Pubblichiamo di seguito il discorso di Viviane Reding, Vicepresidente della Commissione europea e Commissario alla giustizia, ai diritti fondamentali e alla cittadinanza pronunciato lo scorso 24 marzo all’ l’Hôtel Sofitel Luxembourg Europe, ospite della Camera di Commercio Italo-Lussemburghese in occasione dell’ incontro di Networking
Lussemburgo, 24 marzo 2014
La mia visione del futuro dell’Europa
Discorso alla Camera di Commercio Italo-Lussemburghese
- A. Introduzione
Signor Ambasciatore, Signore, Signori, (Signore e Signori), Cari amici!
Sono molto felice di essere tra voi quest’oggi per parlare del presente e del futuro dell’Europa.
La Camera di Commercio assicura una sinergia importante tra la forza creativa e produttiva delle imprese italiane da un lato, e le esigenze delle autorità pubbliche e delle entità territoriali dall’altro. Svolgete un ruolo chiave per la promozione della coesione economica, sociale e territoriale, così come per quella della solidarietà fra Stati membri. Si tratta di un obiettivo essenziale dell’Unione Europea.
Voi rappresentate l’Europa dinamica, l’Europa delle imprese che agiscono al di là delle frontiere nazionali. I vostri soci capiscono l’importanza di eliminare queste frontiere ed ogni ostacolo inutile al commercio. Sapete approfittare perfettamente dei benefici del mercato interiore, dell’Unione economica e monetaria così come dell’importanza – anche per la crescita economica – di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, senza frontiere interne.
Ma questa Camera di Commercio riflette in particolare la storia ricca e felice delle relazioni tra due Paesi – permettetemi di dirlo – meravigliosi. Si tratta di relazioni tra un piccolo ed un grande paese membro. E’ un bell’esempio di Europa tale che concepita dai suoi fondatori. Un piccolo ed un grande paese che condividono il privilegio e la responsabilità di essere all’origine del progetto europeo. I grandi hanno bisogno dei piccoli come i piccoli hanno bisogno dei grandi per il funzionamento dell’Unione. E’ il metodo “comunitario”. E’ il riflesso della solidarietà fra stati membri che caratterizza l’Unione.
Recentemente, ho ascoltato con interesse il vostro primo ministro affermare che “bisogna fare dell’Europa il luogo dei cittadini e non dei tecnocrati”. Sono d’accordo con lui. Le relazioni bilaterali, siano esse con Berlino o con Parigi, fanno parte della quotidianità della vita politica europea. Ma è il metodo comunitario – la promozione di tale solidarietà fra grandi e piccoli – che rende unico il processo d’integrazione europea. E’ con l’impegno per un dialogo trasparente e aperto, innanzitutto all’interno delle istituzioni europee, che possiamo perseguire l’obiettivo di un’Europa più democratica e più vicina ai suoi cittadini.
L’Italia assicurerà la presidenza dell’Unione a partire dal 1° luglio prossimo. Il Lussemburgo riprenderà tale compito nel corso del secondo semestre del 2015. Grande o piccolo, questi due paesi assumeranno le stesse responsabilità istituzionali poco dopo le elezioni europee del prossimo mese di maggio.
Domani sarà il 25 marzo. Il 25 marzo del 1957, il 25 marzo di 57 anni fa, al Capitolino a Roma, delle personalità come Joseph Bech per il Lussemburgo, Gaetano Martino ed Antonio Segni per l’Italia, hanno firmato il Trattato sulla Comunità Economica Europea. E’ la grande eredità dei padri fondatori dell’Europa come De Gasperi, Adenauer, Schuman e ben altri.
