silvestri

Questo mondo è andato avanti ad una velocità forsennata soprattutto nella tecnologia, dalla quale sono affascinato e curioso, che però si riflette sulla società in maniera mostruosa anche perché non eravamo preparati a questo cambiamento. Ciò ha portato a una mutazione nel valore della famiglia. A chi come me è genitore questa evoluzione sembra ancora più lampante perché rispetto ad altre epoche storiche, la distanza con i nostri figli è invisibile per certi versi, ci sembra di far parte dello stesso mondo e ciò comporta una minore autorità, meno credibilità. Gli stessi telefoni che hanno tra le loro mani li usiamo anche noi, non sappiamo bene quando abbiamo raggiunto il giusto limite poiché non c’è l’ha insegnato nessuno”.

Inizia così, Daniele Silvestri, cantautore romano, a parlare della sua canzone in gara a Sanremo, Argentovivo presentata sul palco dell’Ariston insieme al rapper Rancore.

La canzone, scritta per batteria e orchestra, riesce in una costruzione quasi cinematografica, a dare voce a un adolescente di oggi, esplorandone le disperazioni più profonde e meno comprese. Un testo che lascia senza fiato, un cazzotto nello stomaco di chi ascolta e poi, inevitabilmente, medita.

La genesi del testo – in linea con l’argomento trattato – ha percorso una strada particolare come racconta Silvestri: “quando ho cominciato a scrivere il testo di questa canzone ho chiesto in un post su Facebook a chi mi seguiva di suggerirmi degli argomenti e molti mi hanno chiesto di “parlare di” o “di parlare alle nuove generazioni”, della conoscenza, della scuola, dei disturbi dell’attenzione, di una serie di cose che coincidevano con un qualcosa che stavo vivendo anche io da genitore. I miei 16 anni – continua – sono stati abbastanza fortunati e felici, se poi sentirsi a proprio agio con i luoghi che si vivono e frequentano significhi essere felice, allora sì, lo sono stato. Ma sono genitore e questo disagio giovanile lo avverto da vicino.”

Un discorso a parte va fatto sulla scuola. Molti insegnanti si sono sentiti additati dal testo di questa canzone e Silvestri si preoccupa di mettere in luce le varie sfaccettature di Argentovivo.

Sì è vero, l’argomento di questa canzone ha suscitato anche reazioni contrastanti, soprattutto tra molti insegnanti. Voglio però dire che quello non è il mio pensiero di quando avevo sedici anni ma nemmeno quello attuale da cinquantenne. Se mio figlio mi dicesse esattamente quelle cose, o forse entrambi i miei figli adolescenti lo hanno già fatto, mi troverebbero in totale disaccordo. Se parliamo di cercare solo nell’isolamento nel mondo virtuale il proprio appagamento, con la possibilità che si spenga quell’argento vivo dentro di ognuno, allora è una cosa che non posso accettare, è il crimine più grande che si possa commettere a livello umano. Proprio per questo ho deciso di raccontarlo, anche in maniera piuttosto spietata, per far capire che c’è la possibilità che questo accada. Le colpe possono essere anche di noi genitori, più che degli insegnanti, anche se l’ambiente della scuola è molto più complesso… In fondo parlo con la voce di un sedicenne a quelli che hanno la mia età”.

Questo è il sintomo, la medicina per curarlo non è facile da sperimentare, ma – dice Daniele – già parlarne è una buona cura. “Mi sentivo estremamente forte, nel credere di poter passare dei valori, che davo per scontati, e invece mi sono reso conto che di per sé valgono poco se poi non li si confronta con il mondo all’esterno. La capacità più importante di un genitore è saper ascoltare, questa in fondo, è la prima medicina. Quando in quella parte della canzone affrontiamo le patologie che raggruppano il disturbo dell’attenzione e l’iperattività ma anche l’argento vivo inteso come una di esse, saper ascoltare può aiutare. Nel testo c’è una frase che dice “avete preso un bambino che non stava mai fermo / l’avete messo da solo davanti a uno schermo” è emblematica per raffigurare il genitore di questo periodo storico, anche perché purtroppo quest’azione è difficile non farla. Non dico che bisogna essere così bravi, perché è una questione non solo di sensibilità ma di possibilità, di aver i mezzi per stare il tempo giusto con i propri figli e di poterli ascoltare. Non è scontato avere la soluzione ma se c’è una medicina suggerita e quella di saper ascoltare è la prima. L’altra è la vita reale che, con queste generazioni, è difficile farla vivere come qualcosa di positivo da andare a cercare perché è più facile rimanere, piacevolmente, incastrati nella parte virtuale – che comprende anche i videogiochi – dei nostri mondi”.

Gilda Luzzi

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