prigione[1]

Secondo gli ultimi dati della Farnesina (per l’anno 2017) i cittadini italiani detenuti all’estero erano 3.288, di cui 687 condannati, 2.576 in attesa di giudizio e 34 in attesa di estradizione

Condannati a morte (come l’imprenditore abruzzese Denis Cavatassi in Thailandia) o addirittura morti in carcere con gravi lesioni al cranio (come il ricercatore Claudio nelle carceri del Quebec). Oltre tremila dei nostri connazionali vivono esperienze spesso estreme nelle carceri estere. In Europa, la Germania detiene il maggior numero di detenuti italiani, 1280; seguita dalla Francia (303) e dalla Spagna: 254. Il numero più basso (1) in Bulgaria, Islanda, Slovenia. In Lussemburgo sono detenute 13 persone di cui 6 in attesa di giudizio e 7 condannate (Fonte: Esteri, 2017). Tra questi c’è stato (fino a poco più di un mese fa) N. Camillo C., commerciante salernitano molto conosciuto nell’ambiente della ristorazione, che si è trovato immischiato in una storia di violenza. Camillo nel 2005 gestiva per conto terzi un ristorante di fronte al palazzo granducale e, accusato di violenza sessuale da una delle cameriere, si è ritrovato a Schrassig (una delle carceri del Lussemburgo) condannato a scontare 7 anni. Senza prove concrete e con la sola testimonianza della donna, italiana anche lei. Nella sua vicenda ci sono delle chiare anomalie: la più grave tra tutte, quella che l’imputato, in Corte d’Appello, si è dovuto difendere da solo perché l’avvocato che era stato da lui nominato si è ritirato e non gli è stato assegnato il legale d’ufficio (contro l’art. 4 della Convenzione dei diritti umani). Camillo sostiene di non aver mai commesso atti di violenza contro quella persona; e che il giorno in cui la vittima dice di essere stata violentata, lui non era nemmeno presente nel ristorante, essendo il suo giorno libero. Secondo il suo ragionamento, un processo senza difesa, le false testimonianze sul suo conto e la sparizione di elementi di prova avrebbero dovuto far annullare il processo stesso. Neanche il test del DNA, al quale l’imputato aveva dato disponibilità, è stato mai effettuato. Anzi, i pantaloni della vittima – che potevano essere la prova della sua innocenza – sono spariti in commissariato. Camillo accetta la sentenza della Cassazione e a metà pena chiede la condizionale (prevista dall’art. 100 del codice penale) per buona condotta. Partecipa ai corsi di reinserimento sociale interni al carcere, paga le spese processuali, ottiene la promessa di un contratto di lavoro che serve per ottenere la semilibertà, che il giudice però non gli concede. Non può uscire per partecipare al funerale della sua ex moglie, non può uscire per il battesimo del nipote, non può uscire per problemi di salute perché considerato a rischio fuga. Decisioni che contrastano con il diritto alle relazioni familiari e affettive proprie della Costituzione italiana sulle quali in Lussemburgo chi di dovere ha soprasseduto. Colpevole o innocente? Lo ha già stabilito la legge. Quello che Camillo denuncia sono i diritti che gli sono stati negati dall’autorità giudiziaria e carceraria lussemburghese in merito alla libera uscita, la riduzione della pena per buona condotta, la libertà condizionale.

di Paola Cairo

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