Durante questi 57 anni, noi, Europei, abbiamo realizzato un percorso importante. Abbiamo superato dei momenti difficili e stiamo, attualmente, rispondendo efficacemente alla grande sfida della crisi economica. Ma qual è la vocazione dell’Europa in tale contesto? A che punto ci troviamo nel processo di integrazione? Dove dovrebbe condurre il progetto europeo? Si tratta di domande che hanno un enorme impatto su tutti noi e soprattutto sulle generazioni future. Spetta a noi decidere insieme come dovrebbe essere l’Europa di domani.
Signore e Signori, vorrei condividere con voi qualche elemento di riflessione circa le prospettive a breve e lungo termine.
- B. Le prospettive a lungo termine
Qual è il futuro dell’Europa a lungo termine? La domanda è semplice. Possiamo affrontare le sfide della concorrenza mondiale e della ripresa economica senza progredire nel processo di integrazione europea? Possiamo risollevare tali sfide senza avanzare verso un’Unione politica? La mia risposta è semplice: no.
Il solo modo per rimettere l’Europa sulla via della crescita sostenibile è un approfondimento del processo di integrazione. L’unione fa la forza. E’ l’insegnamento che ricaviamo da più di 70 anni di integrazione economica e politica. E’ il corollario di una visione forte e ambiziosa dell’Europa. Ma quest’ultima manca di unanimità. La storia dell’integrazione europea mostra anche che non possiamo dare nulla per scontato. Dobbiamo continuare a lavorare con determinazione sul processo e sull’obiettivo dell’integrazione economica e politica dell’Unione.
Nel 1957, l’Italia, il Lussemburgo e gli altri quattro stati fondatori della CEE hanno concretizzato una visione politica chiara: quella di una comunità fondata su di una coesione e una solidarietà irreversibili. Questo progetto forte doveva in tutta logica sfociare in una nuova dimensione, ovvero, in una reale integrazione politica.
Attraverso la firma del trattato di Maastricht nel 1993, gli Stati membri si misero finalmente d’accordo circa un’unione monetaria; ma senza unione politica in parallelo. A Maastricht, un altro concetto ha avuto la meglio. Fu creata una Banca centrale europea indipendente, ma senza governo economico europeo. Il presidente della BCE, dotato di poteri importanti, si è visto affiancato non da un ministro europeo delle finanze, bensì da 18 ministri nazionali delle finanze.
E’ un paradosso, ma la creazione dell’Unione monetaria a Maastricht fu anche il riflesso delle idee di coloro che erano fondamentalmente scettici riguardo al trasferimento della sovranità e che volevano mantenere la sovranità nazionale per quanto possibile. Così, la delegazione britannica alle negoziazioni di Maastricht insistette affinché il termine “federale” sparisse dal progetto del trattato sull’unione politica.
Questa reticenza riguardo ad una vera Unione politica si è rinforzata ancor più quando, nel 2005, il trattato costituzionale europeo – ultimo tentativo di fare, almeno in parte, dell’Unione europea, nata dal trattato di Maastricht, un’unione politica – fallì al momento del referendum in Francia e nei Paesi Bassi, nonostante la ratifica del trattato da parte di 18 Stati.
Anche dopo la ratifica e l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le risposte sono normalmente vaghe quando i cittadini domandano al giorno d’oggi quale sarà l’avvenire dell’Europa.
“Noi non vogliamo un Super-Stato”, è generalmente la loro prima frase, per la paura di essere fraintesi dai partigiani del sovranismo degli Stati.
Constato, tuttavia, che i cittadini criticano sempre di più la mancanza di chiarezza e non sono convinti. E’ un buon segno. Non bisogna deludere le loro aspettative. Bisogna permettere a tutti di capire perché il processo di integrazione deve condurci ad una Unione politica più forte e più vicina ai cittadini europei.
Ciò mi porta a due considerazioni: una di ordine storico e l’altra di ordine pragmatico.
La mia prima considerazione: qual è la ragion d’essere di un’Unione politica? Soltanto tenendo presente i motivi storici di un tale obiettivo possiamo comprendere perché non sia possibile farne astrazione.
