Le Zonta- club di Metz ed il COMitato d’aiuto al popolo SIRiano (COMSYR Moselle), hanno organizzato nel grande salone del palazzo Municipale di Metz, giovedì 3 dicembre scorso, una conferenza dibattito dal titolo les femmes-syriennes-face-a-la-violence-.
Duha Al-Ashour, giornalista e scrittrice, Fidaa Honari, medico-ginecologo e Wejdan Nassif, scrittrice, tutte e tre ex detenute politiche in quanto militanti dell’opposizione al regime di Bachar El Assad, hanno testimoniato delle molteplici forme di violenze di cui sono vittime le donne in Siria, paese in guerra ormai da quasi cinque anni. Le testimonianze sono state lette in arabo dalle autrici e poi tradotte in francese.
La prima ad esprimersi è stata Duha Al-Ashour, sei anni di prigionia prima dell’esilio in Francia. E ci parla, appunto dell’esilio come la violenza peggiore che si possa infliggere a qualunque essere umano. Perdere la patria significa dover imparare a vivere sempre sospesi sull’orlo del precipizio; imparare a convivere con il sentimento di aver tradito il proprio Paese, sentirsi per sempre colpevoli di aver scelto la fuga.
Chi fugge la guerra non sceglie un altro Paese ma scappa dall’inferno accettando ogni rischio e pericolo. Per questo è grata all’ambasciata di Francia d’avere accettato la sua domanda di asilo, altrimenti avrebbe potuto essere una delle tante vittime dei barconi della disperazione.
Fidaa Honari sceglie di raccontare le violenze della detenzione con ritegno e dignità. Innanzitutto ricorda che purtroppo non è l’unica di aver sofferto di tali torture. La Siria conta già più di 11.000 martiri morti torturati in carcere. Le donne siriane subiscono ogni sorta di violenza ed umiliazione, ma Fidaa non racconta le grida, le urla, i gemiti che risuonano giorno e notte nei centri di smistamento creati dal regime. Non vuole e non può ricordare l’odore della paura e della morte che impregna i pavimenti e le mura delle prigioni dove é stata rinchiusa per tre anni. Oggi il suo unico obiettivo è sensibilizzare la comunità internazionale sulla necessità di mettere fine alla guerra in Siria.
Wejdan Nassif, scrittrice e autrice de «Lettres de Syrie», ricorda le sue quattro amiche e compagne di detenzione ed un conclude con un augurio
Salam in arabo ha un triplice significato: saluto- speranza di pace e- augurio di riconciliazione. Salam è l’augurio che Wejdan invia alle quattro compagne rimaste in Siria e la richiesta di solidarietà e di preghiera che formula per il suo Paese e per tutti i Siriani:
Salam per Oum-Alì: il fiore di Doummar, che ha perduto i suoi due figli, ma continua a sperare in un futuro migliore per i suoi nipoti e nonostante l’età e la malattia continua a cucinare per tutti i suoi vicini.
Salam per Lana Mouradni, attivista pacifista di Damasco, ancora detenuta.
Salam per Faten Rajab, ricamatrice delle bandiere della Libertà, detenuta e dichiarata morta dal regime.
Salam per Samira al-Khalil, che non riuscendo ad avere un passaporto per lasciare la Siria si è rifugiata nella regione di Ghouta.
Salam è il saluto scandito ad alta voce da tutta l’assemblea, per rendere omaggio al coraggio delle donne e di tutto il popolo Siriano.
Ornella Piccirillo