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Sabato prossimo 8 febbraio, alle ore 18.30 presso la Libreria italiana di Lussemburgo, sarà presentato l’ultimo libro dello scrittore e manager napoletano Francescomaria Tuccillo: Afrika. Chiavi di accesso (Ebone Edizioni, 2019). Prima di questo appuntamento, abbiamo cercato di saperne di più facendo qualche domanda all’autore.

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Il suo libro parla di Africa, continente che conosciamo poco se non per la povertà o lo sfruttamento delle risorse minerarie. Qual è il suo punto di vista su questo continente?

Lo riassumo in tre parole: diversità, contraddizione, futuro.

Diversità perché, per citare il titolo di uno dei capitoli del libro, Si fa presto a dire Africa, dietro la parola Africa vi sono oltre 30 milioni di chilometri quadrati, un miliardo e trecentomila persone, 54 Stati con regimi politici molto diversi tra loro e una grande varietà di culture, tradizioni, lingue, religioni e climi: dalla zona mediterranea a nord al deserto del Sahara, dalle regioni aride e torride centrali all’area collinosa e temperata dell’estremo sud. A ognuna di queste zone corrispondono evidentemente diverse condizioni naturali, economiche e sociali.

Contraddizione allude alla convivenza di povertà estrema e immense risorse naturali, di tradizioni arcaiche e crescente modernità, di villaggi tribali e metropoli avveniristiche, di analfabetismo in molte aree e di una nuova classe dirigente colta, competente, poliglotta e determinata.

La terza parola, futuro, indica che l’Africa rappresenta per tutti noi, che ci piaccia o meno, un appuntamento inevitabile sul cammino del nostro avvenire. Spesso in Europa noi la consideriamo una terra esotica, ai margini del mondo evoluto, foriera solo di pericoli e di migranti. Nessuno stereotipo è più fuorviante di questo. Oggi l’Africa emigra molto meno di quanto si pensi, costituisce uno snodo geopolitico fondamentale in ragione della sua posizione e delle sue risorse naturali e registra una crescita economica robusta e stabile: di qui al 2024 l’incremento medio previsto del continente è del 4,1%, con picchi che vanno dal 6% del Kenya al 7,2% dell’Etiopia all’8% del Ruanda e del Sud Sudan. Infine, entro il 2050 gli africani saranno più numerosi dei cinesi e saranno giovani. L’età media del continente africano è di 18 anni, contro i 42 dell’Europa e i 45 e mezzo dell’Italia, che con la Germania, la Slovenia e il Principato di Monaco è uno dei paesi più “vecchi” del pianeta.

In sostanza, nei prossimi anni dovremo confrontarci con un continente che conosciamo poco, molto giovane, ricco di risorse strategiche e in sviluppo economico e sociale costante. Ci conviene essere pronti a farlo.

A chi consiglia di leggere il suo libro e perché?

Il mio libro, che è snello e spero, di piacevole lettura, si propone come uno stimolo a conoscere meglio l’Africa sotto molti punti di vista tra loro connessi: la storia, l’ambiente, i flussi migratori, le opportunità che offre oggi dal punto di vista economico, culturale e sociale.

Proprio per questo credo si possa rivolgere a tutti coloro che vogliono accostarsi a questo continente con uno sguardo nuovo ed esente da pregiudizi: a chi desidera visitarlo, a chi intende stabilirvi relazioni di lavoro o, semplicemente, a chi è curioso di conoscere meglio una terra che resta misteriosa pur rivestendo un’importanza sempre maggiore negli equilibri del pianeta.

Vuole indicare qualche punto saliente del libro in vista della sua presentazione alla Libreria Italiana?

Le rispondo con una domanda: secondo lei sarebbe normale che un professionista venisse in Lussemburgo per lavoro, ignorasse la sua storia e il suo assetto istituzionale e nella sua prima riunione, se qualcuno nominasse il Granduca, lui rispondesse stupito: «e chi è?». In Africa questo succede tutti i giorni.

Nel libro cito un esempio preciso, occorso durante i dieci anni in cui ho vissuto e lavorato nel Corno d’Africa. Un giorno accompagnai in Senegal un mio cliente per un incontro importante. Il nostro interlocutore senegalese, uomo raffinato e fiero della sua terra, citò, a un certo punto, due versi di una bella poesia, oggi pubblicata sulla quarta di copertina del mio libro. E aggiunse «sono di Sédar Senghor». Il mio cliente ebbe l’idea, veramente pessima, di esclamare «e chi è?». Questo irritò moltissimo il nostro ospite e rese la negoziazione in corso molto più difficile di quanto sarebbe potuta essere.

Un secondo episodio narrato nel libro è invece di segno positivo e si riferisce all’Uganda. Nel 2007 Kampala avrebbe ospitato la riunione di tutti i capi di Stato del Commonwealth. L’Ambasciatore italiano dell’epoca, l’allora sindaco di Milano e io riuscimmo a dare una mano al Paese africano facendo sistema in maniera molto rapida ed efficace. Il risultato fu che, pochi mesi dopo, l’Uganda e le nazioni limitrofe votarono tutte per Milano invece che per Smirne come sede di Expo 2015. E i loro voti furono decisivi. Spero leggerete il libro per vedere come facemmo a ottenere questo risultato. Anticipo solo che Milano ha potuto ospitare l’importante evento grazie ad alcuni bravi vigili urbani e a una mia piccola intuizione.

I due aneddoti sono simbolo di quelle che considero le principali «chiavi d’accesso» all’Africa: cultura, rapidità di riflessi e capacità di fare sistema.

 Amelia Conte

 

 

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