La seconda: è sufficiente guardare ai nostri bisogni reali, oggi, per comprendere come procedere nella costruzione della nostra Unione.
B.1 L’Unione politica: la storia ci spiega il perché
Trattandosi del punto di vista storico, torniamo al 19° secolo, alle origini stesse del grande Risorgimento italiano che ha portato alla formazione dello Stato italiano, e permettetemi di citare Victor Hugo. Victor Hugo, grande amico del Granducato, araldo del sublime e del bello, ha contribuito al Risorgimento italiano precisando che l’avvenire dello Stato italiano si incorniciava in una “federazione di nazioni continentali sorelle e regine, ciascuna incoronata dalla libertà di tutte, la fratellanza delle patrie nella suprema unità, i Popoli Uniti d’Europa”.
Hugo ha incitato gli italiani a non distogliere mai lo sguardo dal loro avvenire che lui stesso considera come “magnifico”.
Peraltro, nel 1849, al Congresso per la Pace a Parigi, Victor Hugo aveva già presentato la sua visione della pace e della democrazia. Egli incuse un punto essenziale, profondamente radicato nella storia d’Europa, che caratterizza tuttora ogni dibattito riguardo ad un’integrazione europea più forte e che personalmente mi sta molto a cuore: le nazioni d’Europa devono fondersi in un’unità superiore, costituire una fratellanza europea, senza perdere i loro tratti distintivi ed il loro glorioso individualismo. “Uniti nella diversità”. Più o meno 150 anni fa, Victor Hugo predisse che “verrà un giorno in cui non esisteranno più altri campi di battaglia se non i mercati, che si apriranno al commercio, e gli spiriti, che si apriranno alle idee. Verrà un giorno in cui le pallottole e le granate saranno sostituite dal diritto di voto; verrà un giorno in cui si vedrà come i due grandi gruppi di paesi, gli stati Uniti d’America e gli stati Uniti d’Europa […], si guarderanno in faccia, si porgeranno la mano attraverso i mari, scambieranno i loro prodotti, il loro commercio, le loro industrie, le loro arti, i loro geni […]”.
Si può concepire questa visione soltanto alla luce dei disordini della storia d’Europa del XIX secolo che Victor Hugo visse in prima persona: le guerre, il suo esilio forzato, una profonda aspirazione alla pace e alla democrazia sul continente europeo.
Tale visione pacifista e democratica fin dagli inizi, spiega che l’idea di un’integrazione economica e politica dell’Europa fu lanciata con vigore dopo gli orrori vissuti dall’Europa durante la Prima Guerra Mondiale e, ancor più, dopo la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale sul suolo europeo.
L’unificazione politica riflette l’idea di pace che resta l’obiettivo essenziale del processo di integrazione, così come ricorda l’attribuzione del premio Nobel per la Pace all’Unione Europea. Il nostro continente non deve mai dimenticare le lezioni imparate dalla sua storia cosparsa di atrocità.
Non si tratta di creare un unico Stato o un Super Stato. L’unione politica può aver luogo sulla base di una struttura federale risultante da una nuova alleanza di Stati e nella quale la diversità dei vari Stati e il loro individualismo sono volontariamente mantenuti, come Victor Hugo sottolineò a giusto titolo.
Infine, aspiriamo ad una forma costituzionale democratica e federale paragonabile a quella degli Stati Uniti d’America, ma la concepiamo nel contesto specifico della storia d’Europa, dei nostri valori e della diversità del nostro continente.
Possiamo trarre ispirazione dal sistema costituzionale degli Stati Uniti d’America e, in particolare, dal sistema bicamerale. Tuttavia, dobbiamo anche tenere a mente che in Europa, in virtù della nostra storia, abbiamo una concezione dei valori e dei diritti fondamentali spesso diversa rispetto a quella degli Stati Uniti.
