Viene spesso definito il viaggiatore musicale più affascinante che l’Italia abbia da offrire. E ciò per giusta ragione, come hanno potuto comprovare gli spettatori che ieri sera (28 novembre, ndr) hanno assistito alla Philharmonie in Lussemburgo al suo concerto in versione Folk Trio, dal tema «Canzoni della Cupa». Sul palco con Vinicio (voce, chitarra, piano, fisarmonica) c’erano Alessandro «Asso» Stefana (chitarre, banj, bouzoki), Victor Herrero (chitarre, vihuela, chitarra portoghese) e, per alcuni brani, anche il bassista Alberto de Grandis.
«Canzoni della Cupa» è il 15mo album di Capossela e il decimo studio-album, dal parto abbastanza lungo: 13 anni di lavoro investiti in un viaggio che lo riporta in Irpinia, terra d’origine dei genitori di Capossela.
Lo spettacolo non è la semplice messa in scena dell’album, bensì un viaggio in mondi fantastici, fatti di luci, sensazioni, sogni ed emozioni.
Si parte con «Nella pioggia», tratto dall’album «Canzoni a manovella» (2006) e un Capossela che entra in scena sul palco con un grande ombrello e invita il pubblico ad accompagnare la melodia con un ritmico schioccare di dita. Lui, nel frattempo, si accomoda al piano e inizia il pioggerelloso viaggio vocale, alternando i microfoni (audio e tipo groomer), creando effetti di lontananza/vicinanza, ma anche di realtà/fantasia, che portano in una dimensione musicale onirica. Sempre al piano, con cappello da pirata, il viaggio continua con «Pryntill» (da Marinai, profeti e balene, 2011) nel mondo fantastico delle sirene che non evadono la quotidianità, utilizzando proprio i mezzi della vita reale. Si rimane nel mondo marino con la «Madonna delle Conchiglie» sempre dello stesso album, un omaggio alla gente che emigra. Dal religioso si rituffa nel passato e con «Morna» ( da Il ballo di San Vito, 2016).
Che Capossela non sia un semplice cantante, bensì un artista a 360° è dimostrato non solo dalla sua versatilità musicale, con un passaggio perfetto da piano a chitarre o fisarmonica, ma dal suo vivere le canzoni che interpreta come dei piccoli capolavori teatrali. Per «Corvo Torvo» ( sempre da Il ballo di San Vito, 2016) indossa una maschera da corvo e un mantello di piume e, quando si passa ai brani più “agresti”, a prendere il posto e un supplemento di cappello di paglia. Proprio con i brani folk il pubblico si scalda e canta le sue canzoni al ritmo dell’ organetto. Un ritorno alle origini della lingua, della cultura, dei sentimenti e del semplice piacere dell’esistenza quotidiana nella sua miriade di aspetti diversi, archetipici o fantasiosi.
Perfetta la conclusione della serata. Dopo l’avventura nel mondo dolceamaro dei calzini spaiati «Il paradiso dei calzini» (da Da solo – 2008) il nostro saluta la sala con un bis, passando dal mondo della cupa al mondo reale, non senza la protezione di «Ovunque proteggi» (da Ovunque proteggi – 2006) sul cui brano Capossela chiede a tutti abbracciarsi.
Elisa Cutullè