Rosa e Lussemburgo, l’accostamento farebbe pensare a Rosa Luxemburg. Invece no: stavolta parliamo di una giovane nazione in preda ad una rivoluzione “petalosa”, mentre in Europa è già in atto quella industriale
Il Lussemburgo indipendente dal 1850 ha un’economia basata sull’agricoltura. L’avventura del ferro deve ancora iniziare e le casse pubbliche sono vuote. Molti giovani cercano fortuna in Francia o negli Usa e il governo cerca degli introiti per finanziare le infrastrutture a supporto del cambiamento, partendo dalla rete ferroviaria. Ci si inventa ad esempio il commercio di Champagne tra gli storici nemici franco-tedeschi. Esiste però da subito un settore che genera denaro e una visibilità internazionale, ossia la coltivazione delle rose.
I campi della capitale-piazza militare non riservati all’esercito sono infatti sfruttati per questa fiorente attività. I giardini di Pfaffenthal (a proposito: leggete l’eponimo libro di Bruno Agostini!) di Cents e del Grund sono un unico roseto. I trattati che sigillano l’indipendenza della nazione ne sanciscono pure la neutralità, rendendo di fatto inutili le fortificazioni e le zone militari. Si liberano perciò vasti terreni scevri di costruzioni tipo il Limpertsberg, presi d’assalto da giovani coltivatori imprenditori come Jean Soupert e Pierre Notting, che hanno imparato l’arte del giardinaggio a Lione. È l’inizio di un’epopea che li porterà a figurare tra i maggiori vivaisti al mondo a cavallo del ’900. Pierre brilla nel marketing, come lo si chiama oggi. Ma l’artista è Jean, che crea 212 delle 250 nuove varietà di rose della ditta.
Per dare l’idea, il Lussemburgo ne ha fatte registrare 360 dal 1850 ad oggi.
Soupert&Notting partecipano alle maggiori Esposizioni Unversali dell’epoca, da Filadelfia a Parigi. Realizzano dei prestigiosi cataloghi per le famiglie reali di mezzo mondo, che chiedono a Jean di piantare di persona le varietà battezzate in loro onore: da San Pietroburgo a Rio de Janeiro, dalla Cina al Giappone, da Parigi a Torino, ogni palazzo che conta ha visto l’intervento floreale di Jean Soupert.
Su di lui piovono le onorificenze internazionali, tra le quali la Legione d’odore… ehm, d’Onore francese!
Ma Jean non è l’unico a brillare nel settore a Limpertsberg. Infatti un suo allievo, Évrard Ketten, si lancia in proprio e la sua fama di creatore diventa presto mondiale, alla stregua della ditta Gemen&Bourg, stabilitasi nello stesso quartiere. La coltivazione delle rose assume proporzioni tali da costringere i circa cento produttori lussemburghesi a ubicarsi ovunque fra la capitale e Ettelbrück.
La Belle Époque vede l’apice delle esportazioni (10 milioni di piante) e della superficie dedicata (100 ettari).
Ma le rose hanno tante spine e il Lussemburgo ne prende atto con il primo conflitto mondiale. Il mercato francese che assorbiva il 75% delle piante è “potato” a zero dall’invasione tedesca. Scarseggia pure la manodopera maschile. La crisi economica del periodo interbellico e i protezionismi doganali affossano i nostri produttori, il cui numero si affievolisce ulteriormente assieme alla superficie coltivata, che scende via via sotto i 10 ettari. A mettere l’ultimo chiodo sulla bara di un settore morente ci pensa la fillossera (o filòssera), fungo che attacca sia la vite che la rosa. Negli Anni ’50 resta un unico allevatore di rose, costretto a chiudere quando persino il piccolo mercato nazionale si rivolge alle produzioni africane.
Remo Ceccarelli