vanoni

 

Ornella Vanoni è una elegante signora della canzone italiana, che sta sul palco con l’entusiasmo travolgente di una ventenne e sciorina note con inalterata duttilità vocale.

Dopo il successo di Sanremo in cui, insieme a Bungaro e Pacifico, ha vinto il premio per la miglior interpretazione con “Bisogna imparare ad amarsi”, è ripartito il tour intitolato “La mia storia”, un racconto, attraverso la musica e i dialoghi con pubblico e musicisti, della sua carriera artistica.

Lo spettacolo, che ieri ha fatto tappa all’Auditorium di Roma, è un po’ anche la storia della società italiana, di quando non c’era il divorzio ed avere una relazione con un uomo sposato era uno scandalo imperdonabile. Di quando c’era la destra e la sinistra che facevano un po’ di confusione, sì, ma sicuramente meno di oggi. Di quando “il domani è un altro giorno si vedrà” era un moto di speranza condiviso.

Accompagnata da Roberto Cipelli (pianoforte), Bebo Ferra (chitarra), Loris Leo Lari (contrabbasso) e Piero Salvatori (violoncello), la cantante milanese riesce ad inerpicarsi con disinvoltura tra brani del suo repertorio più conosciuto e interpretazioni nelle quali non ti aspetteresti di sentirla, come Caruso di Lucio Dalla, in un musicale dialetto napoletano, o Vedrai Vedrai di Luigi Tenco che le ha regalato una standing ovation.

E pensare che volevo fare la profumiera, tra profumi e cremine da offrire alle signore – ricorda al pubblico e anche a se stessa. Un giorno Strehler mi disse: amore mio, tu hai il talento per salire su un palco, ma non hai i nervi per farcelaE aveva ragione lui. Perché io ho avuto paura per anni, anni e anni…”

Oggi no. Oggi Ornella non ha più paura. Domina il palco con naturalezza, canta, parla, racconta e balla. Non lascia mai solo il pubblico, accompagnandolo, con aneddoti prima e con le note poi, dentro le sue canzoni e i suoi sentimenti.

“Quando ho iniziato con le canzoni della mala molti credevano che venissi dal quel mondo. Non è così, la mia era una famiglia normale, tranquilla. Avevo studiato all’estero, sapevo le lingue, non si dicevano parolacce. Poi ho conosciuto Strehler e la mia vita si è sconvolta completamente. Amare un uomo così era uno scandalo: perché era di sinistra, era sposato, era un regista. Mia mamma piangeva, papà non parlava più. Dovunque andavo erano rimbrotti sul fatto che non potevo fare questo alla mia famiglia. Ma io avevo scelto la mia strada: volevo stare con Strehler e ci sono stata. Le canzoni della mala le ha inventate lui per me, per valorizzare la mia voce – racconta prima di intonare Le mantellate, scritta, in dialetto romano, a quattro mani col maestro.

Canta Brecht in tedesco, balla il samba di Vinicio de Moraes e poi si immerge nella magica atmosfera del periodo genovese. Attraverso le note delle canzoni di quegli anni, Che cosa c’è?, L’appuntamento, sembra si riesca ancora assaporare il grande sentimento d’amore che si respirava un tempo. “Quando ho conosciuto Gino – sottolinea con una non sopita femminile frivolezza, avevo degli attributi niente male. Ma lui, essendo un poeta, da cosa è stato colpito? Dalle mie mani, che sono grandi quasi come quelle di Morandi, e ha scritto per me Senza fine”.

“Attualissima questa” commenta senza peli sulla lingua mentre omaggia Gaber con Sinistra Destra e scherza, divertendosi come una bambina, col suo pianista, Cipelli, quando canta “Vengo anch’io? no tu no” di Jannacci e ne tira fuori una gag davvero esilarante.

E poi tutto qui? Dopo quasi due ore di concerto ininterrotto, sulle note di questa canzone-recitata  dovrebbe calare il sipario, ma l’affettuosissimo pubblico romano richiama a gran voce la Ornella nazionale che non si lascia pregare e continua ad improvvisare, mettendo anche in difficoltà la sua band, “speriamo in bene, non cominciamo a criticare”– avverte prendendosi anche in giro.   Sulla poetica Io che ho avuto solo te di Sergio Endrigo regala ancora attimi infiniti di emozione, e chiude con le parole incoraggianti “vado via e porto anche con me la tua malinconia” di Una ragione di più.

Seguono minuti e minuti di applausi, un tributo doveroso a una grande artista e il modo più amorevole di accompagnarla tutti insieme, quasi sottobraccio, fuori dalla scena.

Gilda Luzzi

 

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