Naturalmente, non saremo in grado di realizzare un’unione politica – una federazione di Stati – dall’oggi al domani. Avremo certamente bisogno di nuovi trattati. Dovremo considerare ugualmente se tutti gli Stati membri dell’Unione Europea o solo gli Stati della zona euro si impegneranno per l’avvenire federale dell’Europa.
B.2. L’Unione politica: è oggi una necessità oggettiva
Arrivo così alla seconda domanda: perché necessitiamo di una maggiore integrazione politica in questo momento? E’ sufficiente guardare le nostre sfide comuni e i nostri mezzi per rispondere.
Altiero Spinelli, parlando del grande progetto europeo, disse che “la grandezza e l’importanza di un’idea sono dimostrate dalla sua capacità di risorgere dalle proprie sconfitte” [“il valore di un’idea, prima ancora che dal suo successo finale, è dimostrato dalla sua capacità di risorgere dalle sconfitte”]. Oggi, l’accelerazione del processo di integrazione politica è ancora all’ordine del giorno. Il motivo principale, innanzitutto, è dato dalla crisi economica e finanziaria da cui stiamo uscendo. Le crisi hanno sempre permesso all’Europa di trovare la forza necessaria per nuovi slanci d’integrazione. E’ ancora il caso al giorno d’oggi. La crisi ha già messo in evidenza che l’architettura asimmetrica dell’unione monetaria, che risulta da Maastricht, non è efficiente. E che un’Europa rinvigorita è la sola risposta credibile.
A Maastricht, ci fecero credere che avremmo potuto instaurare irreversibilmente un’unione monetaria e una nuova valuta internazionale senza creare in parallelo un’unione politica forte, implicando una coordinazione approfondita delle politiche economiche e fiscali degli Stati membri. Fu una debolezza, ed oggi stiamo correggendo tale debolezza per continuare a vivere in un’Europa stabile e prospera. Nel 2010, è iniziato un processo che sta trasformando le fondamenta stesse dell’unione monetaria europea.
Una delle più grandi lezioni che ci vengono dalla crisi è che le decisioni economiche e fiscali di uno Stato membro hanno delle conseguenze pesanti per gli altri paesi d’Europa. E’ su questa base che la Commissione lavora con gli Stati membri al fine di fornire loro raccomandazioni sui bilanci nazionali. Questa cooperazione, che sarebbe stata impensabile cinque anni fa, è divenuta indispensabile. E lo sarà per il futuro.
Un’altra lezione importante della crisi è che una supervisione nazionale delle banche non è sufficiente. Abbiamo visto le conseguenze di una supervisione puramente nazionale durante la crisi. In diversi casi, le autorità non hanno reagito in tempo e le banche sono crollate. I contribuenti hanno pagato il prezzo.
E’ il motivo per cui diamo origine all’Unione bancaria. Per proteggere i contribuenti del futuro.
Se le operazioni delle banche sono europee, anche la loro supervisione ed i meccanismi di salvataggio devono esserlo. Il Meccanismo di Sorveglianza Unica assicurerà una supervisione europea ai paesi che vi partecipano. Settimana scorsa, la proposta della Commissione circa il meccanismo di risoluzione unica delle banche in crisi è stato oggetto di un importante accordo politico fra il Parlamento Europeo e il Consiglio. E’ un passo da giganti verso l’unione bancaria.
La cooperazione riguardo ai bilanci nazionali e all’Unione bancaria, dove l’Europa mostra il suo valore aggiunto sono due esempi di un approccio che mancava cinque anni fa e che impedirà le crisi in futuro.
Ma abbiamo bisogno di una governance Europea che rifletta meglio il grado di integrazione ottenuto in questi settori: necessitiamo di un’Unione politica e più vicina ai cittadini.
