L’interesse ad avviare un’azione giudiziaria di carattere civilistico dipende sempre più dalla convenienza economica del risultato finale. E si tratta, purtroppo, di uno stato di fatto che genera un circolo vizioso: più aumenta il costo di una causa civile, più si concede spazio agli abusi. Infatti, alcuni potrebbero sentirsi legittimati a pensare che di fronte ad un mancato pagamento oppure davanti ad un’azione dannosa, il creditore, rispettivamente la vittima potrebbero essere scoraggiati dai costi della giustizia al punto da rinunciare a far valere le proprie ragioni di fronte ad un giudice.
Il legislatore italiano non ha trascurato questa concreta esigenza, tanto da prevedere a carico della parte soccombente la condanna alle spese, liquidandone l’ammontare insieme con gli onorari di difesa.
La ragione di questa disciplina risiede nell’intenzione di dover riconoscere l’integrità di un diritto in modo almeno equivalente alla sua dimensione preprocessuale. La possibilità di garantire questo stato di fatto non sarebbe assicurata se le ragioni della parte vincente dovessero esser decurtate delle spese di difesa.
Purtroppo non tutte le legislazioni sono armonizzate e anche all’interno della stessa Europa constatiamo delle difformità persino all’interno di una stessa materia. È il caso di Lussemburgo dove gli onorari degli avvocati non vengono considerati come parte del danno iniziale per cui si è avviata l’azione legale. Di conseguenza la parcella dell’avvocato non entra di forza tra le spese a cui è normalmente condannata la parte soccombente.
Sapendo che tuttavia le spese legali sono alleggerite dalle indennità di procedura comunemente riconosciute, e facendo astrazione dalle ragioni che hanno portato al concepimento di qualsivoglia sistema procedurale, sarebbe da chiedersi in che misura i costi dei processi, o più generalmente le spese legali, condizionino il diritto di accesso alla giustizia che ognuno dovrebbe poter esercitare senza eccessive remore di carattere economico.
Fabio Ossich