Raed Bawayah

È per caso che Raed Bawayah diventa fotografo. Dopo aver visto frotte di turisti che fotografano Gerusalemme, la Città Santa, l’adolescente palestinese decide di smettere di lavorare e di presentarsi alla scuola d’arte Nagger. Ogni giorno  lascia Quatanna, il suo villaggio sulla sponda occidentale del Giordano e va a scuola. Non possiede la macchina fotografica e gliela dà il direttore della scuola Avi Sabag, che accetta, per la prima volta, un alunno palestinese nella sua scuola israeliana. Ogni giorno il piccolo allievo attraversa la frontiera per studiare arte, fotografia. Un giorno lo arrestano ad un check point e lo incarcerano. E’ il momento in cui incontra i lavoratori clandestini che dalla Palestina si recano a lavorare in Israele. Quando esce realizza il suo primo lavoro: ID 925596611 (il numero della sua carta di identità).

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L’anno dopo realizza un servizio fotografico sull’ospedale psichiatrico di Betlemme e vince una borsa di studio a Parigi.  Bawayah da allora non si è mai fermato: è stato nei campi della Romania, tra gli tzigani francesi e i senza fissa dimora della Germania. Ha fotografato i bambini della Palestina e i malati degli ospedali della Cisgiordania.

Sempre dalla parte degli ultimi. “Ho preso questa strada: quella di scoprire l’essere umano dal di dentro” racconta emozionato durante il vernissage dell’esposizione: “Empreintes de passage“, inaugurata ieri (7 aprile) all’Abbazia di Neimënster  nel quadro del progetto Printemps 2015 pour la Palestine, organizzato dal Comité pour une Paix Juste au Proche-Orient (con altri partner).

Lo fa con pudore, passione e rispetto. E attraverso le sue fotografie racconta il mondo.

 

Fino al 28 aprile presso il Cloître Lucien Wercollier a Neimënster.

(picci)

 

 

 

 

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