Questo processo comporta delle opportunità, ma anche dei rischi. Offre l’occasione di recuperare ciò che è stato omesso a Maastricht nel 1991, ovvero di completare l’unione imperfetta attraverso un’unione politica. Allo stesso tempo, ciò conduce al rischio di limitarci di nuovo a qualche riforma delle politiche economiche e fiscali, (e ciò) a discapito dell’obiettivo globale, ossia di un’unione politica democratica, forte e convincente. Di questi giorni, si osservano a tal proposito, in qualche capitale, delle tendenze che mi sembrano preoccupanti.
Negli ultimi tre anni, sono stati forniti degli sforzi importanti per stabilizzare la nostra unione monetaria. Il nuovo Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), in grado di sbloccare fino a 500 miliardi di euro per stabilizzare gli Stati della zona euro se necessario, è un risultato storico. Ciò vale ugualmente per il patto fiscale europeo su cui si basa l’impegno preso da 25 Stati europei di assicurare una finanza pubblica stabile e di introdurre un freno all’indebitamento nazionale. Gli interventi della Banca Centrale Europea sono ugualmente di un’importanza inestimabile per la stabilità della nostra valuta europea. Ma siamo onesti. Tutte queste misure sono, senza alcun dubbio, importanti. Permettono di prendere tempo, ma, certamente, non di stabilizzare durevolmente la costruzione effettuata dal trattato di Maastricht.
Per fronteggiare la crisi si necessitava di un intervento rapido, non vi era alcun’altra soluzione. Tuttavia, da un punto di vista democratico, questa situazione non può e non deve essere una soluzione durevole. In questo contesto, si tratterà ormai di prendere delle decisioni fondamentali a livello europeo nei diversi Stati della zona euro. Decisioni di questo calibro necessitano di un controllo democratico efficace e quotidiano. Sono convinta che questo controllo non sia possibile nel quadro di riunioni intergovernative di ministri e di segretari di stato dei diversi paesi sorvegliati individualmente da 18 parlamenti nazionali. Decisioni di questo tipo prese a livello europeo necessitano di un controllo democratico che si svolga allo stesso modo a livello europeo e che sia uguale per tutti. E’ l’importanza del metodo comunitario di cui vi ho parlato all’inizio del mio discorso. E’ il motivo per cui difendo l’incorporazione a medio termine del patto fiscale e del Meccanismo Europeo di Stabilità all’interno dei trattati europei al fine di sottoporre tali strumenti al controllo del Parlamento europeo.
Tutto ciò impone delle riforme dell’Unione Europea che vanno largamente al di là del funzionamento dell’Unione monetaria. E’ necessario un approfondimento delle basi politiche e democratiche dell’Unione Europea attuale.
Bisogna ridurre la distanza tra il cittadino europeo e le istituzioni europee. Può darsi che un giorno, bisognerà anche che il presidente della Commissione europea sia eletto a suffragio universale diretto. Gli eventi ci dimostrano che un’evoluzione è in corso.
In questo contesto, la Commissione ha adottato delle raccomandazioni al fine che i partiti politici, in vista delle elezioni europee, si impegnino a nominare un candidato per il posto di presidente della Commissione Europea. Avete visto i risultati. Inoltre, secondo le nuove regole introdotte dal Trattato di Lisbona, in vista della designazione del nuovo presidente, il Consiglio Europeo dovrà proporre un candidato al Parlamento “tenendo conto delle elezioni del Parlamento Europeo”; e tale candidato dovrà essere eletto dal Parlamento a maggioranza qualificata.
Ritengo che dobbiamo essere ambiziosi se non vogliamo ripetere gli errori di Maastricht. Abbiamo bisogno di una visione chiara e ambiziosa per l’avvenire del nostro continente, per un’Europa forte e democratica che è molto più di un grande mercato e di una moneta stabile.
