prigioni

 

L’avevo ascoltato raccontare la sua storia lo scorso 17 giugno, quando Amnesty International Luxembourg ha organizzato la proiezione del film Io sto con la sposa ad Utopia, in occasione della giornata Mondiale del Rifugiato.

H.A. aveva preso per primo la parola tra la trentina di siriani seduti nelle prime file e approfittando della presenza di Monsieur Reiter, consigliere presso il Ministero degli Affari esteri lussemburghese, ha voluto raccontare la sua esperienza di fuga dalla Siria fino al Granducato. So come vanno queste cose. Si scende sui fatti personali. Ed incontrare un funzionario è un’occasione ghiotta quando si è sospesi tra il diritto d’asilo e il rifiuto della domanda. Quando si telefona un giorno si e l’altro pure per avere ragguagli. I mesi passano inesorabili in un’ignavia che non tutti sono disposti a sopportare.

Molti di loro, infatti, arrivati in Lussemburgo hanno inoltrato la domanda di asilo e alcuni quella sera hanno preso coraggio per chiedere i motivi dei troppi mesi di attesa che il Ministero si prende per i loro dossier.

I siriani fuggono da una guerra quinquennale che tutto il mondo fa finta di non vedere e arrivano rocambolescamente in Europa, dopo viaggi clandestini durante i quali mettono a rischio la propria vita.

La storia di H.A. però mi ha particolarmente colpito perchè, per la prima volta ho sentito parlare delle incredibili prigioni ungheresi. Gli “illegali” costretti a pane e acqua. In 40 in cella. Senza la possibilità di sdraiarsi e riposare. Senza assistenza legale. Lasciati alla deriva senza informazioni. Fino allo sfinimento.

Ve la riporto fedelmente come da sua richiesta. H.A. non vive più qui. Pochi giorni fa ha ricevuto risposta negativa alla sua domanda d’asilo e ha preferito lasciare il Granducato.

Al Ministero non interessa che lui sia medico. Ne che in Siria ci sia la guerra.  Interessa solo che abbia fatto domanda d’asilo in Ungheria, il primo Paese dell’UE dove è riuscito ad arrivare. E che, dunque, secondo il Regolamento di Dublino debba essere rimpatriato lì. Anche se l’Ungheria non rispetta affatto i diritti umani. Anzi! le ultime notizie la fanno assomigliare alla Germania di oltre 50 anni fa.

Un Paese dove si costruiscono muri e si trasportano immigrati in treni con scompartimenti chiusi (come facevano i nazisti) non dovrebbe neanche essere considerato facente parte dell’Unione europea. O no??

Ecco la sua testimonianza.

“Sono Dr.H.A. rifugiato siriano e richiedente l’asilo nel Granducato del Lussemburgo.

Sono fuggito dalla Siria nel mese di novembre 2013 per la Giordania dopo aver terminato la mia specializzazione in chirurgia. Sono stato chiamato per il servizio militare obbligatorio nell’esercito siriano e mi sono rifiutato di partecipare alla guerra.

In Giordania non mi era permesso come rifugiato di praticare la medicina.

L’unica professione che ho praticato tutta la mia vita è stata quella di studiare quindi ho parlato con alcuni medici in Turchia i quali mi ha offerto di lavorare come chirurgo in un ospedale al confine turco-siriano. Questo ospedale è stato adattato per curare i feriti siriani gravi, quindi i medici siriani sono stati autorizzati in via eccezionale dalle autorità turche ad esercitare in quell’ospedale. Mi sono trasferito in Turchia e ho lavorato lì per dieci mesi fino a quando i fondi stanziati per il nostro reparto sono terminati.

Ancora una volta, mio malgrado, non sono stato più in grado di poter  lavorare come medico.

Quando questo è successo ho deciso di emigrare in Europa, dove posso vivere con dignità e in libertà e dove ho diritto a  lavorare come medico. Sono partito dalla Turchia alla Grecia nel febbraio 2015 in barca. I miei compagni ed io siamo stati arrestati dalla guardia costiera e poi messi in prigione per alcuni  giorni. Ho soggiornato in Grecia per quasi due settimane e quindi, ho continuato verso la Macedonia. Ancora una volta, sono stato arrestato dalla polizia e portato in un centro di detenzione noto come Gazibaba (a Skopje). Le condizioni di detenzione erano estremamente orrende e spaventose. Sono rimasto imprigionato per dodici giorni e poi finalmente sono stato rilasciato.

Dopo mi sono diretto verso la Serbia. Ci sono stato per un paio di giorni e poi ho continuato la mia strada verso l’Ungheria il 30 marzo 2015.

Subito dopo l’attraversamento della frontiera ungherese, all’alba, la polizia mi ha arrestato e mi ha portato al dipartimento di polizia. Sono stato messo in una cella come un criminale. Era una piccola cella con più di 40 persone. Era impossibile dormire, o semplicemente stendersi per terra. Ho chiesto di vedere un avvocato ma nessuno mi ha risposto. Per il pranzo ci hanno dato un piccolo pezzo di pane secco. Questo è stato l’unico nutrimento che ho avuto per due giorni!

 Il giorno dopo un ufficiale di polizia ha parlato con noi. Ci ha detto che se volevamo uscire di prigione dovevamo lasciare le nostre impronte digitali e firmare una domanda di asilo. Chi si rifiutava di firmare rimaneva in carcere per due mesi e poi poteva essere deportato in Serbia. Nessuno a quel punto puo’ rientrare in Europa per i successivi tre anni. 

In quel momento mi sentivo esausto, affamato e disperato. Non avevo altra scelta che quella di soddisfare la richiesta dell’ufficiale di polizia. Così ho lasciato le mie impronte digitali e ho firmato qualsiasi documento mi hanno chiesto di firmare….

Dopo di che sono stato rilasciato. Sono andato direttamente a Budapest e ho deciso di lasciare l’Ungheria e non tornarci mai più.  In nessun caso, soprattutto dopo l’esperienza terribile che ho avuto lì.

Ho continuato il mio viaggio attraverso l’Austria e la Germania e finalmente raggiunto la mia destinazione: Lussemburgo.

Ho fatto domanda di asilo in Lussemburgo, Paese che ho scelto sia perchè alcuni miei parenti che vivono qui, sia perchè essendo il francese la lingua ufficiale, io ho studiato il francese a scuola e pensó di avere una buona base da cui partire.

Durante la prima intervista con il funzionario del dipartimento Immigrazione, egli mi ha spiegato che c’era, nel mio caso, la possibilità di fare un’eccezione al Regolamento di Dublino per molti motivi. Quindi ho maturato una forte speranza di essere accettato qui, dove ho soggiornato per 3 mesi e mezzo. Ma la settimana scorsa (si tratta del 20 o 21 agosto, ndr) sono rimasto scioccato da la decisione del Ministero di deportarmi in Ungheria con la forza!

Mi terrorizza l’idea di tornare in Ungheria dopo il trattamento che ho ricevuto lì. Io sicuramente non rischio la mia vita e i miei soldi per essere deportato in un Paese che non rispetta i diritti umani fondamentali. Preferirei tornare in Siria e morire lì con dignità piuttosto che essere obbligato a vivere una vita terribile in Ungheria”.

HA

(Testimonianza raccolta da Paola Cairo)

 

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