Storie di tutti

Quattro chiacchiere con Paolo Ghezzi, autore di “Il vangelo secondo De André. Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria” e Per un bacio mai dato. L’amore secondo De André”, entrambi editi da Ancora sull’indimenticabile Fabrizio De Andrè.

Homo Faber, Faber, De Andrè, FdA: lo chiami in tanti modi. Ci puoi svelare come è nata la tua passione per questo grande cantautore?

Una voce sciamanica, dei testi autenticamente poetici, collaborazioni e intuizioni musicali in continuo divenire e trasformarsi, su un un impianto classicamente melodico. Per un ex adolescente degli anni 70 De Andrè è stato un elemento importante della pedagogia della libertà nella crescita.

Quale aspetto delle fede di De Andrè ti ha portato a voler indagare più a fondo la sua spiritualità? Che percorso hai seguito?

Non credo che si possa parlare di fede di De Andrè , invece c’è uno straordinario interesse per il problema di Dio e per la figura storica di Gesù.  Rivoluzionario dell’amore. dunque, anche se agnostico, Faber è,in un certo senso, un quinto evangelista, apocrifo naturalmente, che ci racconta con parole nuove e passione nuova un’antica storia, non solo nella buona novella in cui la protagonista diventa la ragazza ebrea Maria, ma in molte altre canzoni dove il tema è la pietas per gli ultimi, e per quelli che non ce la fanno, come il suo amico Luigi Tenco (suicida) per cui scrive la meravigliosa “Preghiera in gennaio” rivolgendosi direttamente alla misericordia di Dio.

Le canzoni di Fabrizio parlano di temi estremamente diversi tra di loro… percorrono strade diverse e, non a caso, sono contenute in diverse antologie scolastiche.  Cosa può la generazione di oggi imparare dai suoi testi?

Il gusto della vita, l’antidoto alla morale borghese, alle regole dell’esistenza normale, uno spirito anarchico che aiuta a pensare con la propria testa, a diffidare del potere, a stare dalla parte degli oppressi e delle storie sbagliate, per non perdere l’anima a vantaggio dei soldi della carriera o della poltrona di comando.

Come sei giunto a delineare il percorso dell’amore secondo De Andrè?

Scavando ancora una volta nella ricchezza inesauribile di testi molto pensati anche se poi l’esito è spesso quello di una meravigliosa e “naturale” semplicità. mi sono accorto che De Andrè effettivamente, come dice una sua canzone, “si innamorava di tutto”, non solo delle donne: dei libri, degli autori, degli incontri, della minoranze, dei paesaggi, degli animali, dei perdenti, delle musiche degli altri, dei viaggi soprattutto mentali, degli sconfitti della storia. E allora ho provato a catalogare sei tipi di amore.

Che importanza ha il dialetto nella produzione musicale di De Andrè?

Il genovese è una lingua, non un dialetto. Una lingua mediterranea che lo aiuta non soltanto dal punto di vista musicale, vista la sua liquidità che la apparenta al portoghese-brasiliano. ma gli consente di penetrare nell’anima profonda dei popoli bagnati dal mare, che una lingua ufficiale spesso non riesce a raccontare. in più , testimonia la biodiversità delle lingue e l’intraducibilità non solo di certi oggetti ma anche di certe emozioni.

C’è una canzone a cui sei particolarmente legato?

Ce ne sono almeno dieci nel cuore, da Il suonatore Jones a Tre madri, da Se ti tagliassero a pezzetti a Ho visto Nina volare. Ma ultimamente è proprio un pezzo in lingua ligure, A cimma, da Le nuvole, che mi emoziona particolarmente: perché nella ricetta di un piatto tipico ci mette dentro un rito ancestrale, una preghiera che scaccia i demoni e chiama gli angeli, e un poetico stare con “un piede in terra e l’altro in mare” che è l’essenza della liguritudine, se così si può dire, ma anche l’ambivalenza della nostra anima mediterranea. Il terzo piede, se ci fosse, o meglio il cuore, può starsene affacciato sul cielo, che è  la terza dimensione verticale che in De Andrè  non manca mai.

Hai altri progetti che sveleranno altri aspetti del cantautore?

No a parte le serate di musica e parole con Diego Raiteri e gli altri amici della “Volammo davvero Band” – Il sogno di Maria, dalla Buona Novella – è un’altra canzone della mia personale top ten faberiana, credo di aver detto quasi tutto quello che potevo dire nel “Vangelo secondo De Andrè” prima e nel “Per un bacio mai dato – l’amore secondo De Andrè’” ora. Molti altri hanno scritto e scriveranno di lui, ed è bello che sia un concerto a più voci. fare riascoltare una terza volta la mia sarebbe troppo, non voglio che il gallo canti, rimproverandomi di aver tradito un maestro di parole come Fabrizio De Andrè, che per fortuna – come dice sempre Dori Ghezzi – è proprio di tutti, attraverso le generazioni. sempre nuovo e sempre da riscoprire. un amico fragile, che ci ha raccontato storie indimenticabili di fragilità e di forza insospettata delle vite altrui.

Elisa Cutullè

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