- C. Una prospettiva per il breve periodo: proteggere e mettere in atto i risultati ottenuti
La sfida non è soltanto quella di seguire il grande progetto di un’unione politica, economica e monetaria, di una federazione di Stati fondata su principi democratici più solidi e sulla vicinanza del cittadino alle istituzioni europee. Siamo concreti come voi lo siete ogni giorno nelle vostre attività. La sfida, qui ed ora, è anche quella di proteggere e mettere in atto, negli Stati membri, i risultati che abbiamo già ottenuto. Se vogliamo progredire, dobbiamo innanzitutto essere sicuri di non perdere ciò che è già stato realizzato. Dobbiamo quindi continuare a lavorare, istituzioni europee ed autorità nazionali, per proteggere e approfittare appieno dei risultati. E per questo, conto anche su di voi. Vorrei citare degli esempi che vi riguardano direttamente.
Nessuno è più in grado di voi di comprendere l’importanza del mercato interiore per la crescita economica. La libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone, la libera prestazione dei servizi e la libertà di stabilimento sono al centro di ogni attività delle imprese che vogliono, a giusto titolo, svilupparsi al di là delle frontiere nazionali. Non possiamo quindi tollerare i tentativi populisti di reinstaurare ogni qualsiasi barriera ingiustificata tra le frontiere interne all’Europa. Dobbiamo proteggere i risultati acquisiti nel corso degli anni al prezzo di grandi sforzi. Voi ne siete testimoni. Questa Camera di Commercio è stata fondata nel 1992, al momento in cui la Commissione Europea realizzava le fondamenta del mercato interiore. Voi ne siete gli attori.
Ma oggi, l’Europa non si limita a proteggere tali libertà. Prendiamo l’esempio delle Piccole e Medie imprese (PMI). La Commissione si è impegnata al fine di creare un ambiente favorevole per le PMI. In effetti, sono le PMI che creano il lavoro in Europa. E’ per questo motivo che la Commissione concentra i suoi sforzi sulla riduzione degli ostacoli alle loro attività, per consentire il loro accesso ai finanziamenti e ai mercati e per promuovere lo spirito imprenditoriale. Nel contesto del bilancio dell’Unione per il 2014-2020, due programmi importanti sono stati stabiliti: COSME per promuovere la competitività delle PMI, con un fondo di 2.3 miliardi di euro; e Horizon 2020 per promuovere la ricerca e l’innovazione, con un fondo di 8.6 miliardi di euro.
Trattandosi della facilitazione del credito, il Programma per eccellenza sulla competitività e l’innovazione ha permesso di mobilizzare già 15 miliardi di euro in crediti e 2.4 miliardi di euro in capitale di rischio, a favore di oltre 275.000 PMI. Inoltre, finanziamenti per 4.5 miliardi di euro sono stati sborsati nel contesto dei fondi strutturali.
Tali strumenti devono essere avviati concretamente con l’aiuto essenziale degli Stati membri e delle autorità competenti per la gestione dei programmi a livello nazionale.
In qualità di Commissario alla giustizia, ho utilizzato la giurisprudenza per facilitare la vita delle imprese e mettere la giustizia a servizio della crescita.
Non abbiamo tempo di andare nei dettagli. Cito qualche esempio:
Per le vostre attività commerciali transfrontaliere, dovete poter contare su sistemi giuridici performanti che siano in grado di proteggere i vostri diritti e i vostri interessi e di semplificare le vostre transazioni. Il “EU Justice Scoreboard”, di cui la Commissione ha appena adottato l’edizione 2014, fornisce un cenno alla qualità, all’indipendenza e all’efficacia dei sistemi giuridici nazionali.
Anche l’armonizzazione europea in materia di insolvenza è cruciale per sostenere la crescita. Oggi, circa il 25% dei fallimenti ha un carattere transfrontaliero. Nel 2012, ho presentato una proposta di regolamento per modernizzare le regole del diritto europeo in materia, ovvero le regole di competenza legale, sulla legge applicabile e la riconoscenza reciproca delle sentenze in caso di insolvenza transfrontaliera.
