaginativo più pindarico contiene mille tracce del vissuto di chi lo scrive.
È facile allora comprendere quanto la scrittura rifletta quel che siamo, poiché essa è lo specchio della nostra anima, del nostro sentire più profondo: noi scriviamo sempre per come ci sentiamo! E così, negli scritti in lingua italiana nel Granducato degli ultimi trent’anni, si respira un’aria che non conosce frontiere, che non si lega a un luogo, quasi una sorta di “letteratura post Schengen”, per la gran parte dedicata alla narrativa d’immaginazione, spesso di notevole qualità. Tuttavia, facendo un passo indietro nel tempo, si scorge un carico di nostalgia e talvolta di disagio rispetto a un Lussemburgo allora in parte diffidente verso gli italiani. La poesia è il tratto di quegli anni, come un dolce rifugio che possa dare conforto.
Ma i racconti autobiografici, no, quelli non escono normalmente dalle mura di casa, rimangono nascosti dietro rispettabilissimi pudori. Salvo poche eccezioni. Una è il bellissimo testo di Luigi Peruzzi dal titolo Le mie memorie, che ci restituisce l’esperienza toccante di un partigiano italiano (al fianco dei lussemburghesi nel Granducato) dentro il campo di concentramento tedesco di Hinzert; l’altra è l’affresco della vita di Silvio Grilli dal titolo Dall’Italia al Lussemburgo. Storia della mia famiglia. È questa l’unica autobiografia che conosciamo, scritta da un italiano di terza generazione, la quale ne abbraccia il percorso avventuroso di ben cinque: dal nonno, originario di Fiuminata nelle Marche, giunto a Esch-sur-Alzette nel 1880, fino al nipote di Silvio Grilli, Andreas, per il quale il libro è stato scritto. Il libro di Grilli non è un romanzo, ma una cronaca autobiografica dettagliata di un Lussemburgo che si srotola dalla fine dell’Ottocento fino ai giorni attuali, e ci restituisce la complessità di volti, sguardi, odori e colori delle piccole Italie nel Granducato, del progressivo avvicinamento tra italiani e lussemburghesi attraverso due guerre mondiali e del passaggio dal mondo siderurgico a quello finanziario. Tutto ciò fa di questo libro un unicum preziosissimo per la conoscenza della storia del Lussemburgo e di un viaggio che Italiani e Lussemburghesi compiono insieme da più di 140 anni.
Claudio Cicotti