Quest’anno, sulla base della mia proposta, la Commissione ha adottato una raccomandazione per gli Stati membri che richiede di assicurare che le imprese in difficoltà abbiano l’inquadramento giuridico necessario indipendentemente dal luogo dell’Unione in cui svolgono le attività, per ristrutturarsi al fine di evitare la loro insolvenza.
Una tale ristrutturazione aiuterà a salvare le imprese redditizie e l’impiego; i creditori potranno, dal canto loro, recuperare una proporzione dei loro investimenti che sarà maggiore rispetto al caso di fallimento del loro debitore; le imprese in difficoltà avranno un accesso più facile a delle fonti di rifinanziamento per rivitalizzare la loro attività.
La raccomandazione invita anche gli Stati membri ad introdurre il quadro giuridico per la remissione del debito degli imprenditori al più tardi tre anni dopo il fallimento. In questo modo, gli imprenditori onesti dovrebbero ottenere rapidamente una seconda possibilità siccome è dimostrato che hanno più successo la seconda volta.
Ho dunque iniziato un processo di avvicinamento delle legislazioni nazionali in materia di insolvenza che mira a cambiare profondamente la cultura imprenditoriale in Europa.
In questo momento, altre importanti proposte per la vita dei cittadini come delle imprese, sono davanti al legislatore e si attende la loro adozione, dopo le elezioni, con il nuovo Parlamento europeo. Attiro la vostra attenzione sulla riforma della protezione dei dati, sul nuovo strumento relativo ad un diritto comune europeo delle vendite, così come sul nuovo sistema europeo di sequestro conservativo sui conti bancari all’estero che mira a proteggere i ceditori che non riescono a recuperare i loro crediti nelle relazioni transfrontaliere.
Quando saranno in vigore, questi strumenti faciliteranno le vostre attività transfrontaliere. Vi invito a prenderne conoscenza e a controllare con noi che gli Stati membri le mettano in pratica e ne assicurino l’effetto utile.
- D. Conclusione
Cari amici,
l’artista, l’inventore, direi anche l’imprenditore italiano ed europeo, Leonardo Da Vinci, ha parlato dell’”urgenza di fare” – “l’urgence de faire”. Secondo lui, “sapere non è sufficiente, dobbiamo applicare. Essere pronti non è sufficiente, dobbiamo fare”.
Il Sig. Da Vinci ha ragione: “dobbiamo fare”.
Insieme, dobbiamo costruire l’unione politica di domani su degli ideali di pace e di democrazia. Dobbiamo anche essere pragmatici e capire, insieme, il valore aggiunto dell’Unione Europea di oggi.
In questo contesto, seguo con interesse le riforme che l’Italia si appresta a lanciare. L’Italia è uno dei paesi fondatori dell’Unione. Come Victor Hugo affermava già prima dell’unità d’Italia, l’Europa è il presente e l’avvenire del popolo italiano; è una grande opportunità per l’Italia e nessuno mette in dubbio che l’Italia e il suo popolo sono una delle grandi ricchezze dell’Europa. Il termine “futuro” nel programma di questi eventi, è al singolare e non al plurale. Vi è un solo futuro. Il futuro dell’Italia è il futuro dell’Europa. E il futuro dell’Europa è anche il futuro dell’Italia.
Conserviamo lo spirito del metodo comunitario: i cambiamenti di un paese grande come di uno piccolo, sono i cambiamenti dell’Unione, così come l’Unione cambia ineluttabilmente ogni paese che ne è parte. L’Europa siamo “noi”, Stati membri ed istituzioni Europee. L’Europa non è “voi, l’Unione” e “noi, gli Stati membri”.
Non basta essere a favore dell’Europa. Oggi, noi, Camera di Commercio e i suoi soci, l’Italia, il Lussemburgo, dobbiamo essere l’Europa e i cittadini d’Europa.
Vi ringrazio.
Viviane Reding, Vicepresidente
Commissario alla giustizia, ai diritti fondamentali e alla cittadinanza
(traduzione Elisa Pizzi)